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Altre Economie

Occupazione libera tutti

Dal 2009 una casa cantoniera ha conosciuto nuova vita, conciliando spazi sociali ed economie solidali

Tratto da Altreconomia 146 — Febbraio 2013

“La prima asta era andata deserta, la seconda l’abbiamo bloccata noi: occupando”. Era il 2009 ed è così, racconta Silvio, che è nata “Casa Bettola” (www.casabettola.org). La Provincia di Reggio Emilia avrebbe voluto vendere la vecchia casa cantoniera in fondo alla Ss 63 del Valico del Cerreto. Che è stata trasformata, invece, in un cantiere di idee e pratiche, autogestite ed alternative, alle porte della città emiliana. “All’inizio questa era una occupazione a scopo abitativo -continua Silvio-: siamo vicino a un vecchio quartiere popolare, il ‘Quartiere Compagnoni’, che è stato quasi interamente demolito, e in via Bismantova c’è un comitato cittadino molto attivo. Quindi abbiamo aperto da subito uno sportello per il diritto alla casa”, cui via via si sono aggiunti lo “Spazio incontro”, una scuola d’italiano “di donne per le donne”, un atelier di gioco per i bambini, una scambioteca per i vestiti, un mercatino del biologico di filiera corta, un forno in comune e -infine- un’osteria, “Casa Bietola”.
Tutte le attività sono collegate da un gomitolo di filo rosso, che è anche il simbolo di “Casa Bettola”, sulla cui carta d’identità è scritto “casa cantoniera autogestita”: “Mentre le madri frequentano la scuola, che è attiva due pomeriggi a settimana, i figli giocano allo ‘Spazio incontro’, che è gestito da volontari che nelle vita fanno gli educatori”, spiega Silvio.
“L’assemblea è composta da una dozzina di persone -continua-, anche se è difficile quantificare quante siano quelle che rendono possibili tutte le attività della Casa”. Che partono, necessariamente, dall’auto-recupero dello stabile su due piani, in via Martiri della Bettola: “Abbiamo risistemato il tetto, e realizzato un sistema di riscaldamento anche al piano inferiore -racconta ancora Silvio-. Ciò serve anche a dimostrare che, mentre le altre case cantoniere hanno ancora i buchi sui tetti, noi abbiamo saputo restituire uno spazio alla città. Alla base dell’occupazione, infatti, c’è stata un’idea di difesa del ‘bene comune’”.
Come l’acqua, che ha portato Ae a “Casa Bettola”, per una serata promossa dal Comitato acqua bene comune di Reggio Emilia, in vista della ri-pubblicizzazione del servizio idrico integrato (vedi a p. 12). 
“Per la Provincia quest’area ha solo un valore commerciale. Noi dimostriamo il contrario” conclude Silvio, mentre riscalda il forno per la pizza.
Con lui c’è Fedele, che si occupa del “Forno comune”: “È un forno a legna in terra cruda, e l’abbiamo auto-costruito nella Primavera del 2012, partecipando ad un corso di formazione tenuto gratuitamente da un artigiano tedesco. La pizza la facciamo una volta a settimana, di solito al mercoledì sera, dopo il mercatino dei produttori biologici. Questo ci permette di usare come materie prime quelle che acquistiamo sui banchetti che ospitiamo, ma anche di far incontrare le persone”.
“La costruzione del forno all’interno della casa cantoniera è anche un modo per continuare il recupero degli ambienti di uno spazio lasciato abbandonato per anni: il fuoco lascia calore, profumi e luce” spiegano quelli di Casa Bettola sul proprio sito. A gestirlo sono una decina di volontari. Il forno viene acceso ogni sabato, “servono 2-3 persone per ogni turno” spiega Fedele. Chiunque “può portare la propria massa, fatta a casa. Al momento, non abbiamo fatto ancora molta pubblicità alla presenza di un ‘forno condiviso’ nel quartiere, perché siamo ancora in un periodo di sperimentazione”.
Più strutturato, invece, il “Mercato Bio Bettola”, che si tiene una volta per settimana, al mercoledì, dalle 18 alle 20: “All’inizio lo abbiamo chiamato ‘mercato non mercato’ -racconta Giuliano, che nel frattempo allestisce la sala per la cena-: è gestito da un’assemblea che riunisce, ogni mese, produttori e consumatori. Anche quella di ‘aprire’ solo per due ore è una scelta, che vuole dare la percezione della ‘falsa libertà’ collegata alla possibilità di acquistare all’orario che uno vuole”. Sono una decina i produttori coinvolti, tre dei quali espongono ortaggi e verdure. Poi ci sono latticini, vino, peperoncino. “Chi partecipa al mercato lascia anche un elenco di prodotti e prezzi della settimana successiva -spiega Giuliano-. In questo modo, c’è anche la possibilità, attraverso una mailing list di ordinare. Sono una ventina le famiglie che ordinano così. È in questo modo che aiutiamo i produttori a calcolare quante cose portare: c’è chi compra direttamente al mercato e chi ha pre-ordinato”.
Forno Comune, Mercato Bio e un’Osteria, aperta per il momento in modo sporadico, “per iniziative di auto-finanziamento”. A metà ottobre 2012 Casa Bettola ha ospitato “Terre Resistenti”, luogo d’incontro tra spazi sociali ed economie solidali, ambiti che spesso s’intrecciano con le gambe sotto un tavolo nelle osterie biologiche di Reggio Emilia, Empoli (al Csa “Intifada”) e Parma (alla BiOsteria della casa cantoniera autogestita). Due anni e mezzo fa l’esperienza di “Casa Bettola” era finita sotto sgombero. Nell’estate del 2010 la Provincia aveva manifestato nuovamente la volontà di cedere l’immobile “con la motivazione di doverne destinare i proventi alla manutenzione degli edifici scolastici”, come si legge nella lettera aperta che una ventina di realtà reggiane avevano firmato.
C’è una rete, intorno a “Casa Bettola”, che anche durante l’emergenza freddo dell’inverno scorso ha mostrato di tessere reti con tutta la città: “Abbiamo deciso, insieme al centro sociale, di aprire uno spazio dormitorio all’interno della ‘Casa’ -spiega Marcella-; per questo, abbiamo scritto una lettera aperta alla città, spiegando perché avevamo scelto di aprire i nostri spazi per affrontare l’emergenza. In molti hanno risposto, mettendo a disposizione materassi e coperte. Il nostro intento non era quello di sostituirci agli altri soggetti impegnati su questo fronte, Comune, Caritas, assistenti sociali”.
Così facendo, però, gli occupanti di “Casa Bettola” hanno reso palese l’idea di accoglienza. 
Una storica realtà reggiana, come la Mag6, la mutua autogestione del risparmio che ha sede in città, ha tenuto nella casa cantoniera occupata la propria assemblea dei soci nel 2012. “Con loro -racconta Giuliano- stiamo discutendo la possibilità di un finanziamento per i pannelli fotovoltaici sul tetto. Del resto -spiega-, per noi questa casa è e dev’essere un laboratorio”. Mi indica le pareti della stanza in cui sediamo: sono dipinte con una pittura naturale, auto-prodotta con farina di riso e ossido di ferro. —

