Economia / Attualità
Le “miniere urbane” che ridanno vita ai rifiuti elettrici ed elettronici
Oltre il riciclo, l’esperimento di tre realtà a Capannori: valorizzare le parti ancora funzionanti dei vecchi elettrodomestici. “Perché buttarli? Vogliamo verificare se per loro c’è spazio sul mercato” spiega Rossano Ercolini, Goldman Prize 2013
Nelle nostre città si possono trovare vere e proprie miniere a cielo aperto. Ma per individuarle non è necessario mettersi a scavare: è sufficiente un cambio di prospettiva. “Dobbiamo cambiare il modo in cui guardiamo ai rifiuti. Non più come scarti, ma potenziali risorse da cui estrarre materie prime da re-impiegare nell’industria”, spiega Mirko Bernardi, presidente di “Hacking Labs” (hackinglabs.it) e relatore del “Centro ricerca Rifiuti zero” di Capannori (Lucca). Due realtà che, assieme alla sezione locale di Legambiente e alla cooperativa sociale “Odissea” hanno dato vita al progetto “Miniere urbane”.
“Abbiamo iniziato a immaginare un approccio alla gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici diverso da quello tradizionale. La piattaforma che stiamo immaginando, per il momento a livello locale ma aperta a sinergie con altri territori, si andrà a occupare dello smontaggio di questi rifiuti per recuperare le parti ancora funzionanti e riutilizzarle”, spiega Rossano Ercolini, presidente del “Centro ricerca Rifiuti zero” e vincitore del Goldman environmental prize nel 2013, che prende ad esempio i motori delle vecchie lavatrici: “Se funzionano, perché buttarli? Noi vogliamo fare uno sforzo per verificare se c’è uno spazio sul mercato per questi prodotti. Ad esempio come pezzi di ricambio”.
In Italia nel 2017 sono state raccolte 296mila tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee). I dati, elaborati dal Centro di coordinamento (CdcRaee) fotografano un aumento della raccolta rispetto all’anno precedente (più 4,6%) di frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie, condizionatori, vecchi personal computer e piccoli elettrodomestici. Una media di poco inferiore ai cinque chili a testa per ogni cittadino italiano, a fronte però di una media europea pari a otto chili pro-capite. Il trattamento e la corretta gestione di questa mole di rifiuti permette di recuperare quantità importanti delle cosiddette “materie prime seconde”. Materiali che possono essere re-immessi nel circuito produttivo industriale: oltre 107mila tonnellate di ferro, 44mila tonnellate di vetro, 62mila tonnellate di plastica e poco meno di 5mila tonnellate di metalli non ferrosi (dato 2015).
Il progetto “Miniere Urbane” mira a fare un passo in più: valorizzare le parti ancora funzionanti dei vecchi elettrodomestici. Il progetto è articolato in due fasi. La prima, che prenderà il via nei primi mesi del 2019, si concentra sulle apparecchiature informatiche e si propone di creare un centro di ritiro e raccolta delle “Apparecchiature elettriche ed elettroniche” (Aee) usate, ancora prima che queste diventino rifiuto. “Acquisteremo le apparecchiature ancora funzionanti, faremo le revisioni e le riparazioni necessarie. Dopodiché le apparecchiature revisionate saranno messe in vendita a prezzi sociali alle fasce più deboli della popolazione”, spiega Mirko Bernardi. Mentre le apparecchiature che non potranno essere rimesse in funzione diventeranno “miniere” da cui estrarre pezzi di ricambio e -in prospettiva futura- nuove materie prime come le cosiddette “terre rare”. Un progetto che si inserisce nei processi di economia circolare promossi dall’Unione europea con quattro direttive (849, 850, 851 e 852 del 2018) entrate in vigore lo scorso luglio e che hanno come obiettivo un’Europa “a zero rifiuti”.
La seconda fase del progetto prevede il coinvolgimento di cooperative sociali, aziende e dei consorzi di gestione dei Raee. “Non ci limiteremo a occuparci del recupero delle materie prime-seconde. Gli apparecchi verranno smontati per recuperare quanti più elementi possibili: dai cassetti di plastica dei frigoriferi ai motori delle lavatrici che possono essere smontati, revisionati e rimessi in commercio come pezzi di ricambio -spiega Mirko Bernardi-. Per avviare un progetto di questo tipo è necessario intercettare flussi consistenti di prodotti elettrici ed elettronici che garantiscano la sostenibilità del progetto”. “Attualmente c’è poca attenzione al recupero delle parti funzionali dei vecchi elettrodomestici -aggiunge Rossano Ercolini-. Noi vogliamo essere dei facilitatori e cerchiamo di mettere attorno allo stesso tavolo tutti i partner che possono essere intenzionati a favorire l’avvio e lo sviluppo di questo processo. Tra questi, anche Aires (Associazione italiana retailers elettrodomestici specializzati, ndr)”.
