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Economia / Opinioni

Monetizzare debito per creare reddito. Frenare la distruzione di valore si può

© Gabriel Wasylko - Unsplash

Crolla il Pil di tutto il Pianeta, fatte salve rarissime e molto probabilmente temporanee eccezioni, con una erosione di 10-15 punti. Crolla il prezzo di quasi tutti i beni “rifugio”. Non si può pensare più di affrontare l’uragano con prestiti a scadenza o con il credito d’imposta. Siamo in un nuovo paradigma. L’analisi di Alessandro Volpi

L’epidemia non è una guerra ma ha i caratteri della più grave crisi dal 1945 e impone la ricerca di soluzioni comuni, per le quali è indispensabile l’Europa. L’Italia deve essere parte di questa dimensione comunitaria, mostrando prima di tutto di avere un’idea chiara e condivisa di cosa si attenda da essa. Ha bisogno di mettere da parte le divisioni, coltivando una “solidarietà nazionale” che non significa forzata omogenizzazione delle differenze politiche e culturali ma l’assunzione comune di pochi punti con cui uscire dal tunnel. Non si tratta infatti di mettere le basi, ora, dei prossimi dieci anni perché è evidente che non ci sono le condizioni quanto piuttosto di ottenere dall’Europa e, dalla Bce in primis, gli strumenti per far fronte a una gravissima emorragia di reddito.
In questo senso, serve un atteggiamento da “gabinetto di guerra”, come avvenne per il governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando nell’ottobre del 1917 dopo il tracollo di Caporetto, o per il governo Bonomi, varato nel giugno del 1944, in seguito alla liberazione di Roma. In entrambi i casi gli obiettivi erano immediati e tenevano insieme un fronte molto ampio di forze politiche: lo scopo perseguito era superare il disastro rimandando al dopo il grande piano della rinascita per non doversi dividere nel momento più critico. I gruppi parlamentari socialisti e la Cgil nel 1917 decisero di sostenere lo sforzo del governo liberale e nel 1944 praticamente tutte le forze del Cln appoggiarono l’esecutivo Bonomi. La risoluzione dei nodi cruciali sul piano istituzionale, politico ed economico venivano rimandati alla fine della guerra.

Gli strumenti europei e la “Fase 2” sono la nostra emergenza di fronte alla quale non dovrebbero affermarsi le divisioni perché nessuna soluzione potrà essere, in questo momento, definitiva. Invece di trovare un punto di caduta comune, sembra che proprio le divisioni stiano prevalendo con forza. Non esiste una linea comune del governo, non esiste una linea comune della maggioranza, non esiste una linea condivisa delle opposizioni e con le opposizioni. Non esiste neppure una linea comune tra Stato e Regioni e delle Regioni tra loro. È davvero incredibile che in piena emergenza il quadro politico e istituzionale italiano non trovi pochi elementi di compattezza da portare in Europa e su cui configurare la “Fase 2”, rimandando a un momento successivo, meno critico, la discussione e lo scontro sulle grandi ricette per il futuro. L’emergenza ha i tempi e le forme dell’emergenza, la prima delle quali è la sospensione delle ostilità elettoralistiche; un’esigenza resa improcrastinabile dall’ormai palmare esplosione della recessione.

I dati economici sono infatti sempre più chiari. Il segno meno prevale praticamente ovunque. Crolla il Pil di tutto il Pianeta, fatte salve rarissime e molto probabilmente temporanee eccezioni, con una erosione di 10-15 punti. Crolla il prezzo di quasi tutti i beni “rifugio”. Si azzera di fatto l’inflazione e, per la prima volta nella storia, ad aprile e a maggio il petrolio, Wti in particolare, entra in territorio negativo con il paradosso che i venditori sono disponibili a pagare 37 dollari al barile ai compratori. In queste condizioni, le strade percorribili sono solo due, da intraprendere in fretta, e su queste dovrebbe concentrarsi in modo unitario il quadro politico italiano come, appunto, un gabinetto di guerra.

È necessario che la Bce monetizzi il debito, acquistando i titoli emessi dagli Stati e procedendo peraltro a cancellare, o a non contabilizzare i titoli che ha già in pancia, e che gli Stati emettano un debito a lunghissima scadenza, o irredimibile, con un rendimento contenuto e con una fiscalità predefinita e non modificabile per attrarre il risparmio esistente. La garanzia di tutto ciò proviene dalla attuale solidità dell’euro e dalla convinzione, che deve essere condivisa, dell’assenza di soluzioni alternative. Non ci può essere spazio per condizionalità né per la ricerca di sistemi più o meno credibili di garanzie pubbliche da fornire alle banche perché eroghino credito. Sono finiti, in questa fase, gli strumenti di politica monetaria tradizionali. Sono finite le regole di Basilea. Non ci sono i margini temporali per politiche fiscali anche per la costante erosione della capacità di produrre reddito e del valore dei patrimoni.

Non si può pensare più di affrontare l’uragano con prestiti a scadenza o con il credito d’imposta. Il debito monetizzato deve servire proprio a creare reddito e a frenare la colossale distruzione di valore in corso perché dobbiamo aver chiaro che interi settori scompariranno per un periodo non breve e l’espulsione di manodopera sarà enorme con costi sociali non accettabili. Siamo in un nuovo paradigma e la prima cosa da fare, subito, è mettere in campo in forma totalmente nuova gli strumenti che già abbiamo; poi penseremo a ridefinirli sul piano teorico, normativo e politico.

Università di Pisa

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