Il colore che resiste
Si chiama “Ex colorificio liberato”, e nel nome c’è tutto. Alle porte di Pisa c’è un edificio di circa 14mila metri quadri dove fino a pochi anni fa (2008) si producevano vernici. Era il Colorificio Toscano. Acquistato da una multinazionale, J Colors, dopo pochi anni era stato chiuso e abbandonato, fino al 20 ottobre 2012 quand’è stato occupato dal Progetto Rebeldia. Ed è diventato la sede del “municipio dei beni comuni” della città toscana. Lo spazio è liberato perché è stato restituito alla città, ma anche perché gli occupanti -nell’ambito della campagna del Wwf “Riutilizziamo l’Italia”- stanno avviando una progettazione partecipata per scegliere che cosa fare dello spazio. Potrebbe diventa un mercato aperto, un’area è dedicata alla coltivazione di orti urbani; nei capannoni potranno trovare spazio  laboratori artigianali legati al riciclaggio (dalla pietra alla falegnameria), oltre alla ciclofficina.  “Rebel painting” è il titolo del libro che accompagna l’occupazione (lo potete scaricare dal sito www.inventati.org/rebeldia). Nella seconda parte (“J Colors: anatomia di un modello predatorio”), che si apre con un articolo di Francesco Gesualdi del Centro nuovo modello di sviluppo, vengono ricostruite le ragioni economiche che hanno portato la multinazionale a chiudere il Colorificio Toscano, mantenendone in vita però il marchio. Per spiegare che l’“Ex colorificio occupato” è (anche) una risposta agli effetti locali di strategia globali, che spesso si traducono solo nell’abbandono e nella “valorizzazione” immobiliare degli spazi..

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