Interni / Inchiesta
Mense scolastiche, un servizio essenziale nelle mani di pochi
Oltre il 65% del fatturato del settore fa riferimento a otto colossi privati della ristorazione collettiva. Una concentrazione resa possibile anche dai bandi pubblici che premiano la riduzione dei costi. Perché può essere un problema
Sono più di due milioni gli studenti che ogni giorno pranzano nelle mense scolastiche italiane, secondo Slow Food Italia. Per un totale di 400 milioni di pasti -secondo i dati diffusi dall’Osservatorio della ristorazione collettiva (Oricon) – di cui 272 milioni vengono erogati da aziende private in appalto. Il resto viene preparato in house. “Le migliori sono quelle mense in cui i Comuni mantengono la governance del servizio e il possesso delle cucine”, spiega Claudia Paltrinieri, presidente dell’osservatorio indipendente sulle mense scolastiche Foodinsider, che ogni anno stila un rapporto sui menù scolastici. L’ultimo, pubblicato a dicembre 2022, ha analizzato quelli di 55 Comuni, selezionati a campione da Nord a Sud in base a parametri di qualità e sostenibilità: “Da quando, nell’agosto 2020, sono stati introdotti i Criteri minimi ambientali (Cam) nei nuovi appalti, che mirano a favorire l’utilizzo di prodotti biologici locali, eliminando cibi processati, si è visto un generale miglioramento nei menù -continua Paltrinieri-. Un dato negativo resta invece quello relativo allo spreco: i bambini mangiano meno della metà del cibo proposto, secondo il 47% degli insegnanti che hanno risposto al nostro sondaggio. Un dato che potrebbe migliorare se si applicassero meglio i Cam, che prevedono di calcolare e monitorare questo aspetto, sottoporre questionari e avviare correttivi”.
Tra le esperienze virtuose citate nel report di Foodinsider, c’è la gestione in house di Qualità e servizi, azienda interamente pubblica che serve i Comuni toscani di Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio, Calenzano e Signa. I menù prevedono prodotti locali e freschi, 14 varietà di legumi del luogo e ricette della tradizione toscana. Senza contare gli orti scolastici e la collaborazione con la condotta Slow Food di Scandicci. All’ultimo posto figurano invece Reggio Calabria e Alessandria: qui i comitati dei genitori hanno a lungo protestato contro la scarsa qualità del cibo, che proveniva dal centro cottura di Vivenda ad Asti, a 40 chilometri di distanza.
Dal 2022 le imprese della ristorazione scolastica sono in difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime, tanto che il 9 marzo 2023, Confindustria Anir, l’associazione nazionale delle imprese della ristorazione, ha scritto al Governo Meloni chiedendo che “diventi effettivo l’adeguamento agli indici Istat dei prezzi dei contratti” e ha lanciato una manifestazione nazionale che si è svolta il 23 marzo a Roma. Se la crisi è evidente, un dato poco noto è la concentrazione del settore nelle mani di pochi attori.
Da un provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, (Agcm, numero 28330/2020) sulla fusione Pellegrini-IFM, si evince che cinque aziende -Elior Ristorazione, Camst, Cirfood, Sodexo Italia, Pellegrini-IFM- coprono una quota di mercato relativa alla ristorazione collettiva (scolastica, aziendale, ospedaliera) che va dal 45 al 70%, sebbene il dato preciso venga omesso. Sul settore specifico delle mense scolastiche non ci sono dati e l’Agcm, da noi interpellata, afferma di non aver mai avviato indagini e procedimenti.
Quaranta chilometri separano il centro cottura gestito da Vivenda, ad Asti, dalle mense che rifornisce ad Alessandria. Il Comune piemontese si è piazzato all’ultimo posto -assieme a Reggio Calabria- nella classifica stilata da Foodinsider
Incrociando i dati dei bilanci degli anni 2021 e 2022 con le informazione ottenute direttamente dalle aziende da Altreconomia, è possibile stimare che le otto aziende più grandi attive nella ristorazione collettiva ricavino circa 800 milioni di euro dalla fornitura dei pasti alle scuole. Se teniamo presente che questo settore vale circa 1,2 miliardi di euro e le aziende attive nella ristorazione collettiva sono 1.200 (fonte Oricon) si può concludere che l’1% fatturi il 66% del valore del segmento scolastico. Ma di chi si tratta? La classifica delle principali società di ristorazione per fatturato, in Italia, è stilata ogni anno da Competitive Data. Considerando solo quelle che si occupano di mense scolastiche, ai primi otto posti nel 2022 troviamo in testa Dussmann Service, filiale italiana dell’omonima multinazionale tedesca, con sede a San Gervasio (BG) e un fatturato pari a 665 milioni, di cui 240 milioni per la ristorazione collettiva in Italia, mentre non è noto il dato per le mense scolastiche. Si può ipotizzare però che sia pari a circa un terzo di quello relativo a quella collettiva.
Al secondo posto c’è il Gruppo Pellegrini, azienda con sede a Milano e un fatturato di 720 milioni di euro, di cui 229 per la ristorazione collettiva in Italia. Subito dopo, troviamo Camst, società cooperativa con sede a Villanova di Castenaso (BO) con 680 milioni di ricavi di gruppo. Il fatturato relativo alle mense scolastiche è di 178 milioni. Altra cooperativa emiliana, con sede a Reggio Emilia, è la Cirfood, con un fatturato di gruppo di 475 milioni, di cui 157 milioni per la ristorazione scolastica. Elior Ristorazione, controllata dall’omonima multinazionale francese, ha un fatturato in Italia di 459 milioni, in crescita grazie alla fusione con Gemeaz nel 2022. La fetta che riguarda le mense scolastiche è di 109 milioni di euro.
