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Nel Regno Unito cresce il numero di chi si rivolge ai banchi alimentari
Tra aprile 2021 e marzo 2022 le 1.200 “food bank” del Trussel Trust hanno fornito oltre 2,1 milioni di pacchi alimentari, il 14% in più rispetto allo stesso periodo tra 2019 e 2020. Le strutture che distribuiscono cibo ai più poveri faticano sempre più a far fronte alla domanda. Intanto il governo Johnson taglia ulteriormente il welfare
“Le food bank stanno arrivando al limite delle loro capacità. Il numero di persone che si rivolgono a noi è in continuo aumento, ma al tempo stesso chi distribuisce cibo è in difficoltà perché stanno diminuendo le donazioni: sia per quanto riguarda i generi alimentari sia per quanto riguarda quelle in denaro. Ci sono meno volontari e stanno crescendo i costi: dobbiamo comprare i prodotti da distribuire e sono più cari rispetto al passato. Oltre all’aumento dei prezzi dell’energia”. Sabine Goodwin è la coordinatrice dell’Independent food aid network (Ifan), una rete di cui fanno parte circa 500 food bank, organizzazioni benefiche diffuse in tutto il Regno Unito, che distribuiscono generi alimentari alle famiglie e alle persone in difficoltà. “Siamo profondamente preoccupati per la portata delle sofferenze a cui stiamo già assistendo”, ha scritto in una lettera che ha inviato, a nome di Ifan, al primo ministro Boris Johnson, e al Cancelliere dello scacchiere (il ministro dell’Economia) chiedendo con urgenza l’adozione di misure per evitare che un numero sempre maggiore di persone soffrano la fame nelle settimane e nei mesi a seguire.
Tra il 2020 e il 2021 la pandemia da Covid-19, i lockdown e le restrizioni alle attività lavorative hanno fatto aumentare le domande agli sportelli delle food bank. Ma nel Paese l’insicurezza alimentare era un fenomeno già presente da diversi anni come aveva denunciato a maggio 2019 l’ex Relatore speciale delle Nazioni Unite per la povertà estrema, Philip Alston: “Anche se il Regno Unito è la quinta economia del mondo, un quinto dalla popolazione (14 milioni di persone) vive in povertà e 1,5 milioni di loro hanno sperimentato l’indigenza nel 2017 (una persona viene considerata indigente quando ha a disposizione meno di 10 sterline al giorno, escluse le spese per la casa, ndr)”, aveva scritto Alston nel report pubblicato al termine della sua visita nel Paese. L’ex Relatore speciale, inoltre, aveva definito “ideologica” la scelta del governo di smantellare il sistema di assistenza sociale per concentrarsi sul lavoro come strumento per combattere la povertà.
“A partire dal 2010 i governi conservatori hanno tagliato il sistema di assistenza sociale -ricorda Sabine Goodwin ad Altreconomia-. A questo si aggiunge il fatto che gli stipendi medi non sono sufficienti a coprire il costo della vita e molti lavori sono precari, ci sono molti contratti ‘a zero ore’ (forme contrattuali in cui il datore di lavoro non è obbligato a garantire al lavoratore un numero minimo di ore settimanali, ndr): molte persone non sono nelle condizioni di potersi mantenere perché, pur lavorando, non hanno un monte ore sufficiente”. Ad aumentare precarietà e insicurezza sono anche i lunghi tempi di attesa per ottenere il cosiddetto “Universal credit”, un contributo economico che viene erogato mensilmente alle persone disoccupate, che non possono lavorare o che hanno redditi troppo bassi. Un sistema che -evidenzia Ifan- ha diverse criticità a partire dai lunghi tempi di attesa e dai contributi inadeguati a far fronte a tutte le spese che una famiglia deve sostenere. Gli importi previsti, infatti, oscillano tra le 334 sterline al mese per un single con più di 25 anni, 525 sterline al mese per una coppia con più di 25 anni cui aggiungere circa 250 sterline per ogni figlio.
