Economia
New slot, l’affare è una scommessa
Il fatturato dei videopoker sta dietro solo a quello di Eni e Fiat: un comparto da 20mila aziende e 70mila occupati. Cui però guarda la criminalità organizzata
Milano, zona Stazione centrale. Entro in una caffetteria con annessa ricevitoria, mi fingo gestore di un bar appena aperto e chiedo con innocenza qualche consiglio su quelle macchinette video poker che da anni invadono i nostri locali pubblici. “Val la pena di averne?”, chiedo. Il titolare è diretto: “Prima di tutto ti consiglio di rivolgerti a gente seria: appena li chiami ti vengono a svuotare il cambiamonete, se hai problema con le macchinette te le cambiano subito perché se stai fermo un’ora sono tutte entrate in meno”. Già le entrate. Ogni singola new slot (così si chiamano) è una vera miniera d’oro: da 500 euro al mese fino a oltre 1.000 secondo una stima dell’associazione di categoria Sapar. Negli oltre 100mila bar e caffè sparsi per la penisola si concentra oltre il 60 per cento degli apparecchi da intrattenimento con vincite in denaro, che rappresentano una voce importante di entrate per una catena di attori: lo Stato, i concessionari, i gestori e gli esercenti. Si gioca inserendo una moneta da un euro e il software fa apparire in maniera completamente casuale 5 figure. Si sceglie quali tenere e si prova la combinazione di cinque segni uguali. Il tutto nel giro di una manciata di secondi per vincere al massimo 100 euro. Con vari bonus e variazioni il gioco è quello classico delle slot machine da casinò ma con una sostanziale differenza: la percentuale di pagamento delle vincita per le new slot è appena del 75 per cento contro i giochi da casinò che hanno una media del 97. In concreto tutto il denaro scommesso nelle roulette, blackjack, videopoker dei casinò viene restituito ai giocatori tramite le vincite con una media del 97 per cento, mentre per le macchinette c’è una “filiera del gioco” che fa girare cifre da capogiro e che trattiene un quarto delle giocate. Meglio Montecarlo del bar sottocasa. Ma l’Italia è un popolo di giocatori: i numeri del 2009 descrivono un giro d’affari per tutti i giochi legali pari a due scudi fiscali, per una spesa complessiva di 53,4 miliardi di euro: Lotto, Superenalotto, Win for Life, Lotterie, Gratta e vinci, scommesse legate a sport ed ippica, bingo, poker on line e new slot. In cima alla classifica del bottino, gli apparecchi da bar che da soli hanno raccolto 24 miliardi e 803 milioni di euro lanciando la corsa alle terza industria italiana dopo Eni e Fiat.
Le new slot sono gli unici giochi che danno vincite in denaro e da sole rappresentano il 46% della spese degli italiani per i giochi e un gettito per l’erario di oltre 3 miliardi. Un mercato con un segno in positivo (più 12,3 per cento rispetto al 2008) nell’Italia spazzata dai venti della crisi e della disoccupazione, sul quale a partire dal 2003 il governo ha puntato con decisione varando nuovi giochi. E assicurando entrate in costante crescita per l’erario fino a 8.883 milioni di euro nel 2009, utilizzati a finanziare servizi, scuole, la ricostruzione in Abruzzo e la sanità. Ma chi sostiene i costi di un “azienda” da 70mila occupati che, grazie alle agevolazioni fiscali, dà molti guadagni e non ha problemi di produzione, liquidità e crisi, e da solo rappresenta 3,7 per cento del Pil? La filiera del gioco è composta da oltre 20mila aziende tra concessionari, i gestori delle macchinette e servizi legati alle new slot (vedi a in alto a destra). Il cuore dell’affare è la concessionaria: si partecipa con grossi investimenti iniziali per sostenere le fidejussioni da decine di milioni di euro all’Aams (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), che regola e controlla il comparto del gioco pubblico. Vinta la concessione si danno le indicazioni ai gestori per collegare in rete le new slot (e pagare in percentuale l’erario) e si vive sostanzialmente di rendita, perché lo Stato concede tasse molto limitate: intorno al 4 per cento e l’esenzione completa per l’Iva. L’associazione Sapar (che raduna circa 1.500 fra produttori, rivenditori e gestori di apparecchi da intrattenimento) stima che per 1.000 euro di giro d’affari, 750 ritornano ai giocatori attraverso i premi, il 12,6 per cento va allo Stato attraverso il Preu (Prelievo erariale unico che i concessionari versano ogni 15 giorni in base al numero di giocate effettuate dal singolo apparecchio collegato con Aams), lo 0,8 per cento ad Aams e il restante 11,6 per cento se lo spartiscono gestore e barista. All’ultimo anello della filiera vanno quindi il 3 per cento degli incassi e i rischi delle frequenti rapine. “Un mondo di piccoli e grandi gruppi dove la criminalità organizzata si interessa ai videopoker in maniera capillare” conferma la Guardia di finanza di Milano.
