Non solo “cibo degli dei” ma “lavoro degli uomini” – Ae 65
Numero 65, ottobre 2005 A Perugia c’è Eurochocolate, a Gubbio gli fanno il controcanto e organizzano Altrocioccolato: giorni di festa, degustazioni e spettacoli ma anche incontri per cambiare i rapporti tra consumatori e produttori Incredibile cioccolato! Impossibile parlarne male, mette…
Numero 65, ottobre 2005
A Perugia c’è Eurochocolate, a Gubbio gli fanno il controcanto e organizzano Altrocioccolato: giorni di festa, degustazioni e spettacoli ma anche incontri per cambiare i rapporti tra consumatori e produttori
Incredibile cioccolato! Impossibile parlarne male, mette d’accordo tutti, i paladini della società dei consumi e quelli della sobrietà, Slow food e commercio equo, edonisti e consumatori critici. Tutti a tessere incondizionatamente l’elogio del “cibo degli dei”.
È incredibile il giro d’affari che il cioccolato muove: in Italia ne consumiamo, lattanti compresi (le statistiche sono così, alle volte ridicole), oltre 4 chili a testa e ne produciamo per 2,6 miliardi di euro. Ogni europeo spende in praline e prodotti a base di cacao qualcosa come 52 euro l’anno. Attorno al cioccolato sono nate riviste, siti web e anche agenzie di viaggio specializzate (se non ci credete date un’occhiata a www.chocotravels.com). C’è poi tutto un ricco filone cinematografico che fa leva sul tema: l’ultimo film, uscito nelle sale il 23 settembre, è La fabbrica di cioccolato, prodotto -è il caso di dirlo- con circa 700 mila litri di cioccolata Nestlé (vedi box nella pagina successiva).
Infine ci sono le fiere, che sono un business a parte. In ottobre a Parigi c’è il salone del cioccolato (150 espositori, 12 mila metri quadrati, 12 euro di biglietto d’ingresso per gli adulti, 120 mila visitatori l’anno scorso, edizioni gemelle a New York, Tokio e, per la prima volta, a Pechino).
E, sempre in ottobre, l’Umbria, tra Perugia e Gubbio, si propone come capitale italiana del cioccolato, definizione peraltro discutibile visto che in Italia molti distretti, dal Piemonte a Modica in Sicilia, vantano prestigiose tradizioni cioccolatiere (e relativo giro d’affari). Ma si sa, questo nostro tempo vive di definizioni e di eventi…
A Perugia dal 15 al 23 va in scena Eurochocolate, vera kermesse nazionale giunta ormai alla dodicesima edizione, 900 mila visitatori stimati lo scorso anno (vedi box a pagina 9). Dal 2001 il commercio equo dell’Umbria lancia un’iniziativa parallela che, pur facendo propria l’idea di un evento che faccia festa intorno al cioccolato, sia anche di controinformazione e di sensibilizzazione. Nasce Equochocolate, ma Eugenio Guarducci, presidente di Eurochocolate, è più veloce e, mentre la gente del commercio equo è tutta presa nell’organizzare seminari e dibattiti, registra il marchio. “Per tutelarmi” dice lui, “e senza obiettivi commerciali”. (Eppure adesso un cioccolato con questo marchio, prodotto dal “Laboratorio don Puglisi” di Modica, e con una royalty dell’8 per cento che Guarducci promette di destinare a progetti nel Sud del mondo, è in vendita per 2 mesi nella rete degli Autogrill).
Il commercio equo comunque nel 2004 rilancia con Altrocioccolato e fa il botto: 50 mila visitatori stimati e il tutto esaurito nelle strutture turistiche di Gubbio. La disfida è lanciata: 70 stand, serate di festa e musica, degustazioni, l’appuntamento con il “cioccolato giusto” quest’anno è dal 20 al 23 ottobre nella città eugubina e, per la prima volta, noi di Altreconomia dedichiamo la copertina all’impari confronto.
Ma qual è il tema del contendere?
Alla fine potremmo dire che Eurochocolate e Altrocioccolato sono entrambi due fiere, in entrambe si vende e si spende, sia a Perugia sia a Gubbio si fa festa, si organizzano convegni, si riempiono piazze e strade. La differenza che balza all’occhio è che Eurochocolate è più grande, patinata, e consumista, e Altrocioccolato inguaribilmente alternativa, più piccola e artigianale. A lavorarci, l’associazione Umbria EquoSolidale ha alcune persone a tempo parziale e una marea di volontari. Dall’altra parte uno staff agguerrito e professionale che lavora a tempo pieno per tutto l’anno (e poi si avvale, durante l’evento, di diverse centinaia di standisti e decine di imprese che allestiscono gli spazi, curano gli allacciamenti, montano gli impianti elettrici, progettano il materiale grafico eccetera eccetera: una mole di lavoro e un giro d’affari di tutto rispetto).
