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Sport / Approfondimento

Nelle palestre popolari la passione per lo sport si coltiva da piccoli

Un allenamento della Palestra popolare San Lorenzo di Roma, che coinvolge un centinaio di bambini dai 3 anni e mezzo in sù © Alessandra Carenza

I prezzi contenuti e la possibilità di un riscatto avvicinano anche i più giovani agli spazi sociali. Che offrono occasioni d’integrazione, educazione, crescita e tutela della salute. Una risposta alla sedentarietà e al business dello sport

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

All’ultima edizione dei campionati nazionali ASI, le ragazze della squadra di ginnastica artistica “Tufello” di Roma hanno fatto incetta di medaglie: tre ori, cinque argenti e nove bronzi tra classifica generale, individuale e di specialità. “E pensare che quando abbiamo iniziato avevamo solo due materassi e una trave”, ricorda Giulio Bartolini, socio fondatore e anima dalla palestra popolare “Valerio Verbano” di Roma. Uno spazio nato nel 2008 con l’occupazione di alcuni locali in un complesso di case popolari nel quartiere Tufello e con un obiettivo ben preciso: dare ai bambini e ai ragazzi del quartiere un’alternativa alla strada. Uno spazio sano dove trascorrere il tempo libero, fare amicizia, fare sport e crescere insieme.

“All’inizio ci siamo rivolti soprattutto agli adulti, con la boxe e altri sport da combattimento, perché quello era l’ambiente da cui venivamo io e gli altri soci -ricorda Giulio-. Oggi abbiamo i corsi di karate e capoeira per i ragazzini fino a 14 anni”. Ma la vera sorpresa è stato il boom della squadra di ginnastica artistica: 93 bambine dai 3 ai 17 anni che, da un paio di stagioni, fanno incetta di titoli a livello regionale e nazionale. Non è una palestra patinata, la “Valerio Verbano”, ma per le famiglie del quartiere è diventata un punto di riferimento irrinunciabile: “Abbiamo tenuto i prezzi bassi, 30-35 euro al mese per chi se lo può permettere. Questo è possibile anche grazie alla solidarietà e all’impegno dei genitori che si fanno in quattro per darci una mano -spiega Giulio-. Organizziamo cene di autofinanziamento per pagare le lezioni di chi ha bisogno, per dare a tutti la possibilità di praticare sport ad alti livelli”.

A una manciata di chilometri dal Tufello, anche la storica Palestra popolare San Lorenzo ha aperto i suoi spazi e i tatami ai più piccoli. “Da noi vengono soprattutto giovani universitari del quartiere San Lorenzo, che si avvicinano per i corsi di boxe e kick boxing -spiega Alessandra Carenza, ex atleta e oggi istruttrice di taiji quan, un’arte marziale di origine cinese-. Iniziare a lavorare con i bambini ci ha permesso di aprirci al territorio, farci conoscere anche da quelle famiglie che altrimenti non si sarebbero mai avvicinate a una palestra popolare”. Oggi sono circa un centinaio i bambini dai tre anni e mezzo in su (120 contando anche i ragazzi delle scuole superiori) che frequentano corsi di psicomotricità, karate, capoeira, boxe e arrampicata sportiva negli spazi occupati in via dei Volsci. Alle attività al chiuso, si è unita dal 2013 l’attività dell’Atletico San Lorenzo, società sportiva dilettantistica che oggi schiera anche un centinaio di piccoli calciatori e calciatrici di 15 diverse nazionalità.

Anche qui si è deciso di mantenere prezzi popolari, per garantire a quante più famiglie possibile la possibilità di iscrivere i propri figli ai corsi di karate o di calcio: “Normalmente a Roma si spendono 50-60 euro al mese per un corso di karate. Per un corso di psicomotricità si può arrivare anche a 80 euro al mese. Alla San Lorenzo chiediamo 105 euro ogni tre mesi per le attività rivolte ai bambini”, spiega Alessandra.

Ma il valore aggiunto di questi spazi non si esaurisce nelle politiche di prezzo. “Ci siamo interrogati a lungo su quale fosse il senso delle palestre popolari -riflette Giulio Bartolini-. Noi ci siamo sempre battuti affinché la nostra palestra fosse uno spazio che dà alla gente ciò che gli è stato tolto con l’avvento di quelli che io chiamo ‘centri commerciali dello sport’. Le grandi palestre che chiedono abbonamenti da cento euro al mese, che in pochi si possono permettere. Vogliamo offrire un’alternativa dignitosa e professionalmente qualificata”.

