Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia

Mercati mondiali e rottami veneti – Ae 50

Numero 50, maggio 2004Forse ricorderete Arnaldo Cestaro, la vittima più “anziana” del pestaggio alla Diaz nel luglio 2001. Arnaldo fa il rottamaio, e in questo periodo lavora come non mai: tutta colpa (o merito) della CinaLa vita di Arnaldo, dall'inizio…

Tratto da Altreconomia 50 — Maggio 2004

Numero 50, maggio 2004

Forse ricorderete Arnaldo Cestaro, la vittima più “anziana” del pestaggio alla Diaz nel luglio 2001. Arnaldo fa il rottamaio, e in questo periodo lavora come non mai: tutta colpa (o merito) della Cina

La vita di Arnaldo, dall'inizio dell'anno, è legata a filo doppio a quella di un miliardo e trecento milioni di cinesi. E per loro -per colpa o merito, a seconda dell'angolazione da cui si vuole guardare questa storia- non ha più un minuto libero. Per capirlo bisogna rovistare dentro a una catasta di rottami, cioè dentro buona parte della giornata di Arnaldo Cestaro da Agugliaro.

Lui è nato qui, in questo paesino di 1.300 anime (scarse) in provincia di Vicenza, e con il “ferrovecchio” ha sempre lavorato: come autodemolitore prima e poi, dopo il 1989, come raccoglitore. Gli ultimi mesi per il suo settore sono stati molto fruttuosi, perché tra gennaio e febbraio il prezzo del rottame è andato alle stelle.

La ragione sta dall'altra parte del pianeta, in Cina, Paese che sta conoscendo uno sviluppo mai visto (ne abbiamo parlato di recente, su Ae n. 47), con una crescita del prodotto interno lordo oltre le previsioni: 9,7% nei primi tre mesi dell'anno. Che tradotto significa più infrastrutture, più case, più auto. In definitiva: molto più acciaio, metallo di cui la Cina è diventata il primo produttore al mondo.

E se nel 2003 dagli stabilimenti della Repubblica Popolare uscivano 220 milioni di tonnellate d'acciaio grezzo (una produzione che, da sola, supera di gran lunga quella dell'intera Unione Europea), per il 2004 è previsto un incremento dei consumi che porterà il fabbisogno a 280 milioni di tonnellate. La decisione del governo cinese, a inizio anno, è stata netta: taglio del 40% all'export di carbon coke, indispensabile per gli altoforni delle acciaierie a ciclo integrale, e rastrellamento sul mercato di prodotti siderurgici finiti, così come di materia prima per nutrire le acciaierie elettriche, cioè rottami.

Da qui all'impennata dei prezzi il passo è stato fin troppo breve. Il coke è salito a oltre 330 euro la tonnellata (era a 40 nel 2002), il rottame generico nuovo, cioè il migliore sulla piazza, a 220 euro la tonnellata dai 145 dello scorso anno. Con vantaggi immediati per alcuni e, vedremo, problemi e preoccupazioni rispetto al futuro per altri.

Ed ecco che un cittadino cinese che acquista il suo primo frigorifero può, senza saperlo, influenzare la vita di un raccoglitore di rottami veneto. Potere del mercato globale.

La giornata di Arnaldo inizia al mattino presto, intorno alle 7. Con l'aiuto del nipote e di una terza persona inizia il giro dei “fornitori”, in gran parte della provincia: dai contadini, casa per casa, alle aziende locali. Sul camioncino, con l'aiuto dell'apposito braccio meccanico viene caricato di tutto. Biciclette, vecchie caldaie, parti meccaniche, motori da fare a pezzi.

“Il metallo peggiore è quello delle lavatrici -racconta Arnaldo- mentre è ottimo il lamierino nuovo, gli scarti delle lavorazioni industriali”. Variano i tipi di metallo recuperati -alluminio, acciaio, ferro, ottone- e, di conseguenza, il prezzo che si riesce a spuntare, in base a un riferimento di mercato di massima, anche se poi tutto viene ricondotto a una trattativa privata. Si vive alla giornata, con due-tre carichi al giorno quando va bene, una trentina di quintali in tutto. Ma il momento è buono: “Il rottame -conferma Arnaldo- oggi me lo pagano anche il doppio”. !!pagebreak!!

La tappa successiva è il punto di raccolta dei fratelli Zampieròn, a Villafranca Padovana, 35 chilometri a Nord di Agugliaro. L'impianto ogni giorno mette insieme 300 tonnellate di rottami di vario tipo. Qui, con Arnaldo, convergono piccoli raccoglitori indipendenti, come Antonio Bazza, 75 anni, ex-fruttivendolo che, racconta, con un paio di carichi arrotonda la pensione. Ma arrivano anche i camion da cento quintali delle aziende che si occupano di recupero a livello professionale.

I rottami (che di solito arrivano già divisi per tipologia) vengono scaricati con i ragni meccanici, poi triturati e venduti alle acciaierie o agli esportatori.

Dei “rottami d'oro” di questi mesi non si lamenta nessuno, per ora: “Sempre che non finiscano”, commentano gli Zampieròn. In passato il prezzo saliva quando l'industria produceva a pieno ritmo; oggi è soltanto termometro di una rarità che potrebbe diventare crisi.

