Interni / Varie
Milano in movimento
Dalla “food policy” alla raccolta record dei rifiuti organici, passando per mobilità ciclabile e accoglienza ai profughi siriani ed eritrei: la città è solidale
Tangenti, corruzioni, infiltrazioni mafiose nella gestione degli appalti. E ancora inquinamento, traffico asfissiante, mancanza di case a prezzi accessibili per le fasce più deboli della popolazione. E, se non bastasse il presente, una fiction di grande successo (“1992”) ha rinfrescato agli italiani la memoria sulla Milano culla di Tangentopoli. Un quadro che, però, non esaurisce il racconto di una metropoli complessa, capace -ad esempio- di interrogarsi sull’esigenza di una “Food policy”, una politica del cibo che è in fase di elaborazione e si realizzerà entro il 2020. “L’obiettivo è quello di elaborare uno strumento di supporto al governo della città per qualificare e rendere più sostenibile Milano, partendo dai temi legati al cibo”, spiega Andrea Calori, responsabile scientifico del progetto. Dopo una prima fase di analisi e raccolta dei dati, sono stati individuati i dieci temi principali da cui partire per realizzare la “Food policy” di Milano: governance, sprechi, accesso (cibo per tutti), benessere, ambiente (riduzione degli impatti), agro-ecosistema, produzione, commercio e finanza. “Dopo aver definito le priorità, verrà avviata una terza fase di progettazione partecipata per individuare i soggetti che sono disposti a lavorare ed elaborare i primi progetti -spiega ancora Calori-. Questo è un esempio di visione di lungo periodo: il fatto di avere un programma di lavoro che si articola in progetti già in corso, progetti cantierabili a breve e una strategia pone una sfida interessante”.
La “Food policy” riguarderà una platea di interlocutori molto ampia: dalle mense scolastiche gestite da MilanoRistorazione ai cittadini, passando per grande distribuzione organizzata, gruppi d’acquisto solidali e Sogemi, la società che gestisce i mercati generali. “In città sono già attivi diversi progetti legati al cibo quello che manca è una regia -racconta Calori-. Vorremmo, ad esempio, realizzare un coordinamento tra tutti i soggetti che forniscono alimenti alle persone in difficoltà, recuperando l’invenduto, che ora manca. E, ancora, potenziare la fornitura di prodotti biologici e a filiera corta nell’offerta di MilanoRistorazione”. Il progetto non si ferma ai confini cittadini: Milano ha promosso un patto internazionale (“Food policy pact”) che vuole coinvolgere il maggior numero di città del mondo per costruire sistemi alimentari centrati sulla sostenibilità e sulla giustizia sociale. Al momento sono 36 le città (da Toronto ad Hanoi) che stanno lavorando alla redazione del patto, che verrà sottoscritto a Milano in ottobre.
Differenziata da record. Il tema del cibo si lega, necessariamente, a quello della gestione dei rifiuti. Per quanto attenti agli sprechi, inevitabilmente una certa quota di scarti alimentari (bucce, semi, ossa, lische) va a finire nel bidoncino marrone che i milanesi conoscono bene.
Il capoluogo lombardo, infatti, è l’unica tra le grandi città italiane ad aver esteso la raccolta dell’umido a tutti gli abitanti, con una raccolta complessiva di circa 120mila tonnellate in un anno. Un dato che, in base al rapporto 2014 del Consorzio italiano Compostatori (l’ultimo disponibile), fa di Milano la metropoli con la più alta capacità di separazione dello scarto organico. Un’eccellenza non solo quantitativa, ma anche qualitativa: “I milanesi contrariamente alle previsioni iniziali degli scettici fanno molto bene la differenziata dell’umido -sottolinea Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia-. Da un punto di vista merceologico la qualità dell’umido raccolto a Milano è ottima, l’organico è quasi interamente compostabile”. La gestione degli scarti alimentari si inserisce in un quadro positivo anche per quanto riguarda i tassi di raccolta differenziata: Milano è l’unica città italiana sopra il milione di abitanti ad aver superato la soglia del 50%. E a livello europeo solo Vienna fa meglio. Nel 2012 la città era ferma al 36,7%, e ci sono ancora margini per migliorare: “Entro il 2020 Milano potrebbe riallinearsi alla media regionale del 67% prevista da Regione Lombardia. E in prospettiva si può arrivare anche al 70-80%”, conclude Di Simine.
Al lavoro in bicicletta. Il carattere “sostenibile” dei milanesi è confermato anche dai dati relativi all’uso quotidiano della bicicletta, che cresce di anno in anno malgrado l’assenza di una politica organica a favore delle due ruote. Nel settembre 2014, in occasione del suo annuale censimento, “Ciclobby” ha registrato 34.100 passaggi di ciclisti lungo le intersezioni fra la cerchia interna e le principali vie d’accesso al centro. “È il dato più alto degli ultimi 13 anni” sottolinea Valerio Montieri, del gruppo tecnico di Ciclobby. Nel 2008 i passaggi censiti erano 21.800 e con il passare del tempo si è registrato un aumento progressivo: + 56% dal 2003 (anno di inizio delle rilevazioni) a oggi. A sottolineare la crescente passione dei milanesi per le due ruote è anche il successo di BikeMi, il servizio di bike-sharing pubblico: con una flotta di 3.600 biciclette (cui se ne aggiungono a maggio altre mille a pedalata assistita) è il più importante d’Italia. “Il bike sharing è sicuramente un elemento positivo, ma è solo un tassello di un mosaico più complesso. Non possiamo pensare che sia la panacea di tutti i problemi della ciclabilità milanese”, sottolinea Eugenio Galli, presidente di Ciclobby. Le strade di Milano sono insicure e non solo per i comportamenti degli automobilisti: “La mobilità milanese va ripensata in un’ottica di condivisione degli spazi: le piste ciclabili e le infrastrutture dedicate non sono una soluzione”, osserva Galli. La soluzione prospettata è piuttosto quella della realizzazione e dell’estensione delle cosiddette “aree 30” in cui auto e scooter non possono superare i 30 chilometri orari.
