Interni
Non è sufficiente!
Chi non ha la possibilità di prendersi cura di congiunti malati ha il diritto di vederli assistiti in strutture pubbliche o a casa, indipendentemente dal reddito —
Suo padre ha ottant’anni, e il 15 maggio scorso è stato colpito da un ictus. Dopo dieci giorni d’ospedale Corrado gli ha fatto ombra accompagnandolo in un centro di riabilitazione intensiva, sul lago di Como. Due mesi, poi le dimissioni, con l’augurio di rimettersi: a casa. È necessario un montascale, che Corrado ordina a luglio, al costo di 11mila euro più Iva a rampa. Il Comune lombardo dove risiede suo padre rimborsa soltanto il 10% dell’investimento. Tra dieci anni, però, grazie alle agevolazioni fiscali dirette alle ristrutturazioni interne, potrà recuperare la metà della spesa. Al termine dei lavori sulle scale, a Corrado il Servizio sanitario nazionale dice “scelga lei l’attrezzo gratuito, o la carrozzina o il letto”. La scelta ricade sulla carrozzina, perché il padre è paralizzato sul lato sinistro e c’è bisogno di un letto ad hoc. Costo: 1.000 euro più Iva, che se è riconosciuta l’invalidità è agevolata (10%). Dopodiché suo padre, finalmente, torna a casa. Dura poco, perché ha una ricaduta e torna per 15 giorni alla casella dell’inizio, l’ospedale. Quando si rimette, Corrado riesce a riportarlo a casa, facendolo seguire da un fisioterapista e un logopedista. Sono prestazioni gratuite garantite da Regione Lombardia, che dopo due mesi scadono.
Parallelamente è attivata l’opzione dell’assistenza domiciliare, il cui costo è commisurato in base all’indicatore della situazione economica equivalente (Isee, vedi Ae 154). La pensione mensile di suo padre è di 1.000 euro, dunque paga l’intero. L’assistente che viene una volta alla settimana a curarne l’igiene personale costa 15 euro l’ora più Iva (4%). Quando va in stampa questo numero di Ae mancano poche settimane al termine dei due mesi garantiti dalla Regione. Per prepararsi, Corrado e la sua famiglia stanno attivando una rete di persone che dia una mano. Il destino, però, è segnato: toccherà assumere una badante. A far le cose in chiaro, riconoscendo i contributi, un’assistente a tempo pieno costa 2.500 euro lordi al mese. Un incubo per qualunque famiglia normale, travolta da un disagio imprevisto e privata di un diritto elementare. Anzi, costituzionale. Perché la storia del padre di Corrado è la storia di almeno un milione di malati cronici non autosufficienti del Paese, pari al 2% circa della popolazione, per metà affetti da demenza senile o morbo di Alzheimer. Per legge, spetterebbe loro il diritto di vedersi assistere in strutture pubbliche o a casa, senza essere relegati nella lista d’attesa di qualche residenza sanitaria assistenziale. Indipendentemente dal reddito.
Delle loro storie si occupa “Non è sufficiente!” (Altreconomia edizioni, 128 pp, 14 euro), il libro in uscita a dicembre scritto da Maria Grazia Breda e Andrea Ciattaglia. Al centro, le attività della Fondazione promozione sociale Onlus, che quei diritti fondamentali li ha messi in ordine e ne ha indicato gli strumenti pratici per vederne applicato pienamente il principio.
Una “cassetta degli attrezzi” che parte dal contratto di cura domiciliare da sottoscrivere con l’azienda sanitaria locale -perché non esistono leggi che impongano ai familiari dei malati obblighi di cura verso i loro congiunti non autosufficienti-, fino all’opposizione alle dimissioni tramite raccomandata, necessaria per far scattare l’obbligo, previsto dalla legge, di risposta da parte del ricevente.
Le prestazione sanitarie comprese nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono formalmente dei diritti esigibili, spettano perciò a tutti, come recentemente ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 36/2013. Lo Stato deve farsene carico, attraverso un finanziamento annuo del Fondo sanitario nazionale di almeno 2 miliardi di euro, a cui aggiungerne un altro da indirizzare ai Comuni italiani, per una parte delle cure domiciliari. In realtà, il nostro Paese ha scelto quella che la presidentessa di Fondazione promozione sociale Onlus chiama “fumo negli occhi”, e cioè il Fondo nazionale per la non autosufficienza. Il 20 marzo 2013 è stato rifinanziato, dopo due anni di congelamento, con 275 milioni di euro divisi in tutte e venti le Regioni italiane. Alla Lombardia, che è il caso del padre di Corrado, sono stati destinati 41,5 milioni di euro. Dove sono però stimate -dalla stessa Regione, all’interno del Piano attuativo per l’impiego di quelle risorse- in 380mila “le persone anziane (maggiori di 65 anni) non autosufficienti e/o fragili”.
I finanziamenti nazionali sono una piccola goccia, che non crea nemmeno prospettive di economie virtuose. L’attuazione delle cure domiciliari, ad esempio, il cui costo massimo per la sanità nazionale è di 25 euro al giorno, o dei ricoveri in Rsa (spesa massima per Asl 50 euro) consentirebbe di eliminare l’invio degli anziani non riabilitabili alle case di cura private convenzionate di riabilitazione (dove la retta giornaliera sfiora in media 160 euro).
Perché stabilire un diritto è inutile se poi non gli si dà piena attuazione. Anzi, non è sufficiente.—