È qui uno dei nodi fondamentali. L'acciaio viene prodotto in due modi: negli altiforni dalle acciaierie a ciclo integrale, con il carbon coke, oppure da quelle elettriche, a partire dal rottame. L'Italia ha due grandi produttori di acciaio da coke: il Gruppo Riva (al primo posto tra gli acciaieri italiani e decimo nel mondo) e il Gruppo Lucchini. Ma il grosso della produzione complessiva nazionale, il 65%, arriva dall'elettrico. In Europa situazioni analoghe si ritrovano solo in Spagna (75%) e Turchia (70%).

“È un'anomalia tipicamente italiana e in genere dei Paesi poveri di carbone”, spiega Eugenio Turchetti, direttore di Assofermet, associazione che raccoglie i commercianti di prodotti siderurgici, metalli non ferrosi, ferramenta e rottami. “Tutti gli altri in Europa producono principalmente da coke. Noi questa materia prima abbiamo sempre dovuto importarla. Più facile reperire il rottame, invece”.

Le zone ricche da questo punto di vista sono quelle più sviluppate a livello industriale (e dei conseguenti scarti): Lombardia su tutte (con 3,5 milioni di tonnellate prodotte ogni anno), poi Piemonte, Veneto, Emilia Romagna. E queste, per motivi simili, sono le aree con maggior concentrazione di acciaierie, Brescia e provincia in testa. L'Italia ogni anno consuma quasi 18 milioni di tonnellate di rottame. 13 milioni di tonnellate arrivano dal mercato interno, il resto viene importato dall'estero. Per questo preoccupa la crescita cinese e la conseguente “scomparsa” del materiale ferroso. Analoghi problemi per l'acciaio a ciclo integrale. Il taglio all'export di coke cinese ha costretto il Gruppo Riva, rimasto a corto di minerale, a cercare di approvvigionarsi altrove, con notevole difficoltà e rischiando di dover arrestare la produzione.

Ai primi di aprile è stato firmato un accordo tra il governo cinese e quello italiano per la fornitura di 200 mila tonnellate di coke (30 mila delle quali destinate alle fonderie): “Ma è una pezza -commenta Alberto Consiliere di Federacciai-, risolve il problema solo per alcuni mesi”.

Nell'immediato, dicono gli analisti di settore, l'aumento dei prezzi (delle materie prime come dei prodotti finiti) non può non ripercuotersi sul consumatore. Per le conseguenze più pesanti, però, bisognerà aspettare qualche anno: “Se i ritmi di crescita continuano così -conferma Consiliere- entro il 2010 la produzione della Cina passerà dal mercato interno, che è oggi il suo principale obiettivo, all'export”. Il futuro visto dagli industriali italiani? “Saremo sommersi dall'acciaio cinese”.!!pagebreak!!

Niente sanzioni, per favore
La fame di rottami (e non solo) dimostrata dalla Cina preoccupa il settore siderurgico. E c'è chi, per questo motivo, ha richiesto un intervento dell'Unione Europea per limitare l'export di rottami verso Paesi terzi. Ma l'associazione di categoria, in merito, è dubbiosa: “In un contesto di mercati internazionali aperti come quello in cui siamo -dice il direttore di Assofermet Eugenio Turchetti- le misure protezionistiche non hanno senso, anche perché potrebbero scatenare reazioni analoghe da parte di altri Paesi”, e provvedimenti da parte del Wto.

Proprio com'è accaduto per la recente “guerra dell'acciaio” che ha opposto Stati Uniti e Unione Europea. Oggetto del contendere i dazi che nel 2002 il governo americano aveva posto sull'importazione di prodotti siderurgici dell'Ue e di altri sette Paesi, con l'obiettivo di “difendere” le proprie acciaierie (vedi Ae n. 29). Dopo oltre un anno e mezzo di tensioni e scontri diplomatici, nel 2003 il Wto ha dichiarato illegali i dazi statunitensi e Washington è stata costretta ad abolirli.

La corsa del drago: più 10% in tre mesi
Cina senza freni. Lo confermano le cifre che vanno, addirittura, al di là delle previsioni. La crescita del Pil ha quasi raggiunto il 10% (assestandosi sul 9,7%) nei primi tre mesi del 2004, per un valore pari a 326,6 miliardi di dollari. Un ritmo che supera di tre volte quello dei Paesi dell'Ocse, come ha sottolineato nelle scorse settimane Il Sole 24 Ore, e che deve ringraziare in particolare l'aumento degli investimenti che segnano un più 43%, mentre nel 2003 si erano fermati “solo” al 26,7%. Significa, tra l'altro, che sempre più aziende puntano sul gigante asiatico per fare affari.

Come la Piaggio, che ha firmato di recente un accordo con il gruppo locale Zongshen che entro il 2008 dovrebbe portare alla produzione di oltre 300 mila motoveicoli l'anno, per un fatturato previsto tra i 180 e i 200 milioni di euro. L'accordo potrebbe così rilanciare la produzione di Piaggio, appena uscita da un periodo di crisi e presente in Cina da dieci anni, anche se con risultati al di sotto delle aspettative.

 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati