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Pensione etica alla canadese – Ae 82

Non solo fondi speculativi ai quali affidare la pensione. L’esempio del Quebec dimostra che esistono (o si possono costruire) altri modelli. Proprio quello che in Italia non si è voluto fare. Almeno finora Critiche e perplessità legate all’introduzione dei fondi…

Tratto da Altreconomia 82 — Aprile 2007

Non solo fondi speculativi ai quali affidare la pensione. L’esempio del Quebec dimostra che esistono (o si possono costruire) altri modelli. Proprio quello che in Italia non si è voluto fare. Almeno finora


Critiche e perplessità legate all’introduzione dei fondi pensione riguardano la finanziarizzazione dell’economia, ovvero lo spostamento di risorse -e di potere- dall’economia produttiva alla finanza. Il Trattamento di fine rapporto (Tfr) è attualmente una delle più consistenti fonti di finanziamento per le imprese, in particolare per quelle di piccole dimensioni -la quasi totalità in Italia-; i fondi pensione invece investono principalmente nei titoli delle grandi imprese quotate, e in gran parte sui mercati esteri. Secondo la legislazione italiana, il gestore di un fondo pensione deve perseguire unicamente gli interessi (economici) degliaderenti. Per questo tenere in considerazione criteri sociali o ambientali nella selezione dei titoli nei quali investire potrebbe porsi in contrasto con il mandato del gestore; investire in un’impresa che, per aumentare i profitti, non rispetta i diritti dei lavoratori o inquina l’ambiente potrebbe infatti garantire al lavoratore in Italia una pensione migliore. Un caso estremo, che aiuta a chiarire alcuni dei potenziali conflitti e paradossi della riforma previdenziale. Alcuni Paesi, invece, hanno adottato soluzioni alternative per affrontare i problemi dei fondi pensione. La Svezia, ad esempio, ha approvato nel 1998 una riforma che prevede, accanto alla previdenza pubblica, un meccanismo simile ai fondi pensione, gestito però da un’agenzia pubblica che interagisce con società di investimento private. Se rimangono valide diverse delle critiche mosse ai fondi pensione, viene almeno introdotto un maggiore controllo, una maggiore trasparenza e un “controllo” dei costi di gestione degli attori finanziari, mossi, a differenza del pubblico, unicamente dall’obiettivo della massimizzazione del profitto.L’esperienza più interessante in questo senso è forse quella del fondo di solidarietà dei lavoratori e delle lavoratrici del Quebec, promosso nel 1983 dal sindacato Ftq. L’obiettivo è quello di creare e mantenere posti di lavoro, investendo nelle piccole e medie imprese della regione, e dando agli aderenti un “rendimento equo”. Questo rendimento è stato del 6% nel 2006, e del 5%, in media, dalla nascita del fondo ad oggi. Per incentivare l’adesione, il governo ha previsto delle esenzioni fiscali. Per accedere a tali esenzioni, il fondo deve investire almeno il 60% del capitale raccolto in imprese locali con meno di 500 lavoratori e meno di 50 milioni di dollari canadesi di attivo, o in imprese estere che abbiano ricadute positive nel Quebec. I titoli e le imprese nelle quali investe il fondo di solidarietà sono selezionati anche in base a criteri di responsabilità sociale: le condizioni di lavoro, la tutela dei diritti umani e dei lavoratori e i rapporti dell’impresa con la comunità e i cittadini. Secondo i promotori, uno degli scopi è quello di incentivare la partecipazione dei propri aderenti alla vita delle imprese e di svolgere un’attività di formazione in materia finanziaria e di diritti sindacali. Il fondo non interviene nei rapporti interni all’impresa, di pertinenza dei sindacati direttamente coinvolti, tranne che in alcune situazioni particolarmente gravi. A fine 2003, ad esempio, i gestori hanno deciso di vendere le proprie quote e di uscire dal consiglio di amministrazione dell’impresa Gildan Activewear di Montreal, che si era rifiutata di reintegrare 38 lavoratori della fabbrica di El Progreso, in Honduras, licenziati per avere cercato di organizzarsi in un sindacato. La presa di posizione del fondo ha avuto forti ricadute sull’opinione pubblica e sulle successive scelte  dell’impresa coinvolta. La sua diffusione  e la conoscenza delle situazioni di opportunità o di rischio si basa su una rete di oltre 2.000 volontari attivi sul territorio e nei luoghi di lavoro. A fine 2006 il fondo del Ftq contava più di 550 mila aderenti e gestiva complessivamente quasi 7 miliardi di dollari canadesi (circa 4,5 miliardi di euro). Sulla falsariga dell’esempio del Quebec, altri strumenti sono nati negli ultimi anni, principalmente in Nord America. Sempre in Canada, i fondi d’investimento sindacale (Fis) hanno cercato di recuperare il criterio di mutualità, facendo convergere il risparmio individuale in piani pensionistici gestiti collettivamente, i Registered retirement saving plans. Negli Stati Uniti alcuni sindacati hanno realizzato dei fondi comuni d’investimento che hanno l’obiettivo di sostenere le economie locali e l’occupazione. I fondi pensione possono acquistare quote di questi fondi comuni di investimento, replicando così, anche se indirettamente e solo in parte, l’iniziativa del Ftq in Quebec. Ad esempio, già nel 1965 l’Afl-Cio, una federazione statunitense di 54 sindacati, ha promosso un fondo comune che investe nelle costruzioni di case a basso prezzo e con l’obiettivo di sostenere l’occupazione. Ad oggi oltre 400 fondi pensione hanno investito nel fondo dell’Afl, mostrando, tra le altre cose, che è possibile superare alcuni dei limiti imposti dalla normativa sui fondi pensione in materia di investimenti in titoli non quotati.

Queste proposte lasciano comunque aperte questioni sostanziali ed evidenziano nuove problematiche, a partire dalla capacità di misurarsi con il mondo finanziario. In Italia, malgrado la partecipazione diretta dei sindacati, fino ad oggi la gestione dei fondi pensione è stata di fatto nelle mani degli attori finanziari. Il rischio è quello di sottoscrivere le regole del gioco della finanza, il suo ruolo nel panorama economico e produttivo, accettando la logica neoliberista del primato del privato sul pubblico, e spostando la rivendicazione dei diritti dalla contrattazione sindacale al piano finanziario, in un confronto tra azionisti e non tra lavoratori

e dirigenza. I fondi del Quebec dimostrano, però, che anche in questo campo sono possibili indirizzi diversi e sperimentazioni che, per esempio, tengano presenti il sostegno ai lavoratori precari e la necessità di non penalizzare ulteriormente le piccole imprese che non hanno accesso ai mercati finanziari. In Italia l’attuale impianto della riforma appare per lo meno inadatto a rispondere a queste sfide. Nell’immediato la possibilità migliore per le lavoratrici e i lavoratori appare quella di tenersi stretto il proprio Tfr. Nel medio lungo periodo è necessario lavorare per abrogare -o quanto meno per rivedere sostanzialmente- una riforma che svende ai grandi attori finanziari alcuni diritti fondamentali e riduce la pensione pubblica a un’elemosina per il mantenimento della pace sociale.



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