Sul mercato delle concessioni si sono lanciati a partire da luglio 2004, data di lancio delle new slot, grandi gruppi italiani ed internazionali. L’ultimo bando, con scadenza alla fine di quest’anno, è stato vinto dalle “10 sorelle del gioco”: Snai spa, Hbg srl Rti, Cirsa Italia, Sisal slot spa, Cogetech spa, Codere Network spa, Lottomatica Videolot Rete spa, Gmatica srl, B Plus giocolegale limited, Gamenet spa. Il bando prevede un numero massimo di new slot per ogni concessionario non superiore al 25 per cento dell’intero mercato, e da sole Lottomatica, Snai, B Plus e Gamenet controllano oltre il 60 per cento del mercato (200mila apparecchi) dei 360mila autorizzati in Italia). Colossi del gioco controllati da grandi gruppi, come svelano i bilanci. Lottomatica ha chiuso il 2009 con ricavi consolidati per 2,18 miliardi di euro rispetto a 2,06 miliardi nel 2008. Il risultato netto è stato pari a 112,4 milioni di euro rispetto a 137,9 milioni nel 2008. È leader mondiale del settore, quotato alla Borsa di Milano e controllato al 59,7% dal Gruppo De Agostini, attivo nei settori editoria, media e finanza.
La famiglia Ughi controlla la maggioranza del gruppo Snai, leader di settore per le scommesse ippiche, sportive e giochi oltre al settore immobiliare, informatico ed editoriale ed è proprietario dell’ippodromo di San Siro a Milano. Nel 2009 i ricavi hanno raggiunto i 560 milioni di euro. Gamenet è posseduta al 100% da Criga, il “Consorzio rete Italia gestori automatico”, nato nel 2003 per iniziativa di 14 gestori di apparecchi automatici, imprenditori e professionisti del settore che si sono associati per fare il grande salto nel campo delle concessioni con un capitale di 7 milioni di euro. B Plus ha sede legale a Londra (prima era nelle Antille olandesi) e un ufficio italiano a Roma. Anche i colossi spagnoli di Cirsa e Codere si sono buttati nel ricco mercato italiano mantenendo però il controllo delle società oltre confine. Cirsa International Gaming Corporation ha il controllo della concessionaria Cirsa Italia Spa e il suo presidente, Martin Tomas Lorca, ha la cittadinanza iberica ma la sua residenza coincide con la sede legale di Cirsa Italia. Stessa storia per Codematica srl che ha la proprietà della concessionaria Codere Network spa con un presidente, Jose Ortuarez Estornes, e un amministratore delegato, Alejandro Pascual Gonzales, cittadini spagnoli con residenza a Roma.
Un giro di società e controlli azionari intricato perché la “grande industria del divertimento” muove affari e interessi fortissimi fino a condizionare il governo e le sue scelte in materia fiscale e di nuovi giochi. Quest’anno, grazie al “decreto Abruzzo”, è previsto il lancio nelle sale Bingo, nelle agenzie di scommesse e nelle sale giochi delle Videolottery, apparecchi che portano la vincita fino a 50mila euro.
L’incubo orwelliano di una scommessa ad ogni angolo di strada e la fisionomia di bar, birrerie e tabaccai completamente stravolta. Basta il sopralluogo in altri bar di Milano. Altra zona, stessa storia: quattro new slot (due in più del numero consentito) e la confessione che fare caffè e cappuccini non interessa molto. “Con queste quattro macchinette -dice il proprietario- mi faccio 40-50mila euro all’anno”. Il bar è solo un corollario che nasconde il vero affare: zero personale, nessun problema di fornitori, basta alzare la saracinesca e i clienti già sono pronti a giocare. Ma se scommettono troppo non rischiano di cadere nella patologia? “Tutto di guadagnato per me”. E anche il target di clientela è selezionato: se apri un bar nella Chinatown milanese fai soldi a palate perchè i migliori -a detta del barista- sono i cinesi. Hanno una passione sfrenata per il gioco, scommettono forte, bevono e non dicono una parola. Il lato bello dell’immigrazione.