La squadra di rugby dei “Briganti di Librino”, che dal 2005 si allenano in uno dei quartieri più difficili di Catania © Rachele Tosto

“L’attività sportiva, soprattutto quando si rivolge ai più piccoli, non deve essere legata solo ai risultati agonistici -aggiunge Alessandra Carenza-. Non ha senso impegnare bambini piccoli in allenamenti stancanti, facendo ripetere loro lo stesso movimento: il rischio è quello di incentivare l’abbandono. Noi, al contrario, proponiamo un approccio multilaterale, per fare in modo che tutti possano giocare e divertirsi”.

Favorire la pratica sportiva tra i piccoli e fare in modo che questa si prolunghi il più possibile nel tempo ha molti effetti positivi sia sulla salute che sullo sviluppo. “Il bambino che non svolge attività sportiva, anche di tipo libero, perde la capacità di crearsi un bagaglio di schemi motori di base per l’età adolescenziale e adulta -spiega ad Altreconomia Paolo Gaffurini, docente presso l’Università degli Studi di Brescia nel corso di Laurea in Scienze motorie-. La fase che va dagli 8 agli 11 anni viene definita ‘periodo d’oro’ della motricità. È in questo periodo che i bambini devono sperimentare e provare vari sport, per poter acquisire queste competenze”. Chi passa troppe ore in casa -sui libri o davanti alla tv-, senza possibilità di giocare liberamente all’aria aperta o fare sport, rischia di non riuscire a svolgere attività semplici come afferrare un pallone, correre e fermarsi senza cadere, cambiare direzione in corsa senza scivolare: “Insegno minibasket da 12 anni -aggiunge Gaffurini-. La mia sensazione è che queste capacità molto basilari siano sempre più in declino”.

“Ci siamo sempre battuti affinché la nostra palestra fosse uno spazio che dà alla gente ciò che gli è stato tolto con l’avvento di quelli che io chiamo ‘centri commerciali dello sport’” – Giulio Bartolini

A Bologna, anche la palestra popolare del TPO (storico spazio occupato del capoluogo emiliano) organizza da alcuni anni corsi di boxe per ragazzini dai 12 ai 17 anni, oltre alla squadra giovanile di calcio della polisportiva “Hic Sunt Leones Pescarola”, che prende il nome dall’omonimo quartiere. Un’ottantina i minori coinvolti nel corso del 2017, tra cui diversi rom, minori stranieri non accompagnati, bambini e ragazzi di origine straniera. “Abbiamo anche avviato alcuni percorsi con il tribunale dei minori e con ragazzi che ci sono stati segnalati dai servizi sociali del Comune”, racconta Domenico Mucignat, del TPO. Grazie al progetto “Sport insieme”, sostenuto da Fondazione Banca Etica, la polisportiva potrà ampliare le attività dei corsi di pugilato e calcio, oltre all’avviamento di un settore giovanile di rugby.

Ma il valore dello sport non si esaurisce solo nelle ricadute positive sulla salute. Ci sono luoghi dove un tatami, un canestro o un campo di erba verde possono diventare strumenti preziosi per togliere i ragazzini dalla strada. “Siamo convinti che attraverso il rugby si possa fare un’attività educativa, prima che sportiva”, spiega Piero Mancuso, uno dei fondatori dei “Briganti di Librino”, società sportiva nata nel 2005 per iniziativa di un gruppo di attivisti del centro sociale “Iqbal Masih” in uno dei quartieri più difficili di Catania. Grazie all’impegno di una quarantina di volontari, i 350 giovani tesserati (dall’under 8 all’under 18) possono allenarsi e giocare gratuitamente: in un contesto come questo, chiedere il pagamento di una retta, anche se simbolica, significa escludere dei ragazzi. Molti passano al campo per curiosità, qualcuno con atteggiamenti da bulletto di periferia: “Si fermano perché trovano qualcosa che li appassiona -aggiunge Mancuso-. Trovano un ambiente totalmente diverso da quello che abitano, che per tanti è la strada. Un ambiente fatto di fatica, orari e regole da rispettare, di relazioni con i compagni e gli allenatori. Ma anche di premi, traguardi e soddisfazioni”. Il campo di rugby diventa così un luogo dove i ragazzi possono costruire un’immagine di sé diversa da quella che viene appiccicata loro addosso in quanto abitanti di una periferia. Un impegno scomodo, quello dei Briganti. Lo scorso gennaio un incendio doloso ha distrutto la club house, lo spazio in cui la società organizza i terzi tempi dopo le partite, e i locali destinati al doposcuola, la Librineria: “È stata una mazzata -ammette Mancuso-. Ma i ragazzi ci hanno obbligato a ripartire il giorno dopo. E grazie alla straordinaria solidarietà che ci è arrivata da tutta Italia, in due mesi abbiamo potuto ripartire. Quello che ci manca ancora è il coinvolgimento dei genitori, la loro presenza sarebbe molto importante per consolidare quello che viene costruito sul campo”.

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