La differenza però non è solo negli esiti delle due fiere (che pure contano, e i numeri sono lì a dimostrarlo) ma piuttosto nel motore (e questo è meno evidente): ciò che muove Eurochocolate e altre manifestazioni di questo tipo è l’evento commerciale, e la festa e la cultura sono funzionali all’obiettivo di vendere; ciò che muove invece Altrocioccolato è la ricerca di nuovi equilibri tra produttori del Sud e consumatori del Nord, e la vendita dei prodotti è funzionale a questo obiettivo principale.
Insomma, la differenza è ciò che sta al centro. Altrocioccolato “vuole sensibilizzare il grande pubblico su produzione, commercializzazione e consumo del cacao, ma poi anche di altro bene di cui siamo soliti far uso”.
Il cacao non è d’altra parte un prodotto qualsiasi; di cacao vivono o muoiono alcuni Paesi, soprattutto africani: qui è concentrato il 72 per cento della produzione di fave di cacao; il 13 per cento viene dall’America e il 15 per cento dall’Asia (soprattutto dall’Indonesia che, da sola, produce l’80 per cento del totale di quest’area).
Il 40 per cento delle fave di cacao di tutto il mondo sono coltivate in Costa d’Avorio. Quando, nel settembre 2002, nel Paese è scoppiato il conflitto tra governo centrale e milizie armate nel Nord e nell’Ovest, sui mercati internazionali del cacao (due le Borse di contrattazione: New York e Londra) i prezzi si sono immediatamente infiammati alzandosi fino al 45 per cento. Degli aumenti, che hanno comunque tenuto banco per 8 mesi, i 5 milioni di contadini ivoriani non hanno visto neppure l’ombra: i prezzi minimi di acquisto quotati alla Borsa ivoriana sono passati da 600 a 625 franchi cefa al chilo (un incremento di meno del 5 per cento, circa 4 centesimi di euro). A fare affari sono stati semmai i grandi traders e le multinazionali del cacao.
Anche così comunque, una tonnellata di fave di cacao, veniva pagata meno della metà di quanto era pagata agli inizi degli anni ’70. L’anno successivo, il raccolto del 2003-2004 è andato molto bene (+ 10 per cento), e i prezzi alla produzione sono scesi di un ulteriore 25 per cento.
Interessante vero? Come dire che i contadini coltivano e producono di più ma guadagnano di meno. Comunque meno della metà di quanto venivano pagati per ogni tonnellata prodotta 35 anni fa.
La povertà in questi Paesi è a livelli drammatici: periodicamente viene denunciato lo sfruttamento di lavoro minorile e schiavo nelle piantagioni di cacao, e il traffico di bambini comprati nei Paesi ancora più poveri, Togo e Benin, e venduti a quelli come la Costa d’Avorio dove serve la manodopera. Per molti di loro la prospettiva è 15 ore di lavoro e condizioni inumane di sopravvivenza.
Per quanto riguarda invece la trasformazione del cacao, è concentrata in Europa (43 per cento) e in America (26 per cento): in cima alla classifica mondiale ci sono i Paesi Bassi. Ma anche i Paesi produttori stanno cercando di non esportare solo le fave di cacao ma, almeno, i semilavorati, a più alto valore aggiunto. Così la Costa d’Avorio alla fine degli anni ’90 ha sostituito la Germania al terzo posto mondiale dei Paesi trasformatori. Il processo è sostenuto dai governi ma anche dagli investimenti delle multinazionali.
Si può parlare di tutto questo in una grande festa dedicata al cioccolato, non soltanto di “cibo degli dei” ma anche di “lavoro degli uomini”?
È quello che promettono sia Eurochocolate sia Altrocioccolato: per i primi però tutto questo è marginale, per i secondi è centrale.
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Eurochocolate: un fatturato milionario
L’idea originale, oltre al cioccolato, sta negli stand, 150 quest’anno: a gestirli, con centinaia di giovani reclutati per l’occasione, è direttamente Eurochocolate, che compra il cioccolato dai produttori (che pagano lo stand come in una normale fiera ma non devono preoccuparsi di gestirlo) e poi lo rivende ai visitatori della kermesse di Perugia. Secondo quanto ci dice Eugenio Guarducci, 42 anni, inventore e presidente di Eurochocolate, il fatturato dell’evento è di circa 5-6 milioni di euro l’anno. Le voci d’entrata sono soprattutto 3: gli sponsor, gli eventi finanziati e, appunto, la vendita di cioccolato (7-8 euro lo scontrino medio). 800 bancali di merci movimentati lo scorso anno, 900 mila visitatori stimati, 227 mila biglietti di autobus venduti.