Il pizzo morbido
Le mafie guardano al business con macchine manomesse e minacce agli esercenti
A Pozzuoli e Giugliano, in provincia di Napoli, lo scorso marzo si spara all’interno del bowling e ad essere presi di mira sono i videopoker, a colpi di pistola. Distrutti perché portano denaro. Lo chiamano “pizzo morbido”. E a differenza del pizzo pesante, che taglieggia i proprietari di negozi, la protezione in cambio di denaro si manifesta sotto forma di macchinette. I primi allarmi partono insieme alla diffusione dei giochi da bar. È il 2002 quando il commissario straordinario del governo per le iniziative antiracket e antiusura, Rino Monaco, svela gli illeciti: la criminalità organizzata impone le macchinette agli esercenti e poi, al di là dei profitti, pretende un affitto mensile fisso. Un’estorsione camuffata da leasing. Il meccanismo è semplice e all’italiana: tu barista ci guadagni, noi ci guadagniamo e nessuno paga le imposte per i giochi ai monopoli di Stato che impongono il collegamento dei videopoker con Aams per conteggiare le giocate e la percentuale da versare all’erario.
Ogni singolo apparecchio non collegato infatti può fruttare fino a 1.000 euro al giorno di incassi in nero. L’unico rischio che si corre è una sanzione fino a 6mila euro. Con le new slot di ultima generazione però (grazie ad una smart card interna) dopo sette giorni consecutivi di giochi non collegati scatta il blocco automaticamente. Ma i videopoker illegali gestiti dalla criminalità organizzata vengono messi nei locali già disconnessi dalla rete di Aams. Molti giocatori, all’oscuro della manomissione, spendono enormi cifre nella speranza di recuperare i soldi giocati. Ed è qui che si inseriscono le organizzazioni criminali: taglieggiano i proprietari dei locali, prestano somme di denaro ai giocatori che non sanno che non vinceranno mai e soprattutto forniscono slot abusive e manomesse che con un semplice telecomando passano dalla schermata legale a quella illegale. Dei veri e propri cloni dei giochi ufficiali pensati per il gioco d’azzardo. In questo caso si rischia la confisca e la distruzione, oltre alla chiusura dei locali che generalmente sono circoli, bische o scantinati spacciati da case da gioco. Il giro d’affari della Mafia spa giustifica ogni rischio: 2,5 miliardi di euro annui è la stima dalla Guardia di Finanza per i giochi e le scommesse illegali. L’usura che va a braccetto con il gioco illegale, in tempi di crisi economica e di difficoltà di accesso al credito, rende molto di più: nel 2009, oltre 200mila commercianti sono state vittime di strozzinaggio per 20 miliardi di euro. E l’Italia è unita da Sud a Nord: negli anni i casi segnalati alla magistratura e i sequestri sono spuntati a Palermo e in tutta la Sicilia, ma ci sono anche i “calabresi” che operano nella provincia di Torino, e Genova con il gran boss della ‘ndrangheta Onofrio Garcea, già condannato per droga e coinvolto nell’inchiesta sul controllo del gioco d’azzardo dei videpoker legato al clan dei Macrì. E la maxi operazione di aprile 2009 contro la “holding criminale” dei Casalesi in Campania con ramificazioni fino a Milano, dove controllava la sala Bingo di viale Zara, quella di Cernusco sul Naviglio, e poi a Cologno Monzese, Brescia, Cremona,
Padova, Lucca.
