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Economia / Approfondimento

Mobilità privata su strada: perché rivedere le accise sul diesel è necessario e inevitabile

© Chris Alfeus - Unsplash

Le auto elettriche hanno una maggiore efficienza energetica e di conseguenza consumano meno a chilometro percorso ma sono paradossalmente più costose da ricaricare a causa degli oneri di sistema sulla rete. Mentre i carburanti diesel godono di un’accisa ridotta che costa allo Stato 3,5 miliardi di euro ogni anno. Urge un cambio di rotta. Il report del think tank ECCO

L’adeguamento delle accise tra benzina e diesel, proposta dal Governo Meloni il 3 ottobre, è una misura ormai inevitabile e necessaria alla transizione ecologica.

Lo sconto dell’accisa sul diesel rispetto alla benzina costa oggi allo Stato 3,5 miliardi di euro ed è considerato dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) un Sussidio ambientalmente dannoso (Sad). Un adeguamento che sarebbe inoltre necessario per mantenere il gettito fiscale previsto in diminuzione a causa della crescita dell’auto elettrica e della conseguente diminuzione dei consumi di carburanti fossili. 

Lo chiarisce ancora una volta il report “La fiscalità dell’energia nella transizione all’auto elettrica” pubblicato a ottobre 2024 da ECCO, il think tank italiano che si occupa di transizione energetica e cambiamento climatico.

“La proposta del governo di mettere mano alla differenza di accisa tra diesel e benzina è una decisione inevitabile, sia per le evoluzioni attese del mercato dell’auto sia per le esigenze di gettito dello Stato. È essenziale che la fiscalità dei beni energetici sia coerente con l’evoluzione del mercato e a sostegno della transizione -ha spiegato Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore di ECCO-. Spetta al governo decidere se i meccanismi con cui correggere questa esigenza fiscale possano essere diluiti in un periodo più ampio in base alle dinamiche di penetrazione sul mercato dell’auto elettrica o maggiormente concentrati per esigenze di bilancio. Certamente questi aumenti devono essere accompagnati da strumenti di garanzia per i consumatori finali. Il meccanismo introdotto dal Decreto legge 5 del 2023 va in questa direzione”.

Il report di ECCO analizza la differenza di fiscalità tra auto elettrica e a combustione (sia diesel sia benzina) e le possibili strategie da mettere in atto per favorire la transizione ecologica del parco automobilistico italiano e per mantenere il gettito fiscale anche in futuro.

Secondo l’analisi non solo le auto alimentate a diesel godono di un’accisa ridotta rispetto alla benzina ma tutti i veicoli a combustone sono soggetti a un’imposizione fiscale minore delle auto elettriche a parità di energia consumata. Con il paradosso che le emissioni delle auto elettriche (dovute alla componente fossile del mix energetico utilizzato) sono tassate in misura maggiore di quelle dei veicoli a combustione.

L’auto elettrica ha dei vantaggi rispetto alle controparti a combustione in quanto a efficienza energetica. Un veicolo a diesel o benzina (a seconda del modello) arriva infatti a impiegare tra i 0,45 e gli 1,2 kilowattora per chilometro percorso (kWh/km) pari a un consumo di carburante tra i 4,8 e i 12,8 litri ogni 100 chilometri. Un’auto elettrica, invece, ha un’efficienza energetica superiore e consuma da 0,14 ai 0,24 kWh per chilometro. Eppure questo vantaggio non si traduce in un risparmio economico.

ECCO segnala infatti che la ricarica di una batteria elettrica ha un costo superiore rispetto a un rifornimento di carburante per lo stesso ammontare di energia. Questa maggiore tassazione delle ricariche elettriche è prevalentemente dovuta alla componente degli oneri generali di sistema, che risultano particolarmente gravosi sulle ricariche alle colonnine di uso pubblico e sulle ricariche private diverse dalle domestiche (come, ad esempio, i contatori condivisi nei garage condominiali).