“Non possiamo continuare a consumare all’infinito materiale che non sappiamo più dove mettere. Dobbiamo iniziare a ragionare in modo diverso” – Claudio Tedeschi
Come la “Dismeco” di Marzabotto, impianto di trattamento specializzato nel trattamento di lavatrici e lavastoviglie. “Gestiamo circa 10mila lavatrici al mese e recuperiamo il 98% del materiale -spiega Claudio Tedeschi, amministratore delegato di Dismeco-. Già nel 2010 abbiamo seguito un’impostazione che privilegia il recupero: mentre la maggior parte degli impianti si limita a tritare gli elettrodomestici non più funzionanti noi li smontiamo tramite linee semi-automatiche”. Purtroppo però, nella situazione attuale, anche le parti riutilizzabili dei vecchi elettrodomestici non trovano spazio sul mercato. “Non possiamo continuare a consumare all’infinito materiale che non sappiamo più dove mettere -conclude Tedeschi-. Dobbiamo iniziare a ragionare in modo totalmente diverso. A partire da un eco-design che permetta di progettare le macchine in termini di riciclo e riutilizzo”. Un processo che deve fare i conti anche con marcate criticità del sistema di raccolta e gestione dei Raee. In primis con il fatto che le “miniere urbane” vengono “depredate” ancora prima che possa avere inizio il processo di bonifica e la successiva estrazione delle materie prime. Oltre il 50% delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato non entrano mail all’interno dei canali ufficiali del corretto smaltimento e recupero. E anche gli elettrodomestici che arrivano negli impianti di trattamento, spesso, sono stati depredati. “Circa il 40% dei frigoriferi e dei condizionatori che arrivano al nostro impianto sono già cannibalizzati: le parti ‘nobili’ e più remunerative come il motore, il termostato o la parte elettronica vengono sottratte”, aggiunge Nicola Suggi, amministratore di “Tred Recycle”, azienda con sede a Livorno, che sta partecipando allo sviluppo del progetto “Miniere Urbane”.
La cannibalizzazione dei macchinari provoca un doppio danno: la dispersione di sostanze inquinanti nell’ambiente da un lato, la perdita economica per l’azienda dall’altro. “E per sopravvivere devi trovare un modo per ottimizzare il più possibile tutto quello che ti arriva”, spiega Suggi. Oltre al recupero di materiali nobili come ferro, alluminio, rame e plastica che vengono inviati alle aziende di riciclo “Tred Recycle” ha concentrato la sua attenzione sul poliuretano espanso che viene utilizzato come coibentante negli sportelli e nelle strutture dei frigoriferi.
“Dopo il processo di trattamento, quel tipo di poliuretano di solito deve essere smaltito in discarica o termovalorizzatori. Noi riusciamo a renderlo totalmente inerte estraendo efficacemente il gas, lo polverizziamo e ne ricaviamo un prodotto, chiamato ‘Purygreen’ con una grande efficacia oleo-assorbente”, spiega Suggi. A questa difficoltà si somma una carenza legislativa. Nel momento in cui un’apparecchiatura elettrica funzionante diventa un rifiuto non è più possibile rimetterla in circolazione né utilizzarla per recuperare pezzi di ricambio. “Da 12 anni siamo in attesa di un decreto attuativo del Testo Unico ambientale (Decreto 152/2006, ndr) che disciplini il recupero e il re-manifacturing dei rifiuti elettrici ed elettronici”, spiega Danilo Bonato, direttore generale del consorzio Remedia. “La direttiva europea sull’economia circolare rilancia ulteriormente questo aspetto -aggiunge-. Ma servono norme certe per assicurare agli operatori la possibilità di operare e investire in questo settore”. In attesa del recepimento della direttiva europea e della pubblicazione dei relativi decreti attuativi, Remedia ha avviato lo scorso luglio un progetto pilota con l’azienda “Astelav” all’interno di un programma più ampio sulla preparazione per il riutilizzo (rigeneration.com) “per studiare l’effettiva fattibilità di un percorso di re-manifacturing di lavatrici divenute rifiuto”. Un percorso che, oltre a garantire la piena sicurezza del prodotto per i consumatori, tenga in considerazione anche l’effettiva convenienza dell’intervento: “Il vantaggio di questa operazione sta nel fatto di rimettere sul mercato un prodotto, azzerando o quasi il consumo di materie prime -riflette Bonato- tuttavia è importante selezionare i prodotti e valutare il costo ambientale complessivo. Rimettere in circolazione una macchina vecchia di dieci anni, che ha consumi molto alti, può avere poco senso”.
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