Tutta la filiera dietro la macchinetta
Oltre alle “10 sorelle del gioco” -le concessionarie- dietro le new slot, c’è tutto un indotto con la produzione dei sofisticati software, l’importazione delle macchinette dalla Cina e la gestione degli apparecchi. Il lavoro vero e proprio come incassi, riparazioni, logistica e amministrazione è sulle spalle dei gestori, che però con un personale minimo di 4-5 persone riescono a gestire anche 100 new slot. Il sistema è ben strutturato: una rete di società con agenti in tutta Italia garantisce la massima disponibilità e assistenza al barista, e si occupa della produzione, dell’affitto e della gestione. Ogni anno si ritrovano a Rimini per la mostra internazionale degli apparecchi da intrattenimento e da gioco, attirando pubblico da tutta Europa. L’ultima edizione di marzo 2010 ha visto 28.865 visitatori professionali (+13% sul 2009) e 3.540 gli operatori esteri (+26% rispetto all’edizione precedente). Aziende ultraspecializzate che offrono servizi chiavi in mano: 50 per cento della percentuale dei guadagni al barista, 50 alla società. O un fisso giornaliero direttamente al concessionario e tutto il resto è nel capitolo delle entrare. Tra i leader di settore, Palese Group (con sede legale a Racale, Lecce) ha una rete di agenti e di punti vendita a Milano, Bologna, Roma e Lecce, che battono ogni singolo bar per proporre nuove slot. E ancora: Industria Elettronica Meridionale Srl a Bari, Sirio e Rumba in provincia di Roma, Microhard Elettronica a Padova, Zest Gaming Spa a Lecco. Tutte attive nel proporre nuovi giochi e servizi. Perché più new slot significa più entrate per gli esercenti e per i gestori. Violando la norma imposta da Aams che prevede per gli apparecchi “comma 6” (con vincite in denaro) installazioni in tutti i locali pubblici come ristoranti, stabilimenti balneari, alberghi per un numero massimo di 4 (6 per gli hotel). I bar sono più agevolati: possono averne uno aogni 15 metri quadri di superficie. Un rapido giro per i bar di Milano e si scoprono che le slot sono sempre di più di quelle consentite. Non sono un po’ troppe 6 slot per meno di 80 metri quadrati, domando ad un barista in zona San Siro? “Qui potrei tenerne 3 -risponde candidamente il titolare- ma chi se ne frega, nessuno controlla”. E anche la pena non spaventa: se passa la Polizia Locale e lo Siae si rischia una sanzione amministrativa da 516 a 2.500 euro. Il gioco vale la candela.
Viziati del gioco: l’offerta crea la domanda
Di pari passo con la diffusione dei giochi sportivi, delle new slot e delle sale scommesse crescono anche i giocatori patologici. Rappresentano il 3% sul totale dei giocatori d’azzardo. Lo stabiliscono le ricerche internazionali secondo i dati raccolti da Alea, l’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo. La popolazione vittima del gioco patologico in Italia equivale a circa 700mila persone in “età di gioco”. E le indagini esistenti, fatte in Inghilterra, Spagna, Nuova Zelanda, Canada, Usa, dimostrano tutte la stessa tesi: la maggior quantità di giochi a disposizione è direttamente proporzionale all’aumento dei giocatori problematici o patologici. Ma allo Stato Italiano sembra importare poco: già a partire dal 1997 vengono introdotte la doppia giocata di Lotto e Superenalotto e le Sale scommesse; nel 1999 investitura ufficiale per il Bingo, nel 2003 spazio in Finanziaria alle slot machine. Due anni dopo viene lanciata la terza giocata del Lotto, le scommesse Big Match, le scommesse on line; nel 2006 i nuovi corner e punti gioco per le scommesse.
Dalle tre occasioni di gioco autorizzato a settimana si è passati alle lotterie istantanee, 242 sale Bingo, oltre 200.000 slot machine, 1.400 sale scommesse e l’accesso praticamente ininterroto alle scommesse via web tramite le carte prepagate. Con il decreto Bersani del 2006 la proposta di giochi è aumentata ulteriormente con la possibilità di installare nelle sale Bingo apparecchi di intrattenimento per i giochi su base ippica. Di fatto altri 16.300 nuovi punti in cui è possibile giocare d’azzardo. Per Maurizio Fiasco, sociologo ed esperto di tematiche collegate al gioco d’azzardo, la dipendenza è “una malattia che conviene”. In Italia non c’è una definizione istituzionale della dipendenza patologica da gioco d’azzardo, prevista invece nel Dsm IV (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo). E questo non è affatto casuale. Per il nostro sistema sanitario il malato di gioco d’azzardo non esiste come paziente, e si tende a nascondere in qualche modo questa malattia perché il gioco, nel nostro Paese, è un business molto redditizio, per lo Stato in primo luogo. “L’aumento del consumo del gioco d’azzardo -attacca Fiasco- non è la soddisfazione di un bisogno presente in natura, ma la costruzione di un consumo”.