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Sostenibilità e uguaglianza nel piatto: a scuola anche le mense possono educare

© Save The Children

Oltre un milione e 200mila studenti ogni giorno condividono il pasto. In forte crescita la presenza di prodotti biologici

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

Se la stagione è favorevole, con la ripresa dell’anno scolastico i 37 bimbi della scuola elementare di Melpignano (LE) in mensa potranno ancora assaggiare la meloncella, un piccolo melone che si consuma acerbo, dal gusto simile al cetriolo. E pomodori e zucchine di diversi ecotipi locali, che li accompagneranno fino all’inverno. Gli ortaggi sono coltivati in due aziende biologiche a Nord di Otranto (LE) –Salos e Fontanelle, della rete Salento Km0 – che forniscono gli ortaggi alla cooperativa sociale “Nuova era” di Scorrano (LE), vincitrice della gara d’appalto per la gestione della mensa.

“La mensa etica e a km0 s’inserisce in una progettualità più ampia, per prenderci cura del territorio con un modello replicabile anche altrove”, spiega la vicesindaca di Melpignano, Valentina Avantaggiato. Per avviare la sperimentazione, lo scorso gennaio il Comune ha stretto un accordo informale perché la “Nuova era” acquistasse dalla rete Salento Km0 il 100% di frutta e verdura destinata alle mense e sostenesse la differenza di prezzo fino alla fine della scuola, per non toccare la tariffa pagata dai genitori (2,25 euro al massimo). Ma non tutte le produzioni locali sono apprezzate dai bambini: “Non abbiamo potuto inserire nei menù rape e cicorie, prodotti tipici del territorio: sarebbero state sprecate”, spiega Antonio Greco di Salos. E i frutti richiesti dalla scuola, come mele e pere, qui non si coltivano.

“Per ridurre i costi bisognerebbe trovare un produttore più vicino alla mensa e avviare una conversione totale al bio, non solo per gli ortaggi”, suggerisce. Ma anche alzare la percentuale di prodotti biologici richiesta dall’appalto (oggi al 25%) “e fare rete con altri Comuni per aumentare le quantità e programmare le produzioni con le aziende -osserva Avantaggiato-, per sostenere la piccola agricoltura in un’ottica di crescita collettiva e salvaguardia del territorio, educandoci al buon cibo”. 

La condivisione del pranzo a scuola, infatti, è anche un momento importante di educazione alla sana alimentazione e di promozione della salute. “Così come imparano le materie scolastiche tradizionali, gli studenti sono educati al gusto nel momento del pasto, soprattutto attraverso le esperienze alimentari condivise che fanno in mensa”, osserva Maurizio Iaia, pediatra di comunità a Cesena e referente dell’Ausl Romagna per la nutrizione e la dietetica nell’età evolutiva. Iaia è stato un pioniere delle mense bio-mediterranee in Italia, avviando nel 1986 con il Comune di Cesena una mensa biologica in tre scuole dell’infanzia, con l’obiettivo di migliorare la composizione nutrizionale di menù.

Oggi il progetto “Pappamondo” coinvolge tutte le scuole del Comune di Cesena e dintorni, portando una percentuale di prodotti bio vicina al 100% nelle mense, dai nidi d’infanzia alle scuole secondarie. Un successo dovuto anche al coinvolgimento di insegnanti e genitori, per esempio attraverso laboratori di cucina che li guidano nella preparazione dei piatti che i bimbi mangiano a scuola. “Questi incontri esperienziali ci aiutano a trasmettere alle famiglie una maggiore consapevolezza sull’importanza di una dieta equilibrata e del valore salutistico del cibo -continua Iaia-. Inoltre, gli adulti hanno un ruolo fondamentale nell’innescare nei bimbi, che apprendono per imitazione, un’esperienza di cambiamento. Così, se l’insegnante è preparata e coinvolta direttamente, diventa una guida fondamentale e un modello da seguire”. Allo stesso modo, se alcuni bambini sono già abituati ad accettare alimenti sani, come frutta e verdura, i loro compagni impareranno da loro. “Da questo punto di vista, la condivisione sociale della tavola è un momento di crescita che porta i più piccoli ad accettare nuove esperienze virtuose di consumo, costruendo un patrimonio pedagogico e culturale condiviso dai bambini”.

