Nella Diaz durante il blitz: “Ora non ridete più” – Ae 20
Numero 20, settembre 2001Intervista a Lorenzo Guadagnucci, a cura di Marina Redaelli“Se ho avuto paura? Sì, due volte. Prima dentro la palestra, dopo i miei due turni di manganellate: ero insanguinato e dolorante, esausto, e temevo che tornassero ancora a…
Numero 20, settembre 2001
Intervista a Lorenzo Guadagnucci, a cura di Marina Redaelli
“Se ho avuto paura? Sì, due volte. Prima dentro la palestra, dopo i miei due turni di manganellate: ero insanguinato e dolorante, esausto, e temevo che tornassero ancora a picchiarmi. Poi in ospedale, mentre ero piantonato: ho avuto paura di andare in carcere. Mi sembrava di essere dentro la vita di un altro, temevo di finire incastrato in accuse così enormi e lontane da sfuggire ad ogni mio controllo”. Lorenzo Guadagnucci, 38 anni, giornalista del Resto del Carlino, la notte del 21 luglio era nel dormitorio della scuola Pertini (ex Diaz), di fronte al centro stampa del Genoa Social Forum. È una delle 93 persone arrestate durante il blitz della polizia.
Come hai trascorso la giornata di sabato?
“Sono arrivato a Genova a metà mattinata, con un treno speciale partito da Rimini. Io sono salito a Imola alle 4,30. Dalla stazione di Quarto ho raggiunto a piedi il centro stampa e lì ho seguito la conferenza stampa di mezzogiorno. Poi ho raggiunto due colleghi arrivati da Milano e con loro ho seguito il corteo, rimanendo sempre nella zona del lungomare. Ho seguito da lontano gli scontri. Ho lasciato il lungomare quando il corteo si è spezzato in due tronconi: non si respirava più per i lacrimogeni. Poi ho accompagnato i miei colleghi al loro pullman, nel piazzale davanti allo stadio. Alle 20 sono andato a mangiare, sempre sul lungomare. Ho fatto una passeggiata e verso le 22,30 sono entrato nella scuola. Ero stanchissimo e mi sono addormentato quasi subito”.
Che cos'è successo durante la perquisizione?
“Io stavo dormendo dentro il mio sacco a pelo, sul parquet della palestra al pianterreno, nell'angolo in fondo a sinistra rispetto all'entrata. Mi sono svegliato per il trambusto che veniva da fuori. Ho sentito rumori, delle urla. Ho fatto in tempo a indossare pantaloni e scarpe, a mettermi gli occhiali e a infilare il telefonino in tasca: ero seduto in terra quando ho visto i primi poliziotti entrare. Avevano i caschi celesti, dei giacconi blu con su scritto polizia”.
Qualcuno ha opposto resistenza?
“Dentro la palestra sicuramente no. Naturalmente non so che cosa sia avvenuto fuori, al piano di sopra, o anche alla porta, che dal mio punto di osservazione non potevo vedere. Ma dentro la palestra, sul parquet, nessuno ha ostacolato i poliziotti. Le persone, credo che fossero 40-50, per la maggior parte erano sedute in terra. Vicino al breve corridoio d'ingresso, mentre entravano i primi poliziotti, ho visto alcuni ragazzi con le braccia alzate. Gridavano: non violenza, non violenza”.
Gli agenti entrando hanno parlato di perquisizione?
“No, non hanno detto niente del genere. I primi agenti si sono avventati contro un gruppo di 8-10 ragazzi, seduti uno accanto all'altro vicino alla parete di fronte all'ingresso. Un agente ha sputato verso di loro, un altro ha urlato qualcosa e subito sono partiti i colpi: calci e manganellate alla cieca”.!!pagebreak!!
Qualcuno ha reagito?
“No, direi di no. Gli agenti hanno cominciato ad entrare, erano sicuramente qualche decina. Uno è venuto nella mia direzione, ma ha preso di mira la coppia che era vicino a me. La ragazza è stata colpita alla faccia con un calcio violentissimo, il ragazzo con una manganellata. Io mi sono avvicinato a quella giovane, credo che fosse tedesca, per soccorrerla, ma intanto ho visto altri due poliziotti che mi venivano addosso. Ho piegato le braccia sopra la testa, per proteggere la faccia. Avevo paura che mi rompessero gli occhiali. Mi hanno colpito furiosamente in due. Sentivo le braccia come spezzate. Ho cominciato a perdere sangue dal ginocchio sinistro e dall'avambraccio destro, dove avevo un buco orribile”.
Non ti sei qualificato come giornalista?
“No, non c'era modo né tempo di fare niente. Nessuno ha chiesto i documenti o cercato di identificare le persone. Hanno colpito e basta. Tutt'intorno a me c'erano poliziotti che si avventavano su gruppi di persone sedute per terra, sui sacchi a pelo, assolutamente inermi. Intanto sentivo del movimento lungo le scale, al piano superiore. C'era confusione”.
