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Per la Cultura la solita ricetta: il privato

Agli Stati generali promossi da Il Sole 24 Ore e dalla Fondazione Roma nessuno ha chiesto al premier Letta (presente in video) di aumentare il budget del ministro dei Beni culturali, che in dieci anni ha perso 900 milioni di euro. Al problema può ovviare il privato, secondo un’idea di "sussidiarietà". Tra le proposte anche quella di portare i Bronzi di Riace a Milano per l’Expo

Ieri a Milano c’erano gli "Stati generali della cultura", promossi dalla "Domenica" de Il Sole 24 Ore insieme alla Fondazione Roma, un meeting che si proponeva di discutere su come "realizzare l’articolo 9 della Costituzione", quello che recita:

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Ci sarebbe una risposta ovvia, e banale, ed è contenuta a pagina 70 del corposo "Masterplan per l’industria culturale, elaborato da Fondazine Roma e Censis per l’occasione: dal 2001 al 2011, il budget a disposizione del ministero dei Beni culturali (Mibac) è stato "alleggerito" di 900 milioni di euro; rapportando il dato relativo ai "lavori pubblici" (manutenzione del patrimonio) finanziati da parte del Mibac, essi sono calati tra il 2004 e il 2011 di circa 90 milioni di euro (da 201,1 milioni di euro a 110,8), a fronte di un corrispondente taglio di 600 nel budget del ministero.

Ciò pare indicare che, qualora il budget del ministero fosse adeguato, probabilmente sarebbe possibile finanziare anche un maggior numero di interventi sul patrimonio (la realtà è ben diversa, e nel 2013 non si dovrebbero superare i  47,6 milioni di euro.
Di tutto questo, però, non si è parlato nell’auditorium del Sole 24 Ore. E nessuno ha avanzato al presidente del Consiglio Enrico Letta, intervenuto dal suo studio romano di Palazzo Chigi, una richiesta quanto mai banale, ovvero quello di "ripristinare" il budget a disposizione del ministero e delle sue articolazioni territoriali. Ma non c’era il ministro Massimo Bray, né un Soprintendente qualsiasi, a rivendicare questo diritto (e si può immaginare che il ministro non sia stato nemmeno invitato, perché altrimenti non avrebbe mancato di inviare qualcuno a rappresentarlo o un messaggio di saluto).

L’esiguo budget del ministero, infatti, rappresenta per Il Sole 24 Ore, fin dalla pubblicazione del suo "Manifesto per la cultura" (pubblicato dal Sole nel febbraio 2012), uno stimolo per chiedere al governo possibili e plausibili sgravi per favorire la partecipazione del privato nella gestione dei beni culturali del Paese.

Ecco -nell’elenco- alcuni degli spunti emersi nel corso degli interventi (rispetto a quelli programmati, l’unico "saltato" per ragioni di ospitalità e tempi è stato, purtroppo, quello del direttore della Domenica, Armando Masserenti, dedicato all’articolo 9 della Costituzione -che è rimasto, così, sullo sfondo-).

Il presidente del gruppo Sole 24 Ore (nonché di Fondazione Fiera Milano) ha proposto, ad esempio, che in occasione dell’Esposizione Universale del 2015 i Bronzi di Riace vengano portati da Reggio Calabria a Milano, ipotesi accolta in modo benevolo dal premier Letta.

Il professor Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma, oltre a ricordare che l’ente che amministra ha portato le reliquie di San Gennaro -che in 7° secoli non era mai uscito da Napoli- a Roma, e che "lo chiedono da Parigi, San Pietroburgo e Amsterdam", ha invitato a modificare la Costituzione. Non l’articolo 9, ma il 118, in merito alla "sussidarietà", introducendo sanzioni per quegli enti locali che, quando si rendono conto di "non esser più in grado di fare alcunché, che potrebbe invece far il privato", non rispondano positivamente a proposte che soggetti terzi presentino per la gestione del patrimonio artistico e culturale. Nel Lazio, la Fondazione avrebbe censito 42 luoghi della cultura chiusi, tra musei e biblioteche.
Dovremmo intervenire, secondo Emanuele, anche sulla normativa fiscale, che non prevede alcun incentivo (mediante sgravi, s’intende) in favore del mecenatismo e nemmeno della sponsorizzazione.

Ha ricordato anche un po’ di numeri: 1,8 milioni (gli occupati), 76 miliardi di euro, pari al 5,4% della ricchezza nazionale, il prodotto interno lordo del settore, che diventano 214 miliardi di euro (pari al 15% dell’economia del Paese) se consideriamo l’effetto traino per altri settori dell’economia, ad esempio il turismo e l’enogastronomia.

Marco Magnani, senior research fellow della Kennedy School of Government della Harvard University, ha spiegato che, in realtà, per ogni euro speso in cultura se non possono generare fino a 4, immaginando che a un finanziamento pubblico di 50 centesimi possa sommarsi un finanziamento privato della stessa entità. La cultura, cioè, avrebbe un grande impatto sulla crescita (ma se ad investire quell’euro fosse il pubblico, il risultato cambia?, ci si chiede…).

Secondo Giuseppe De Rita, del Censis, tra i colpevoli della situazione attuale -nessun museo italiano tra i primi 50 del mondo, per numero di visitatori- c’è il "grande potere romano, che espunto il privato e lo ha messo nei servizi accessori". Il 75% degli incassi del privato deriverebbero da servizi aggiuntivi, tra cui la gestione delle caffetterie.
"Il museo con più visitatori in Italia viene dopo il 10° museo in Europa: non esiste alcun campione nazionale". Secondo il presidente del Censis, che se la prende apertamente con i commentatori di alcuni noti quotidiani troppo vicini alle Soprintendenze- si dovrebbe rompere con una "dimensione verticale, e far aderire la politica culturale a una dimensione orizzontale, con obiettivo di rompere verticismo". In quest’ottica "il territorio diventa importante", perché "se non hai rapporto con i consumatori (sic!), ma solo con gli studiosi, magari stranieri, se non esci fuori, tu non farai mai una politica culturale".

Si potrebbe partire, è vero, dalla necessità di "valorizzare" il patrimonio diffuso in tutto il Paese. Ma questa valorizzazione non è, necessariamente, economica: i dati della Fondazione Roma evidenziano come il 58% delle presenza si concentrino nelle città di Roma e Firenze, ma questo dato riguarda i primi 50 siti a pagamento italiani. Perché esiste anche quel patrimonio -ad esempio i centri storici- per cui non è dato pagare. La cui promozione potrebbe assumere, ad esempio, la forma indicata da Enrico Letta, lanciando -in occasione degli "Stati generali della cultura"- la proposta di istituire, ogni anno a partire dal 2014, una Capitale italiana della cultura.

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