Un agricoltore di Otranto (LE) dell’azienda agricola Salos parte della rete “Salento Km0” i cui prodotti bio finiscono nella mensa della scuola elementare del paese – © agricoltore di Otranto (LE) dell’azienda agricola Salos parte della rete “Salento Km0” i cui prodotti bio finiscono nella mensa della scuola elementare del paese – © agricoltore di Otranto (LE) dell’azienda agricola Salos parte della rete “Salento Km0” i cui prodotti bio finiscono nella mensa della scuola elementare del paese – © Salento Km0

Un processo che vale anche per la sensibilizzazione sull’agroecologia: secondo l’osservatorio Bio Bank, una mensa italiana su quattro utilizza tra il 70 e il 100% di materie prime biologiche. Nel 2017 erano 1.311 le mense scolastiche biologiche, un numero crescente grazie al fatto che “dal bio difficilmente si torna indietro”, osserva Rosa Maria Bertino di Bio Bank. “Molte mense hanno iniziato con un solo prodotto bio, come la frutta. Ma nel tempo abbiamo osservato una crescita costante degli ingredienti certificati -dice-. Prodotti sani, ma soprattutto con una forte potenza educativa, perché il cibo biologico è veicolo di un cambiamento alimentare che facilita una riflessione su cosa mettiamo tutti i giorni nel piatto”.

Un aspetto colto anche dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali che lo scorso dicembre ha definito -di concerto con i ministeri dell’Istruzione e della Salute- i “Criteri e requisiti delle mense scolastiche biologiche” (nel decreto 14771/2017) e istituito un fondo di 4 milioni di euro per il 2017 e 10 milioni di euro annui dal 2018 al 2021. L’obiettivo: “Ridurre i costi a carico dei beneficiari del servizio di mensa scolastica biologica e realizzare iniziative di informazione e promozione nelle scuole”, come si legge nel decreto. Il ministero fissa due possibili qualificazioni per la mensa bio -la “medaglia d’argento” e quella “oro”-, in base alle percentuali di prodotti certificati, in peso: il 100% di uova, yogurt e succhi di frutta; il 70 o 90% di frutta, ortaggi, legumi, cereali, olio e trasformati vegetali; il 30 o 50% di proteine animali (latte, formaggi, carne e pesce). È inoltre vietato l’uso di ogm e aromi non naturali e sono previsti dei premi per chi riduce lo spreco e l’impatto ambientale e se la fornitura è entro un raggio di 150 chilometri. Si tratta di fatto di un’autodichiarazione: a fine maggio è stato aperto un “bando” sul sito politicheagricole.it, che rimanda a una piattaforma informatica dove le scuole o chi fornisce il servizio possono inserire i propri dati per l’iscrizione nell’elenco nazionale delle mense bio.

Un momento della preparazione dei pasti di Milano Ristorazione: l’azienda serve 85mila pasti al giorno in scuole e asili – © Milano Ristorazione