I micro-appartamenti recuperati. La sfida più importante della pianificazione urbana è quella che riguarda riguarda l’abitare. A seguito del “divorzio” con Aler (l’agenzia regionale che gestisce l’edilizia pubblica in Lombardia), dal 1° dicembre 2014 il Comune di Milano ha ripreso in gestione 29mila case popolari, circa un terzo del patrimonio di edilizia residenziale pubblica della città, attraverso la controllata Metropolitana Milanese. Tra i progetti avviati, uno riguarda il recupero di quei micro appartamenti con una metratura inferiore ai 28 metri quadrati. Il patrimonio comunale ne registra 392, di cui 180 liberi e tecnicamente “non assegnabili” perché inferiori alle metrature previste dalla legge regionale. Con il progetto “Ospitalità solidale”, 24 di questi micro-appartamenti sono stati ristrutturati (con una spesa complessiva di 430mila euro) e assegnati a ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni, a canone agevolato: 370 euro al mese, spese comprese. “Il progetto è stato pensato in un’ottica di scambio e partecipazione -spiega Valentina La Terza, una delle coordinatrici-: agli inquilini viene chiesto di promuovere attività di volontariato e vicinato sociale per un totale di 20 ore al mese”.
Altri 35 alloggi sotto-soglia verranno riqualificati e assegnati temporaneamente (per un massimo di 18 mesi) a chi si trova in una situazione di difficoltà abitativa nell’ambito del progetto “Albergo sociale diffuso”. Un progetto di cui beneficeranno in modo particolare mamme sole con bambini, anziani e padri separati. Altri cento appartamenti verranno ristrutturati e accorpati tra loro per creare unità abitative di maggiori dimensioni.
Milano, città accogliente e solidale. L’attenzione verso le esigenze dei soggetti più deboli non “guarda” la carta d’identità. A partire da fine agosto 2013, la guerra siriana è arrivata a Milano, per la precisione nell’atrio della Stazione Centrale. I profughi, infatti, non vogliono chiedere asilo in Italia: rifiutano di farsi identificare al momento dello sbarco, lasciano i centri d’accoglienza del Sud per raggiungere il Nord Europa. La Stazione Centrale rappresenta un punto di passaggio obbligato lungo le rotte che portano in Germania, Svezia e Norvegia. In poche settimane centinaia di persone si trovano costrette a passare la notte sui marmi della stazione, in attesa di riprendere il viaggio. Provati dal viaggio, senza cibo né assistenza, molti indossano ancora i vestiti impregnati di sale che indossavano al momento dello sbarco.
I primi ad attivarsi sono volontari, i Giovani Musulmani che svolgono un prezioso lavoro di interpretariato, alcune realtà del terzo settore che distribuiscono acqua, cibo e vestiti puliti. A metà ottobre il Comune, in collaborazione con Fondazione Progetto Arca, Caritas, Croce Rossa, Protezione civile e Comunità di Sant’Egidio, interviene in maniera più decisa avviando un vero e proprio sistema di accoglienza ad hoc per i siriani, che successivamente verrà esteso agli eritrei.
I profughi vengono rifocillati al mezzanino della Stazione, e quindi smistati nei vari centri messi a disposizione dalle realtà del terzo settore. Complessivamente, tra ottobre 2013 e novembre 2014, sono passati per Milano più di 55mila profughi siriani ed eritrei, con picchi di mille arrivi al giorno nel mese di agosto. Un’emergenza umanitaria affrontata in totale solitudine, senza nessun intervento da parte del Governo.
L’accoglienza dei siriani non è nata dal nulla. “Milano è la ‘capitale’ del terzo settore, del no-profit e del volontariato -spiega Ivan Nissoli, presidente del Centro servizi per il volontariato-. C’è una grandissima rete di associazioni e una grande disponibilità dei milanesi a mettersi al servizio della città e di chi ha più bisogno”. Sono circa 16.500 le persone che operano con regolarità all’interno delle organizzazioni di volontariato. “A questo dato bisogna poi aggiungere le persone che fanno attività di volontariato in maniera sporadica o svolgono attività nei quartieri, nelle associazioni sportive, nelle parrocchie”, sottolinea Nissoli.
Contro la corruzione. Se i cittadini milanesi responsabili verso l’altro scelgono il volontariato, i funzionari pubblici hanno la possibilità di far di più: dal gennaio 2015 tutti i dipendenti di Palazzo Marino hanno la possibilità di segnalare in forma anonima (evitando così mobbing e ritorsioni) eventuali illeciti, irregolarità o comportamenti “spia” che possono nascondere reati. Mutuando un termine anglosassone, quest’azione è conosciuta come “whistleblowing”. “Milano è il primo Comune in Italia a dotarsi di una procedura per denunciare e prevenire corruzione concussione, peculato, turbativa d’asta, reati inerenti la pubblica amministrazione”, spiega il consigliere comunale David Gentili, che è anche presidente della Commissione antimafia di Palazzo Marino.
Le denunce verranno vagliate da un’apposita commissione (durata triennale, non rinnovabile) formata da Roberto Montà presidente di Avviso pubblico, Virginio Carnevali presidente di Transparency Italia e Mariangela Zaccaria, vice segretario Generale del Comune di Milano. —