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Ambiente / Attualità

Né pubblica né privata

516.615 firme raccolte in 25 giorni di banchetti e iniziative in tutta Italia. Un risultato incredibile anche per noi, raggiunto in poco più di tre settimane grazie all’impegno e all’entusiasmo di migliaia di cittadine e cittadini dell’acqua pubblica. Dall’estremo Nord…

Tratto da Altreconomia 116 — Maggio 2010

516.615 firme raccolte in 25 giorni di banchetti e iniziative in tutta Italia. Un risultato incredibile anche per noi, raggiunto in poco più di tre settimane grazie all’impegno e all’entusiasmo di migliaia di cittadine e cittadini dell’acqua pubblica. Dall’estremo Nord alle isole, la raccolta di firme racconta un’Italia della partecipazione, di migliaia di territori attenti e attivi sui beni comuni (vedere la mappa dei banchetti di raccolta firme su www.acquabenecomune.org). E la raccolta firme non si ferma, ma rilancia. L’obiettivo che il Comitato Promotore si era posto (700mila firme) è ormai in vista e può essere superato. Da qui a luglio lanceremo eventi, feste, spettacoli per coinvolgere sempre più italiani in questa civile lotta di democrazia per togliere le mani degli speculatori dall’acqua riconsegnandola ai cittadini e ai Comuni. Per questo fine settimana il Comitato Promotore lancia il “Giro d’Italia delle firme per l’acqua”; quale località, Comune, comitato cittadino sarà la maglia rosa della raccolta di firme di questa settimana? Il Comitato Promotore ringrazia tutti quelli che si stanno impegnando per la riuscita dell’iniziativa referendaria, i media locali, le radio e i siti internet che stanno dando un esempio di attenzione e partecipazione che fa ben sperare anche per la libertà d’informazione nel Paese. Più firme raccoglieremo, più forte sarà la spinta verso il Referendum e il risveglio civile dei territori. Perché si scrive acqua, si legge democrazia: “Il referendum sul’acqua rimette al centro dell’attenzione grandi questioni che riguardano il nostro futuro” spiega Stefano Rodotà, già Garante per la privacy

 

Stefano Rodotà, giurista e già presidente dell’Autorità garante per la privacy, ha partecipato alla stesura dei tre quesiti referendari per l’acqua pubblica.
Un impegno personale, e un sostegno, che spiega con semplicità: “L’accesso all’acqua, come alla conoscenza, sono beni cui fa riferimento la collettività, sono fatti di vita quotidiana delle persone, che richiedono una nuova idea di proprietà -spiega-. Non è pubblico né privato ciò di cui stiamo parlando”.
Il fine settimana del 24 e 25 aprile è iniziata la raccolta delle 500mila firme necessarie per presentare i 3 quesiti, il cui obiettivo è stoppare gli effetti del decreto “Ronchi”, che impone di affidare a soggetti privati la gestione del servizio idrico integrato. Il 21 luglio le firme dovranno essere consegnate alla Corte di Cassazione (info su www.acquabenecomune.org).

Lei ha definito il referendum sull’acqua un uso intelligente di questo strumento costituzionale, contrapponendolo all’idea di referendum-ripicca.
“Ho dato questa definizione per una ragione: penso che sia necessario rimettere al centro dell’attenzione le grandi questioni che riguardano il nostro presente e il nostro futuro. Viviamo una stanchezza referendaria, legata a un uso eccessivo, all’inflazione del referendum, e al fatto che molti hanno avuto come oggetto temi, ad esempio le leggi elettorali, che progressivamente hanno allontanato i cittadini dall’istituto.
Il referendum, però, offre diverse possibilità: ‘obbligando’ alla raccolta delle firme necessarie per presentare i quesiti, impone una discussione pubblica, capace di mettere al centro dell’agenda politica un tema importante. Il semplice annuncio del referendum sull’acqua, ad esempio, ha determinato una reazione da parte di alcuni parlamentari (i senatori del Partito democratico Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, ndr), che hanno detto che la sede propria per affrontare la questione è il Parlamento. Fino a un attimo prima quelle stesse persone non erano impegnate sul tema. ‘L’annuncio’ ha determinato un’attenzione sul tema, anche se il tema era già lì.
Questo è un uso intelligente del referendum, che serve a modificare l’agenda politica, inserendovi temi che sono capitali per il presente e il futuro del Paese. In questo, l’acqua è paradigmatica: se si riesce a chiarire la portata dei tre quesiti ai cittadini, questi probabilmente solleciteranno un’attenzione da parte della politica”.

Alcuni interventi del ministro Andrea Ronchi sembrano suggerire “l’elezione” del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e del comitato promotore referendario a soggetto politico riconosciuto.
“Non entro nel merito degli interventi pubblicati su Il Sole-24 Ore, polemici o adesivi che siano, ma il fatto stesso che molte parole siano state spese intorno al referendum e all’acqua dimostra che si discute di un tema vero.
Ed è indubbiamente vero che sia stato creato un nuovo soggetto politico. C’è di più, in prospettiva il comitato promotore del referendum (di cui fa parte anche Altreconomia, ndr) potrebbe essere riconosciuto dalla Corte Costituzionale come soggetto di rilevanza costituzionale, perché questo è successo in passato. Per questo, avrà titolo per intervenire in tutte le fasi della procedure referendaria, ad esempio ad essere presente davanti alla Corte quando questa dovrà decidere dell’ammissibilità del referendum”.

Nell’elaborazione dei quesiti, il vostro gruppo di lavoro è stato guidato da un’idea: la necessità di uscire dall’opposizione tra pubblico e privato. In che senso questo referendum rappresenta una novità?
“Siamo partiti dalla considerazione che il regime della proprietà pubblica, com’è disciplinato dal Codice Civile del 1942, è assolutamente inadeguato rispetto alle esigenze del tempo che stiamo vivendo. Era, in realtà, già arretrata quando è stata scritta. Uno spunto è arrivato dai lavori di un commissione ministeriale che ho presieduto fino al 2008, istituita con l’obiettivo di presentare una legge delega di riforma del regime della proprietà pubblica. Ciò che emerge, dal quel testo, è un’innovazione riguardante il fatto che ci sono beni comuni, che non possono essere considerati privati, per ovvie ragioni, ma nemmeno assimilati al bene pubblico tradizionale, come una caserma o un aeroporto. Sono beni cui fa riferimento la collettività, e che richiedono una nuova idea di proprietà. Come l’acqua.
L’idea di ‘bene comune’ non è nuova, ha attraversato la storia. Noi l’abbiamo solamente messa in primo piano.
La vicinanza maggiore è all’interesse pubblico, e questo significa non poter affidare questi beni alle gestioni private.
Il ministro Andrea Ronchi falsifica la realtà quando dice che il decreto che porta il suo nome comporta solo ‘affidamenti in gestione’, mentre i Comuni restano titolari del diritto. Da moltissimo tempo si è sottolineato che quando si scinde proprietà e gestione, il vero proprietario diventa chi ha il potere di gestire. Il fatto che il titolare resti un soggetto pubblico è un argomento formale, ingannevole. Restano da vedere le caratteristiche della gestione: quando questa viene affidata ai privati, è orientata al profitto, e ciò implica una sostanziale privatizzazione del bene. Il gestore fornisce un servizio, ma solo perché vuol ricevere un profitto. I soggetti cui fare riferimento per comprendere la funzione di un bene comune sono tutti i cittadini, e per questo essi devono essere gestiti fuori dalla logica di mercato. Il che non significa che non debbano essere gestiti con criteri economici. Ma l’economicità della gestione non coincide con la produzione di profitto”.

A che cosa ha portato il lavoro della commissione ministeriale sulla riforma della proprietà pubblica che ha presieduto?
“I risultati della commissione ministeriale furono presentati, alla fine del governo Prodi, all’allora ministro della Giustizia Enzo Scotti. Con il nuovo governo, non hanno ricevuto nessuna attenzione dal ministero.
Invece la Regione Piemonte, utilizzando il potere di presentare progetti di legge al Parlamento, nel settembre scorso ha approvato un testo che sostanzialmente coincide con quanto da noi proposto in merito a una ‘Riforma del regime della proprietà pubblica’. Lo ha presentato al Senato, dove è stato assegnata alla commissione giustizia. In consiglio regionale, l’iniziativa è stata votata all’unanimità. Ciò significa che non è iniziativa di un singolo partito. Dopo di che, riprendendo idea e proposta, anche il gruppo del Pd ha presentato una sua proposta simile. È un dato significativo: un partito ha presentato al Senato un progetto di legge che mette al primo posto la categoria dei beni comuni, e include in questi l’acqua. Ci si attende coerenza da tutti coloro i quali hanno riconosciuto la correttezza di questa impostazione. È possibile, per tornare alla prima domanda, che anche questo passaggio venga facilitato dalla presentazione dei quesiti referendari sull’acqua. Quei senatori che hanno chiesto ‘la via parlamentare’, dovranno adesso sollecitare, se sono coerenti, l’immediata apertura della discussione sull’iniziativa della Regione Piemonte in Commissione giustizia. Sarebbe un atto politico importante. Se quelle spese dai parlamentari del Pd non sono solo parole”.

Biografia. Stefano Rodotà è nato a Cosenza nel 1933. Ordinario di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”, è stato deputato al Parlamento italiano dal 1979 al 1994 e vice-presidente della Camera dei deputati (1992). Editorialista de la Repubblica, è stato anche presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e presiede il Comitato scientifico dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali.
Per l’editore Lusa Sossella è in uscita l’audio-libro Che cos’è il corpo? (cd più fascicolo di 32 pagine, 15 euro). Lo scorso anno Laterza ha mandato in libreria Perché laico (200 pp., 15 euro), una riflessione sui troppi temi che dividono laici e cattolici italiani: procreazione assistita, testamento biologico, obiezione di coscienza, unioni di fatto, diritti degli omosessuali, limiti della ricerca scientifica, presenza della religione nella sfera pubblica.

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