L’impoverimento e la precarietà diffusa che si registrano da anni nel Regno Unito, cui si sono aggiunti prima la pandemia e ora l’aumento dei prezzi dell’energia e l’inflazione hanno fatto crescere anno dopo anno il numero di persone che si rivolgono ai banchi alimentari del Paese. Le stime contenute nel report “State of hunger” pubblicato a maggio 2021 dal Trussel Trust -un network che riunisce oltre 1.200 food bank- fotografano una tendenza allarmante: i pacchi alimentari distribuiti nel corso dell’anno 2015-2016 erano stati 1.110.000 per passare poi ai 1.610.000 del 2018-2019, prima dello scoppio della pandemia da Covid-19. I due anni successivi hanno fatto registrare numeri da record, toccando quota 1,9 milioni nel 2019-2020 e 2,5 milioni nel 2020-2021. Terminata la prima fase dell’emergenza pandemica, però, non si è esaurita la domanda di cibo da parte dei più poveri: tra il primo aprile 2021 e il 31 marzo 2022 le food bank del Trussel Trust hanno fornito oltre 2,1 milioni di pacchi alimentari, il 14% in più rispetto allo stesso periodo a cavallo tra il 2019 e il 2020: prima dell’emergenza Covid-19. Più di 830mila pacchi sono stati forniti a bambini (+15% rispetto al 2019-2020).
“È la prima volta che le nostre food bank distribuiscono più di due milioni di pacchi, fatta eccezione per il periodo dell’emergenza pandemica”, si legge in un comunicato del network in cui si denuncia anche un’accelerazione della crisi alimentare: gli aiuti distribuiti nel quadrimestre luglio-settembre 2021 hanno registrato un incremento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2019; il quadrimestre ottobre-dicembre 2021 ha registrato un aumento del 17%. Il bimestre gennaio-febbraio 2022 ha visto un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2020. Mentre l’inflazione continua a crescere e l’aumento delle bollette mette sotto pressione le famiglie di tutto il Paese, il Trussell Trust prevede un ulteriore peggioramento della situazione: “Le persone che si rivolgono a noi raccontano di saltare i pasti per dare da mangiare ai propri figli, in che modo questo può essere considerato normale in una società come la nostra? –chiede la direttrice esecutiva Emma Revie-. I banchi alimentari della nostra rete ci dicono che la situazione è destinata a peggiorare man mano che le loro comunità vengono spinte sempre più in difficoltà finanziarie. Nessuno dovrebbe vedere il proprio reddito scendere così pericolosamente in basso da non potersi permettere di mangiare, di vivere in una casa calda e confortevole”.
“Le persone che beneficiano dell’Universal credit sono più predisposte a soffrire di insicurezza alimentare -aggiunge ancora Goodwin-. Secondo le stime del Family resources survey, condotto dal Dipartimento per il lavoro e le pensioni, prima dello scoppio della pandemia il 43% dei nuclei familiari che beneficiava dei contributi era in condizioni di insicurezza alimentare. Con l’emergenza Covid-19 il governo ha deciso un incremento di 20 sterline a settimana: questo ha determinato una diminuzione del 16% dell’insicurezza alimentare severa e moderata in quei nuclei familiari”. Ma a ottobre 2021 l’esecutivo guidato da Johnson ha deciso di ritornare allo standard pre-pandemia. Trussel Trust ha definito questa decisione “il più grande taglio al welfare dalla Seconda guerra mondiale” e ha accusato il governo “di non essere riuscito a garantire alcuna sicurezza per le persone con i redditi più bassi”.
Ifan e Trussel Trust chiedono quindi all’esecutivo interventi urgenti per affrontare il crescente aumento della povertà e dell’insicurezza alimentare, tra cui l’adeguamento dei benefici all’andamento dell’inflazione, la riduzione delle liste d’attesa per l’Universal credit e l’adeguamento degli stipendi al costo della vita. “È responsabilità del governo garantire che tutti, nella nostra società, possano permettersi il cibo e altri beni essenziali -conclude Goodwin-. Non è compito del volontariato tappare le falle del sistema causate da un sistema di sicurezza sociale ridotto ai minimi termini e da lavori sotto-pagati”.
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