Per lanciare il progetto sulle mense bio, l’ex ministro Maurizio Martina ha scelto una storica scuola milanese, lascuolarinnovata.it, circondata da orti, frutteti e una fattoria di animali. “Ciascuna delle nostre 25 classi elementari coltiva secondo i principi dell’agricoltura naturale due aiuole dalla prima alla quarta e 30 metri quadri in quinta”, spiega Gima Manicone, vicepreside e insegnante di italiano e matematica. Così, i 625 bimbi iscritti alla primaria “familiarizzano con i prodotti della terra e imparano il ritmo delle stagioni. E l’orto diventa l’occasione per fare educazione alimentare”. Per questioni igieniche i frutti di questi orti non possono arrivare sui piatti della mensa: i bimbi li portano a casa. Il pranzo è servito da Milano Ristorazione spa, una società del Comune di Milano che produce ogni giorno 85mila pasti per 458 mense e 200 nidi. Un servizio che raggiunge ogni giorno oltre 70mila bambini. “La nostra visione della sostenibilità ambientale è complessiva: oltre ai prodotti bio (il 35% delle forniture, ndr), abbiamo l’11% di prodotti Igp e Dop, il 28% di prodotti locali e le referenze da filiera corta sono il 72%”, spiega Fabrizio De Fabritiis, amministratore unico. Dal 2017 la spa ha avviato un percorso di transizione al bio, per esempio per la pasta, la frutta invernale, le banane equosolidali, le uova e lo yogurt. Una volta alla settimana il pane è integrale e bio, e quello dei giorni festivi è prodotto dalla cooperativa sociale del carcere di Opera, a Milano. Il riso, per una fornitura annuale di 1.800 quintali, è del Consorzio Distretto agricolo milanese. Nel 2017, Milano Ristorazione ha speso 2.150.960 euro in prodotti bio, pari all’11,10% della spesa totale alimentare.

L’organizzazione Save the Children monitora da quattro anni il settore della refezione scolastica, con particolare attenzione al tema delle esclusioni. Secondo la loro indagine, su 1.656 interpellati, il 36% degli alunni sostiene di avere avuto almeno un compagno che ha smesso di andare a mensa. Secondo il IV Piano Nazionale Infanzia (agosto 2016) la mensa rappresenta uno “strumento fondamentale di contrasto alla povertà minorile” e “un’opportunità per tutti i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle famiglie più deprivate e a rischio di disagio sociale”

Con 1.274.889 pasti al giorno in Italia, quello delle mense scolastiche è “un mercato concentrato nelle mani di pochi e frammentato a livello di erogazione del servizio”, spiega Bertino. Solo il 3% delle mense ha una gestione diretta, che implica “una grande volontà politica, disponibilità economica, investimenti immobiliari e un adeguamento costante alle normative”. Delle 14 grandi aziende di ristorazione che, nel 94% dei casi, gestiscono le mense in appalto, al primo posto c’è la società cooperativa Camst di Villanova di Castenaso (BO), attiva in 970 Comuni con l’82% di ingredienti biologici. Nel 2015 Camst ha vinto l’appalto per la refezione delle scuole bolognesi, tramite un raggruppamento temporaneo d’impresa con Gemeaz Elior spa di Milano: RiBò. RiBò prepara quasi 19mila pasti al giorno per 171 scuole in tre centri pasto: Casteldebole ed Erbosa (che nel 2019 dovrebbe essere sostituito dal nuovo centro pasti Lazzaretto), gestiti da Gemeaz, e Nuovo Fossolo, il più moderno, gestito da Camst. L’88% delle materie prime usate da Ribò è bio (il 92,3% nel caso di frutta e verdura) e il 60% è fornito da 70 produttori in un raggio di 150 chilometri, grazie a un capitolato d’appalto frutto di un percorso partecipato, spiega Marilena Pillati, vicesindaca di Bologna con delega alla Scuola. “Consapevoli di dover cambiare radicalmente il contratto che regolava il servizio da quasi un decennio, abbiamo avviato un percorso per coprogettare la mensa insieme ai rappresentanti dei genitori, degli insegnanti ed esperti dell’azienda sanitaria locale”. Un lavoro durato un anno, che ha portato alla definizione delle “Linee di indirizzo per lo sviluppo del servizio”, sulla base delle quali il Consiglio comunale ha definito gli indirizzi per la stesura del capitolato di gara. “Siamo riusciti a valorizzare i diversi aspetti di un servizio così complesso: dalla qualità nutrizionale alla sicurezza alimentare, dalla sostenibilità ambientale alla gradibilità da parte dei bambini, che è fondamentale” spiega Pillati. A fronte di un risparmio di 3,5 milioni di euro il Comune è riuscito ad abbassare le tariffe: quella massima è scesa da 6,70 a 5,20 euro (la minima è 0,50 euro), con un risparmio annuo di 175 euro in media a bambino. 

