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Economia / Opinioni

Patrimoniale, una via impervia se non si interviene sulle scappatoie fiscali dei ricchi

© Nikolaos Anastasopoulos - Unsplash

La concentrazione diseguale della ricchezza in Italia rende auspicabile un’imposta patrimoniale che renda il nostro sistema fiscale più equo e progressivo. Tuttavia si tratta di un’operazione complessa perché numerosi miliardari pagano gran parte delle imposte -molto poche, in verità- fuori dal nostro Paese. L’analisi di Alessandro Volpi

In Italia nel 2024 ci sono 73 miliardari, otto in più del 2023, che hanno un patrimonio complessivo di 301 miliardi di euro, ben 86 miliardi in più dell’anno passato, quando, appunto, il loro patrimonio era di 215 miliardi di euro.

È evidente che una simile concentrazione di ricchezza renda auspicabile un’imposta patrimoniale che serva a rendere il nostro sistema fiscale più equo e progressivo. Tuttavia, si tratta di un’operazione complessa perché molti di questi miliardari pagano gran parte delle imposte -molto poche- fuori dall’Italia.

L’italiano più ricco, Giovanni Ferrero, con un patrimonio di 42 miliardi di euro, è a capo di una holding che ha sede in Lussemburgo. Il secondo più ricco, Andrea Pignataro, deve la sua fortuna alla Ion Group, che ha sede fiscale in Irlanda. Il quarto, dopo Giorgio Armani, è Giancarlo Devasini, direttore finanziario e principale azionista di Tether, che ha sede fiscale a Hong Kong.

L’elenco dei miliardari che utilizzano sedi e residenze fiscali in luoghi ameni sul piano della tassazione potrebbe continuare. In altre parole, i super ricchi italiani si sono già organizzati da tempo contro le imposte, anche quelle “ordinarie”, senza scomodare le patrimoniali.

Dunque, se non si introduce una normativa stingente in materia di sedi fiscali, la pur auspicabile introduzione della patrimoniale rischia di essere un’arma spuntata. Una strada decisamente impervia. L’ultimo rapporto sulle destinazioni privilegiate delle grandi corporation presenta infatti un quadro davvero sconfortante: nei primi dieci posti figurano otto realtà, a diverso titolo, legate all’Europa.

Nella blacklist compaiono infatti Svizzera, Olanda, Irlanda e Lussemburgo, a cui vanno aggiunte l’Isola di Jersey nel canale della Manica, che è una dipendenza diretta della Corona britannica, le Isole Vergini Britanniche, le isole Cayman che costituiscono un territorio britannico d’Oltremare, così come le isole Bermuda. Si tratta di destinazioni dove le grandi multinazionali sottraggono al fisco dei vari Stati circa 500 miliardi di dollari ogni anno. Ma la questione della concentrazione della ricchezza è assai più complessa. Il compito del capitalismo finanziario, infatti, è quello di arricchire sempre di più i super ricchi.

Nel 2005 l’uomo più ricco del mondo, Bill Gates, aveva un patrimonio di circa 50 miliardi di dollari, nel 2015 lo stesso Gates, ancora l’uomo più ricco del mondo, aveva un patrimonio di circa 80 miliardi di dollari. Nel 2018, l’uomo più ricco, Jeff Bezos, aveva un patrimonio di 112 miliardi ma già nel 2021, lo stesso Bezos aveva superato i 177 miliardi. Nel 2024, l’uomo più ricco del mondo è Elon Musk, con un patrimonio di oltre 260 miliardi; se al suo patrimonio si aggiungono quelli di Bezos e Zuckerberg si arriva ad un totale di quasi 700 miliardi di dollari.

In sintesi, i tre più ricchi del mondo hanno oggi una ricchezza pari a quella dei primi 100 miliardari del 2005. Dunque, i super ricchi non hanno risentito di alcuna crisi o di alcuna guerra.

Ma da cosa dipende questa esplosione? Da un dato molto chiaro: la ricchezza di Musk, Zuckerberg e Bezos dipende dalla lievitazione stellare del valore delle azioni delle società in loro possesso, molto di più di quanto non dipenda dai fatturati e dai margini delle loro imprese. Solo per citare un esempio, Tesla ha fatto fatturati nel 2023 per meno di 25 miliardi e aveva una capitalizzazione di oltre 520 miliardi che è salita a 700 nel 2024 senza grosse differenze nel fatturato. La ricchezza finanziaria, alimentata dagli acquisti azionari dei tre grandi fondi americani BlackRock, Vanguard e State Street, rende i super ricchi dei “ricchi assoluti” senza grandi cambiamenti nell’economia reale.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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