I poliziotti dicevano qualcosa?
“Urlavano insulti. Poi ricordo due frasi: 'Questo è l'ultimo G8 che fate' e 'Stasera vi divertite meno'. Era una situazione di violenza brutale. Dopo i colpi presi dai primi due agenti, sono stato preso di mira da un terzo poliziotto. Era il più feroce di tutti. Indossava una camicia bianca sotto il giaccone blu senza maniche. Io ero già sanguinante e mal ridotto ma lui mi è venuto vicino, di lato, e ha cominciato a colpirmi sulla schiena e sulle spalle. Io ho protetto la nuca con le braccia. Era una furia. Dopo avere massacrato me, è passato ad altri lì vicino: anche loro già feriti. Lo hanno fermato i suoi stessi colleghi: stava infierendo contro persone già picchiate, esauste”.
Quando sono finite le botte?
“Subito dopo. L'agente con la camicia bianca è stato l'ultimo a colpire. È in questo momento che io ho avuto paura, perché ero sfinito, con le braccia gonfie e sanguinanti, la schiena a pezzi. Faticavo a muovermi, ad alzare la testa. Ho avuto paura che tornassero. Invece ci hanno ordinato di dividerci: i feriti da una parte, gli altri più lontano. Così io mi sono trascinato alla meglio vicino alla parete opposta, ma sullo stesso lato della palestra. Ci siamo ritrovati uno addosso all'altro. Io mi sono appoggiato alla parete. Alla mia sinistra avevo un ragazzo che perdeva sangue dalla testa, alla mia destra una ragazza sanguinante. Poco più in là c'era un giovane, credo spagnolo, in preda a una crisi epilettica. Nell'angolo ho visto due ragazzine italiane, avranno avuto vent'anni, erano abbracciate e piangevano. Il più grave fra i feriti a prima vista era un ragazzo con la testa spaccata. Qualcuno ha detto che era svenuto. Un paio di ragazze, vicino a lui, gridavano disperate 'ambulanza, ambulanza'”.!!pagebreak!!
Poi sono arrivati i sanitari?
“Sì, ma molto tempo dopo. Purtroppo non avevo l'orologio al polso, ma posso dire con certezza di essere salito sull'ambulanza alle 2 meno un quarto, e io sono stato fra i primi dieci ad uscire dalla scuola. Quindi fra l'irruzione e l'uscita dei feriti è passata circa un'ora e mezzo. Un tempo lunghissimo quando sei a pezzi, sanguinante, con le ossa rotte. Prima sono entrati un paio di volontari del soccorso: erano del tutto smarriti, increduli. E senza strumenti, avevano solo dell'acqua ossigenata. Più tardi è arrivato il medico, che ha cominciato a mettere un po' d'ordine, separando i feriti secondo la gravità delle condizioni. A me hanno steccato entrambi gli avambracci: il dottore era convinto che il destro, quello ferito, fosse rotto, e sospettava lo stesso per il sinistro. La steccatura è stata davvero rudimentale: hanno usato due quadernoni trovati per terra. Hanno piegato il cartone e così mi hanno immobilizzato. Ma l'importante era salire sopra una barella, uscire da quella tonnara. Tutti noi feriti invocavamo il medico per salire prima possibile sull'ambulanza”.
Nel frattempo i poliziotti che facevano?
“Sorvegliavano, stando appena dietro i sanitari. Anche prima, nella lunga attesa, ci tenevano sott'occhio, quando qualcuno provava a muoversi ordinavano: faccia a terra”.
Ma non vi hanno perquisito?
“No, tant'è che io ho potuto tenere il cellulare, col quale poi dall'ambulanza ho chiamato colleghi e amici per raccontare tutto. Ho visto alcuni poliziotti che hanno rovistato fra gli zaini, rovesciandone alcuni. A un certo punto ho visto un agente che urlava con una maglietta in mano: eccola, eccola, è nera”.
Hai notato se dentro la palestra c'era qualcuno a comandare l'operazione?
“Sì. Sentivo che alcuni agenti si rivolgevano a una persona, che però io dal punto in cui ero non riuscivo a vedere, chiamandola dottore. Poi, uscendo in barella, ho visto il dottore: era in borghese, aveva una giacca chiara”.
Sapresti riconoscerlo?
“No, direi di no. Purtroppo c'era penombra. E poi io sono un po' miope e poco fisionomista”.!!pagebreak!!
Quando ti hanno detto che eri in arresto?
“In realtà nessuno me lo ha detto. L'ho capito alcune ore dopo, all'ospedale, quando mi hanno portato in camera. Ormai erano le 6 di mattina e avevo passato tutta la trafila delle radiografie, delle ecografie, della ricucitura delle ferite al braccio e al ginocchio. Quando sono arrivato in camera ho trovato due agenti a piantonarmi. Allora ho capito d'essere in stato di fermo. Senza però conoscerne il motivo. L'avrei appreso solo lunedì mattina, sbirciando i giornali”.