La distribuzione del cibo alla mensa della scuola milanese Rinnovata Pizzigoni – © Agenzia Fotogramma

“Passando al biologico, il costo finale delle materie prime aumenta di circa il 20%, ma le materie prime rappresentano solo un terzo in media del costo totale del pasto -sottolinea Rosa Maria Bertino-. E la mensa bio costringe a ottimizzare la gestione: per esempio, scegliendo frutta di seconda categoria o riducendo gli sprechi”.

Un aspetto centrale secondo Roberto Spigarolo, del Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli studi di Milano. “L’Italia è leader in Europa per la qualità dei pasti delle mense, ma non per l’organizzazione della filiera della ristorazione scolastica -spiega-. In Nord Europa, per esempio, il cibo incide maggiormente sui costi, ma si risparmia sul servizio: i bambini si servono in mensa autonomamente ed è più diffuso il metodo di cottura refrigerato”. Oltre a coinvolgere i bambini in modo attivo al momento del pasto, favorendo un’educazione alimentare diretta, il self service ridurrebbe gli sprechi, che rappresentano ancora il 35% del cibo in mensa, spiega Spigarolo: “Quel che resta nel piatto non può essere riutilizzato, per motivi d’igiene, ma il cibo che rimane nei vassoi termici sì. Anche questo è un tema centrale dell’educazione alimentare”. Oltre al fatto che il risparmio grazie al self service è calcolato in 50 centesimi di euro a pasto, sufficienti a portare da zero al 60% la presenza di ingredienti bio nei pasti.

La qualità delle mense è al centro dell’attività della rete nazionale Commissioni Mensa: nata spontaneamente tre anni fa, è composta da “volontari che si autofinanziano”, sottolinea Sabina Calogero della commissione nazionale, e aggrega oggi 48 Comuni. “Le commissioni nascono per ragioni diverse: a Genova lavoriamo molto sulla qualità del cibo, come a Venezia; a Torino il tema centrale è quello dei costi; a Bologna si lotta per il rispetto del capitolato”.

“La condivisione sociale della tavola è un momento di crescita, la costruzione di un patrimonio pedagogico e culturale condiviso” – Maurizio Iaia