Il divario inferiore si ha nella ricarica domestica, dove gli oneri risultano più elevati rispetto a benzina e diesel rispettivamente del 5% e del 30%, arrivando a un più 265% nel confronto con il Gpl. La differenza cresce poi sensibilmente per le ricariche domestiche da utenze “altri usi”, che scontano un peso dell’imposizione superiore del 134% rispetto alla benzina, del 191% rispetto al diesel e del 718% rispetto al Gpl. Il confronto non cambia quando vengono considerate anche le ricariche effettuate in azienda (più 22% vs benzina, più 52% vs diesel, più 327% vs Gpl), alle colonnine pubbliche a bassa potenza (più 45% di oneri vs benzina, più 81% vs diesel, più 407% vs Gpl) e a quelle ad alta potenza (più 202% vs benzina, più 275% vs diesel e più 954% vs Gpl).

Dal punto di vista delle emissioni la situazione è ancora più sfavorevole; il carico fiscale imposto alle auto elettriche per tonnellata di CO₂ prodotto è infatti pari a quello di una carbon tax media. Con l’attuale mix energetico per la produzione di elettricità in Italia, alla ricarica elettrica è applicato un carico fiscale e parafiscale pari a un costo medio equivalente di 415 euro per tonnellata di anidride carbonica (870 euro per tonnellata di CO2 per le ricariche in media tensione), contro un valore medio di 252 euro per tonnellata di CO2 per i carburanti fossili.

“Una divergenza in evidente contrasto con l’applicazione del principio comunitario ‘chi inquina paga’ riferito alla CO2, oltre che con gli impegni profusi per il miglioramento della qualità dell’aria nelle città”, lamenta ECCO.

“Si tratta di valori paradossali, se si considera che questi costi sono determinati da meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili nel sistema elettrico che oggi permettono di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del settore dei trasporti, dove al contrario non si sono avuti contributi di riduzione delle emissioni negli ultimi 20 anni”, si legge nel report.

Nonostante ciò l’elettrico rimane la scelta più conveniente in termini di spesa per chilometri percorsi; grazie alla sua maggiore efficienza energetica, il costo necessario per percorrere 100 chilometri con un’auto elettrica ricaricando da casa o da ufficio, risulta fino a 2,5 volte inferiore rispetto a percorrere lo stesso tragitto con un’auto a benzina e fino a 1,5 volte se la ricarica viene fatta da colonnine di ricarica pubblica a bassa tensione.

Considerando l’obiettivo di decarbonizzazione del governo che punta a raggiungere entro il 2030 quota 4,3 milioni di auto elettriche e 2,3 milioni di ibride plug-in sulle strade italiane, e considerando l’evoluzione del parco circolante e l’estensione ai trasporti del meccanismo dei crediti europei di carbonio (Emission trading system, Ets), il report stima una riduzione del gettito fiscale rispetto al 2023 di circa 1,1 miliardi di euro al 2030, 3,7 miliardi al 2035 e 5,8 miliardi al 2040.

Questo perché, nonostante l’imposizione fiscale, la maggiore efficienza energetica dei veicoli a batteria rispetto a quelli fossili (dalle tre alle cinque volte superiore) per percorrere la stessa distanza portano a minori entrate fiscali. Una perdita che, secondo ECCO andrebbe recuperata tagliando proprio i Sussidi ambientalmente dannosi (Sad). L’effetto di una riforma estesa sui Sad ad oggi vigenti per gli usi di tutti i carburanti fossili per i trasporti, infatti, consentirebbe di recuperare oltre sei miliardi di euro (su un totale di 8,8 miliardi di euro in Sad attualmente attivi per il settore energetico), di cui circa 3,4 miliardi relativi allo sconto applicato all’accisa per il gasolio rispetto alla benzina.

“Con il progressivo passaggio alla mobilità elettrica, nel breve e medio termine, stimiamo una riduzione del gettito da oneri fiscali e parafiscali applicati alle ricariche e ai carburanti relativamente contenuta, sia per il permanere di auto tradizionali, sia per il dispiegarsi dell’effetto del meccanismo Ets esteso ai trasporti su strada -ha ricordato Massimiliano Bienati, Responsabile del programma trasporti di ECCO-. Stiamo procedendo verso una sempre maggiore integrazione dei sistemi energetici, che convergono sull’elettrico sia per il servizio di trasporto sia per quote importanti di calore domestico e industriale. Sistemi fiscali e strutture tariffarie devono prendere atto di questo e distribuire i costi e le attese di gettito in maniera coerente con la realtà, non in base a schemi passati.”

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