Che conseguenze fisiche hai riportato?
“Per fortuna alla fine le braccia non erano fratturate, anche se ho dovuto portare un gesso per un'infrazione allo scafoide. Poi ho avuto la ferita all'avambraccio destro, ricucita con dei punti anche interni. Ho avuto ecchimosi alla schiena, a un fianco, alla pancia, alle gambe. Per le botte all'addome e al fianco sono rimasto sotto osservazione in ospedale a Genova e poi a casa: si temevano lesioni interne, che per fortuna non ci sono state. Sulla schiena ho avuto anche una strana lesione, a forma di cerchio. Si era formata una crosta, all'altezza della spalla, perfettamente rotonda. Un dermatologo ne ha chiarito l'origine: era stata procurata con una scossa elettrica. Evidentemente hanno usato un manganello molto particolare”.
Come si sono comportati con te gli agenti durante il piantonamento?
“Benissimo. Sono stati molto comprensivi e gentili. Hanno subito capito di non avere di fronte un criminale. Con un paio di loro ho parlato a lungo, anche dei fatti di Genova. È stato molto importante per me, sia per affrontare l'angoscia del momento, sia per non perdere fiducia nelle forze dell'ordine. Nel reparto di urologia del Galliera si era creato un clima molto particolare. C'era un'altra persona nelle mie stesse condizioni, reduce dal pestaggio alla scuola ex Diaz. Era un signore di 62 anni, un militante di Rifondazione, del tutto innocuo e indifeso. A lui hanno spezzato una gamba e un braccio a calci. Gli agenti che si alternavano nel piantonamento ci chiamavano il 'giornalista' e il 'vecchino': davvero nessuno, neanche loro, riuscivano a immaginarci come membri del Black bloc. Anche i medici e tutto il personale del Galliera sono stati molto bravi e comprensivi”.
Quando sei stato liberato?
“Lunedì sera, verso le 23. Nel pomeriggio ero stato interrogato dai pm Anna Canepa e Andrea Canciani. Devo dire che l'interrogatorio è stato il momento più confortante della mia permanenza in ospedale, perché in quel momento ho capito che si rientrava dentro i binari della ragionevolezza, della legalità. L'interrogatorio mi ha molto rassicurato: nelle ore precedenti temevo il carcere, avevo cominciato a pensare d'essermi cacciato inconsapevolmente in un grande guaio. Avevo iniziato a chiedermi se non fossi entrato senza accorgermene in un covo di teppisti e delinquenti. Quando ti senti impotente, dentro un tunnel buio, cominci a pensare al peggio. I magistrati, con il loro atteggiamento, mi hanno riportato in un clima di sicurezza. Mi hanno chiesto del perché fossi a Genova, dei miei interessi professionali, hanno voluto che ricostruissi la mia giornata di sabato. Certo io ero stato agevolato dal grande lavoro fatto per me dai miei amici e colleghi, da Miriam Giovanzana a Marco Pratellesi e Iacopo Gori. Avendo parlato subito con loro, si è messa in moto una macchina di 'soccorso': i miei colleghi sono subito andati a parlare col magistrato di turno, mi hanno trovato un avvocato, una mia intervista è uscita sul Corriere della sera lunedì mattina. Grazie al mio telefonino, ero l'unica persona, delle 93 arrestate, di cui si sono conosciuti subito nome e cognome. Sono stato il primo testimone dell'irruzione e molte persone hanno testimoniato sulla mia credibilità e totale estraneità ad ogni contesto di violenza. Quando sono venuti ad interrogarmi, ed ero il primo dei 93, i magistrati sapevano già queste cose. La sera stessa di lunedì mi hanno scarcerato, e con me gli altri 14 italiani”.
Ora qual è la tua posizione giudiziaria?
“Formalmente sono ancora indagato per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione. Io poi ho sporto denuncia per lesioni. Spero che le inchieste vadano avanti e che si accertino tutte le responsabilità. Di certo dovrò pagare di tasca mia le spese legali”.
Che cosa ti ha insegnato questa vicenda?
“Che va mantenuto ad ogni costo un rapporto di trasparenza e fiducia con le forze dell'ordine. Un paese democratico non può permettersi una frattura fra la società civile e le forze di sicurezza. La mia fiducia, dopo il pestaggio, ha vacillato, e ora mi aspetto che sia fatta chiarezza su quello che è successo quella notte. Ma sono convinto che niente sarà coperto: la magistratura ha aperto un'inchiesta e andrà fino in fondo, la polizia stessa chiederà la massima trasparenza e il governo ha preso i primi provvedimenti. Io ho sporto denuncia perché continuo ad avere fiducia nella polizia e nelle nostre istituzioni”.