Nei comuni cremonesi di Quintano e Pieranica, 2mila abitanti con 100 bimbi iscritti alle primarie, i genitori della commissione mensa hanno creato l’associazione “Il buon cibo” e avviato nel 2017 una mensa autogestita, allestita in uno spazio dell’oratorio. “Abbiamo stretto un accordo con una gastronomia locale, che trasforma prodotti locali freschi e in parte bio, per la fornitura del pasto -spiega Veronica Delcarro-. E siamo riusciti ad abbassare il costo dai 7,50 euro del Comune a 5 euro, organizzandoci per portare alla mensa i 23 bambini che hanno aderito al progetto con il piedibus o lo scuolabus”. Un’azione su piccola scala, ma che ha costretto il Comune a rivedere la propria proposta: il menù scolastico quest’anno costerà 5 euro. Ma da ‘Il buon cibo’ è arrivata un’altra idea per l’anno scolastico che inizia: la possibilità di scegliere il pasto da casa, preparato dalla gastronomia e consegnato a scuola da un genitore volontario dell’associazione, al costo di 4,80 euro. “Vogliamo garantire un’alimentazione sana e di qualità per tutti, a prezzi sempre più accessibili, ma senza togliere il momento della condivisione del pasto con i compagni”, spiega Delcarro. Un obiettivo ambizioso anche per numeri così piccoli, mentre il 48% degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha ancora accesso alla mensa scolastica, come scrive Save the Children nel rapporto “(Non) tutti a mensa” (2017). “Abbiamo iniziato il monitoraggio sul servizio di refezione scolastica quattro anni fa, quando si stavano moltiplicando gli articoli di cronaca sull’esclusione dei bambini dalle mense”, spiega Antonella Inverno, responsabile dell’unità policy della onlus. Il report si focalizza sui 45 Comuni capoluoghi di Provincia con più di 100mila abitanti, a partire dalla considerazione che l’accesso alla mensa scolastica è un tassello fondamentale per garantire i diritti allo studio, alla salute e alla non discriminazione. La mensa manca nel 23% delle scuole italiane e “in otto Regioni, un bambino su due non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa, con percentuali altissime al Sud: oltre l’80% in Sicilia, il 73% in Puglia, 69% in Molise, 64% in Campania e 63% in Calabria”. In un Paese dove 1 milione e 300mila bambini (il 12,5% del totale) vive in condizioni di povertà assoluta, “investire sulla mensa può rappresentare un forte segnale di cambiamento, per esempio, per garantire un pasto proteico a quel 5,7% di minori che non consuma né carne, pesce o l’equivalente vegetariano neppure una volta al giorno. Ma anche per combattere la malnutrizione del 10% dei bambini obesi e del 20% dei bambini in sovrappeso in Italia”, sottolinea Inverno.

1.311 sono le mense scolastiche biologiche in Italia: erano 683 nel 2007. I dati sono del focus Bio Bank “Mense scolastiche 2018” che si può leggere onlineTra i prodotti più utilizzati quelli freschi, come frutta e verdura (76%), e i cereali (60%). Il fatturato complessivo della ristorazione bio, commerciale e collettiva è stato di 377 milioni di euro nel 2016 (il 135% in più rispetto al 2007)

Le disparità riguardano spesso il costo del servizio: “Le tariffe massime variano dai 2,30 euro di Catania ai 7,28 euro di Ferrara; quelle minime dai 30 cent di Palermo ai 6 euro di Rimini”. 11 Comuni su 45 “non prevedono l’esenzione totale dal pagamento della retta né per reddito, né per composizione familiare o motivi sociali”. E tre Comuni -Bolzano, Padova e Salerno- non prevedono alcun tipo di esenzione. “Ma a preoccupare è anche l’esclusione dal servizio mensa dei bambini figli di genitori non in regola con il pagamento delle rette: è ingiusto e discriminatorio che a pagarne le conseguenze siano i bambini”, spiega Inverno. Due anni fa Save the Children, con ActionAid e il Coordinamento Genitori Democratici, era intervenuta nella vicenda del Comune di Corsico (MI), che aveva escluso dalla mensa i bambini le cui famiglie erano insolventi nei pagamenti delle rette.

Per eliminare le discriminazioni e coinvolgere tutti i bambini nell’educazione al cibo fin dai banchi di scuola bisognerebbe “universalizzare il servizio mensa con una legge nazionale capace di garantire meccanismi inclusivi di tutela delle famiglie che non riescono a far fronte al costo della mensa”, dice Roberto Sensi, responsabile del progetto diseguaglianze globali di ActionAid. Il tema della sostenibilità e dell’equità dei sistemi alimentari è al centro del progetto avviato dalla onlus lo scorso giugno nel territorio corsichese, con il sostegno di Fondazione Cariplo: “Povertà alimentare e food policy locali”. Sviluppando un sistema di welfare comunitario ed economia solidale a sostegno delle famiglie più povere, nei prossimi mesi il progetto garantirà a 30 nuclei l’accesso a un cibo sano ed ecologico. “Sono previsti incontri di educazione alimentare, la coltivazione di un orto collettivo e -conclude Sensi- un lavoro capillare nelle scuole, per contrastare la povertà alimentare attraverso l’educazione al cibo”.

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