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Altre Economie

Per una sobrietà creativa. Ovvero: le mani al potere

Autoprodurre è un atto di pace scrive Marinella Correggia, autrice di "Io lo so fare", il libro che ha dato il nome alla nostra collana editoriale, giunto alla terza edizione. L’introduzione dell’autrice alla piccola guida di Altreconomia all’autoproduzione manuale, creativa ed ecologica. Per far da sé, non sprecare e risparmiare

Autoprodurre è un atto di pace. Perché saper fare con le proprie mani beni, oggetti, strumenti significa usare meno energia fossile, quella la cui “conquista” spesso causa le guerre. E perché significa acquisire passioni sane, che ci sganciano da un modello economico così rapace da suscitare conflitti: se riusciamo a non essere meri “utilizzatori finali” di merci e servizi, ma persone sobriamente creative, contribuiamo, nel nostro piccolissimo, a costruire un mondo senza armi.
Sobrietà creativa. Ovvero saper costruire da sé il necessario e – allo stesso tempo – non acquistare il superfluo. Riappropriarsi della saggezza del fare. Sostituire con i muscoli parte dell’energia cinetica, termica, elettrica che attingiamo da macchine e combustibili fossili. Ricavare in qualche modo una parte di quel che ogni giorno consumiamo, evitando almeno alcune tappe della dispersiva filiera fra materie prime e consumi finali. Coltivare l’indipendenza e l’autogestione. Essere produttrici e produttori, non passivi consumatrici e consumatori.
Un’originalità assoluta, in questo Occidente di persone passive e al contempo indotte o costrette a correre all’impazzata nell’ingranaggio della civiltà dei consumi. 

Autoprodurre qualcosa, poco o tanto, non è un’Ecologia delle Contesse (per usare un’ironica espressione del professore e studioso delle merceologie Giorgio Nebbia). E nemmeno l’Ecologia di Nonna Papera o quella delle Giovani Marmotte. Non è uno sfizio per chi ha tanto tempo e – per sua fortuna – non è divorato dall’assillo della frenetica quotidianità.
La sobrietà creativa come pratica di equa autogestione è un dovere “eco-sociale” e un piacere personale.
È un piacere perché è tutta salute, ci regala pezzi di autonomia e indipendenza, supera la parcellizzazione, è una passione capace di mettere in ombra -anche per i più giovani- divertimenti consumisti e malsani. È un dovere eco-sociale perché consumare meno e meglio e produrre di più in prima persona ci fa fare un passo avanti verso il superamento di un modo di produzione e di consumo distruttivo e iniquo.

La sobrietà creativa ci permette di controllare un piccolo processo produttivo e così di alleggerire, a nostra cura, il consumo di risorse e di energia, la produzione di rifiuti e lo sfruttamento di ignoti lavoratori; accorcia le filiere, permette di scegliere le materie prime e i processi di produzione meno impattanti, allunga i cicli di vita delle merci. Al tempo stesso, va verso una maggiore equità nella “distribuzione” del lavoro creativo e di quello manuale. In una civiltà libera dallo sfruttamento del lavoro e della natura la produzione di quel che è necessario o comunque viene utilizzato sarà delegato ad altri in misura molto minore.
Non illudiamoci: autoprodurre qualcosa in questo contesto socioeconomico di certo non rappresenta ancora un’equa distribuzione della fatica; a meno che non ci mettiamo a ricavare mattoni dalla terra, filare cotone dalla pianta, produrre molto cibo, riciclare metalli così da non estrarne più; oltre a consumare solo prodotti che hanno un’origine conosciuta.
Nelle società capitaliste-individualiste-proprietarie-parcellizzate sia la fatica che la creatività sono “appaltati” a categorie distinte: da una parte chi fa lavori manuali usuranti (miniere, fornaci, spaccare pietre, zappare, svolgere il lavoro domestico altrui fino a nettare le toilette); dall’altra chi fa il lavoro “creativo” o intellettuale o ritenuto tale; infine c’è chi fa lavori non fisicamente faticosi né pericolosi o malsani, ma magari molto noiosi o inutili. Risultato: “I lavori massacranti esistono perché pesi e misure non sono egualmente distribuiti” (Enzo Del Re). Invece nelle descrizioni di utopie egualitarie (Morris, Le Guin, Callenbach) tutti lavorano meno ore e sia i lavori pesanti e ingrati che la creazione sono suddivisi fra tutti, a turno. Così fu coniata l’espressione “giocò/lavorò” che compare ne I ribelli dell’altro pianeta della scrittrice statunitense Ursula Le Guin; lo stesso concetto è espresso in Bolo ’Bolo, sogno di un’utopia, scritta in Svizzera. Purtroppo questo orizzonte è lontanissimo dalla politica e perfino dalla vita quotidiana dei più. La sobrietà creativa non è affatto rinchiudersi nell’orticello.

La sfida è coniugare questo parziale sganciamento dal sistema con l’impegno politico per il suo cambiamento. Per scendere nel concreto, “La passata di pomodoro e la politica” fu il memorabile titolo di un incontro di “Bilanci di giustizia”, una campagna i cui membri sono veri maestri del “piacere dell’autoproduzione” e della “riappropriazione del tempo” (per conoscerli www.bilancidigiustizia.it). A proposito: più autoproduzione, meno bisogno di soldi, più lavoro a tempo parziale, più tempo per vivere.

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