Interni
Nel Mezzogiorno l’università va a fondo
Dipartimenti d’eccellenza, fiore all’occhiello di alcuni Atenei del Sud, escono penalizzati dalla riforma Profumo sui finanziamenti —
Le classifiche dipendono dai parametri usati, ma è indubbio che le Università del Sud Italia registrano vistose carenze, sia in assoluto che rispetto al resto del Paese. Mi chiedo cosa accadrebbe se l’analisi comparata venisse fatta per Dipartimenti, e non per un agglomerato indifferenziato quale è un’università. Utilizzando questo approccio scopriremmo che esistono nelle università del Mezzogiorno Dipartimenti di eccellenza, in tutti i campi: sono distribuiti a macchia di leopardo, e non riescono a risollevare la media delle prestazioni -qualità della didattica, pubblicazioni- che si mantiene bassa.
Con l’ultimo atto del governo Monti, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha portato avanti la contro-riforma della ministra del governo Berlusconi, regalando una chicca: i dipartimenti non potranno più presentare domande di finanziamento o partecipare a bandi, italiani o europei, senza passare dal visto e firma del rettore. Un fatto gravissimo e paradossale, perché le Facoltà sono state soppresse l’anno scorso proprio per dare maggiore valore e autonomia ai dipartimenti. La verità è che tutta la controriforma è di ispirazione baronale, con uno strapotere dato al Cda dell’università e al suo “re”. Di questi disastri soffrirà tutta l’università italiana, ma ancora di più le università meridionali. L’autonomia universitaria, che era già scarsa, con questi provvedimenti verrà del tutto vanificata. In più, proprio la penalizzazione dei Dipartimenti spezza una delle poche opportunità per le Università meridionali. Per comprenderlo facciamo un altro caso parallelo e analogo come performance: la sanità. Nel Mezzogiorno le prestazioni sanitarie sono costose e mediamente inferiori a quelle del Centro-Nord, determinando un costoso -per le Regioni meridionali- turismo sanitario Sud-Nord. Ma esistono dei reparti di assoluta eccellenza in tutte le regioni meridionali. Per esempio, nello sperduto paesino di Mistretta, nella Sicilia occidentale, c’è un centro di eccellenza per la Sla, unico nel Mezzogiorno, così come il reparto di allergologia di Locri (che è forse il peggiore ospedale italiano!), con un livello di prestazioni e professionalità da far invidia al migliore reparto analogo del Nord Italia, unitamente a quello di Ematologia dell’ospedale di Reggio Calabria, o al reparto di Cardiologia chirurgica dell’ospedale di Catania. E potremmo continuare con tanti altri casi che ci dicono una cosa sola: nel Mezzogiorno non si riesce a fare sistema. Ci sono straordinarie punte di eccellenza, ma è la prestazione media che è decisamente bassa, inefficiente, inadeguata.
Ritornando alle università meridionali, come si può uscire da questa situazione complessiva di degrado? Sicuramente facendo il contrario di quanto si è fatto: se si continua a puntare sulle università private (dalla Bocconi alla Luiss) e si penalizzano le università statali, il Mezzogiorno viene ancora più penalizzato (non ci sono università private prestigiose). Se si penalizzano i dipartimenti, si tagliano le radici di alcune piante che potrebbero crescere e fare sistema, se ci fossero politiche adeguate. Infine, se si continua con i tagli lineari è chiaro pure a un bambino che sono più colpite le università più povere, quelle meridionali.
Insomma, le università meridionali si possono ancora salvare, malgrado tutto, se cambiano le politiche nazionali del Miur, ministero dell’Università (privata) e della Ricerca (impoverita). E sarebbe un bene per tutto il Paese, perché esistono potenzialità inesplorate. Un caso per tutti. All’Università della Calabria, dove un gruppo di giovani ricercatori “precari” ha scoperto, studiando l’organizzazione del lavoro delle formiche, come sia possibile risparmiare energia in un server che gestisce milioni di dati al secondo. Poi hanno venduto il brevetto a imprese italiane e straniere che gestiscono un enorme flusso di dati. Queste eccezioni devono diventare sempre più frequenti. —