Si calcola che chi si è fermato a Perugia abbia speso in media 50-60 euro: potrebbe significare che l’evento produce un giro d’affari di circa 40-50 milioni di euro.
Ma chi organizza Eurochocolate? La Gioform di Perugia che però è un ufficio di Apice, società srl, che di per sé è attiva nel campo dell’edilizia ed è proprietaria anche dell’Etruscan choco hotel e dell’Hotel Gio’ arte e vini, entrambi a Perugia. La società è attiva anche nelle Marche, a Macerata (case e appartamenti per vacanze) e a Porto Recanati con un albergo ristorante. Eurochocolate è andata anche in trasferta: negli anni passati a Roma e Torino, quest’anno a Modica.
Ma il bagno nel cioccolato, il chocosindaco, la corsa dei Baci Perugina (contestatissima perché accusata di fare il verso alla storica corsa dei ceri di Gubbio), l’isola dei golosi, tutto questo non è di cattivo gusto, una parodia della vita, con esito caricaturale? E non è un inno al consumismo? Guarducci respinge al mittente entrambe le accuse. In particolare dice:
“È una manifestazione consumistica? Né più né meno di un centro commerciale aperto la domenica”. Come dargli torto?
Gubbio, ospiti anche in famiglia
A Gubbio dal 20 al 23 ottobre. L’anno scorso sono arrivati in 50 mila. Rispetto alle cifre milionarie di Eurochocolate, Altrocioccolato è fatto in economia con tanto lavoro volontario. Circa 70 mila euro coperti con gli stand, qualche contributo, gli eventi, e la mensa (gestita da volontari nei locali storici degli Arconi, dove di solito si organizza la corsa dei ceri).
Basta cliccare su www.altrocioccolato.it per avere il programma. Per chi si vuole fermare a dormire c’è anche la possibilità (se è rimasto posto) di un’ospitalità in famiglia. Feste, mimi in strada, coinvolgimento delle scuole, convegni. Ma anche provocazioni: Perugia è la città della Perugina e, quindi, della Nestlé. La multinazionale è da qualche anno tra le più visibili di Eurochocolate. Al suo patron Guarducci, che vorrebbe il commercio equo anche a Perugia, il commercio equo umbro e le centrali di importazione hanno risposto picche: almeno finché Nestlé non accetta confronti o, meglio ancora, cambia le sue politiche commerciali sul latte per i bebè.
Chi vince potrà visitare la Nestlé
Come un film
Poteva essere una bella fiaba a happy end, e invece.
La fabbrica di cioccolato, il nuovo film di Tim burton con Johnny Depp (che si ispira al libro di Roald Dahl che proprio una fiaba per bambini non è), ha scatenato un’accesa polemica negli Stati Uniti perché il fornitore di 700 mila litri di cioccolato è, neanche a dirsi, Nestlé.
In occasione del lancio del film nelle sale cinematografiche americane la multinazionale del cacao sta commercializzando una nuova merendina golosa, la barretta Wonka, e i bambini fortunati che nell’involucro troveranno un bigliettino dorato, proprio come capita a Charlie -il piccolo protagonista della storia che riesce a realizzare il suo sogno- potranno visitare una delle fabbriche di cioccolato dell’azienda e gli studi della Warner Bros a Hollywood.
Global Exchange, ong attiva nel campo del commercio equo e solidale non ci sta e ha lanciato una campagna di informazione sul lavoro minorile in Costa d’Avorio, dove Nestlé si rifornisce per il suo cioccolato.
Tra le iniziative della campagna, l’invio di una lettera a Joe Weller, amministratore delegato del colosso svizzero in America, per chiedere maggiori controlli nelle piantagioni dove i bambini lavorano in condizione di schiavitù e per utilizzare cioccolato del commercio equo per la fiabesca barretta Wonka.
Ecco alcune delle richieste contenute nella lettera (che potete scaricare da www.globalexchange.org nella sezione Get involved: Tell Nestlé to End Child Slavery on Cocoa Firms):
Gentile Signor Weller, le chiedo di intervenire affinchè Nestlé:
– acquisti in Costa d’Avorio solo cacao del circuito del commercio equo e solidale, l’unico marchio che garantisce un prezzo giusto per i piccoli produttori e assicura che i bambini non lavorino in condizioni di schiavitù,
– permettere ai rappresentanti della società civile di verificare le condizioni di lavoro nelle piantagioni di cacao dove vi rifornite,
– svelare quali sono i vostri progetti “multi-miliardari” che sostenete di realizzare in collaborazione con ong e organizzazioni internazionali nei Paesi in via di sviluppo.