“Le migliori sono quelle mense in cui i Comuni mantengono la governance del servizio e il possesso delle cucine” – Claudia Paltrinieri
Altro colosso francese presente in 80 Paesi del mondo, è Sodexo, con 417 milioni di euro ricavati in Italia e un fatturato relativo alle mense scolastiche di 149 milioni. La vicentina Serenissima Ristorazione ha un fatturato è di 405 milioni, di cui 51 milioni derivanti dalle mense scolastiche. Infine Vivenda, con sede a Roma, che nel 2022 ha acquisito la Cascina Global Service estendendo così il suo mercato. Il fatturato di gruppo è di 192 milioni di euro, relativo prevalentemente alla ristorazione collettiva. Secondo la pagina “Borsa delle mense”, pubblicata sul numero di dicembre 2022 della rivista Ristorando, su 139 nuovi contratti monitorati durante lo scorso anno nella ristorazione scolastica ben 81 sono finiti in mano a queste otto grandi aziende.
Questa dinamica di concentrazione è in parte conseguenza delle gare pubbliche. “Il requisito per il capitolato d’appalto aretino 2020-2022 era l’aver gestito nell’ultimo anno e mezzo almeno la mensa di un Comune con più di 80mila abitanti, ma intorno ad Arezzo ci sono tante piccole municipalità e le aziende locali che le riforniscono non riescono neppure a partecipare”, ricorda Carla Francalenci, mamma del comitato locale “Giù le mani dalle mense” di Arezzo. “Così anche questa volta ha vinto Elior, multinazionale francese, che da 30 anni ha in mano le mense di tutta la città -riprende-. Delle 46 scuole con cucina interna ne sono rimaste solo 16. Nel 2019 volevano eliminare anche quelle rimaste, creando un centro di cottura unico, ma siamo riusciti a bloccare il provvedimento. Almeno per ora”.
L’80% delle nuove scuole costruite tra il 2015 e il 2019 non è dotato di una mensa. Gli istituto sono quindi costretti a fare ricorso ai centri di cottura, che permettono di ridurre i costi di gestione e del personale
A ottobre 2022 in Emilia-Romagna è stata bandita la gara “Ristorazione scolastica 2”, dalle dimensioni regionali, attraverso la centrale di acquisto Intercenter: è suddivisa in sei lotti, ognuno di estensione provinciale, per un totale di 340 Comuni e un valore stimato di oltre 300 milioni di euro. Tutte le municipalità dell’Emilia-Romagna che hanno i bandi in scadenza nel 2023, sono quindi state inserite in questo unico provvedimento regionale.
“Il problema è che, nel momento in cui un’amministrazione locale volesse utilizzare i servizi in house senza procedere a gare, dovrebbe dimostrarne la convenienza -spiega Claudia Paltrinieri-. I genitori dei Comuni a cui si rivolge il bando sono preoccupati perché vedono in questa gara il rischio di un appiattimento della qualità e un mancato coinvolgimento. Secondo le linee guida ministeriali le associazioni di consumatori dovrebbero invece concorrere alla strutturazione e alla condivisione del capitolato di appalto”. Inoltre ogni azienda “può presentare un’offerta per tutti i lotti ma può risultare aggiudicataria di non più di tre (quelli di importo più elevato)”, si legge nel disciplinare di gara. In pratica due grandi società potrebbero dividersi le mense di tutta l’Emilia-Romagna.
Alle aziende sono ovviamente richiesti requisiti economici per valutare la loro solidità. Nel momento in cui scriviamo, la gara è ancora in corso e sono stati ammessi al prosieguo i grandi nomi: Dussmann Service, Serenissima Ristorazione, Vivenda, Cirfood, Camst. Le aziende di medie dimensioni come Gemos e Felsinae sono riuscite a partecipare formando un raggruppamento temporaneo d’impresa (Rti) rispettivamente con Camst e Vivenda, in una posizione però di debolezza. È la seconda edizione di una gara di queste dimensioni, ma questa volta c’è una novità: si apre anche alla possibilità di pasti veicolati, preparati presso i centri di cottura dell’azienda e trasportati nei luoghi di consumo, con la possibilità di pasti “a legame refrigerato”, cioè cibo cucinato, abbattuto di temperatura, trasportato nelle scuole e, dopo varie ore, riscaldato e servito.
“I cibi con legame refrigerato (cook-chill) o peggio surgelati, una volta cotti, raffreddati, trasportati e riscaldati perdono micronutrienti e antiossidanti” – Laura Di Renzo
“I cibi con legame refrigerato (cook-chill) o peggio surgelati, una volta cotti, raffreddati, trasportati e riscaldati perdono micronutrienti e antiossidanti. Quel che resta è un pasto poco nutriente”, spiega Laura Di Renzo, direttrice della scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione, Università Tor Vergata di Roma. Lei e Antonio De Lorenzo, direttore del Dipartimento di Biomedicina e prevenzione dell’Università Tor Vergata, hanno elaborato il processo Nutrient and hazard analysis of critical control point (Naccp). “Un processo che garantisce, oltre alla sicurezza degli alimenti, anche il mantenimento delle qualità nutrizionali dalla produzione al consumo”, continua Di Renzo. Eppure dalle linee guida per la ristorazione collettiva emanate dal ministero Salute a ottobre 2021, è stato eliminato qualsiasi riferimento al Naccp, inserito in una prima stesura. “Una cosa gravissima”, commenta Di Renzo.
A questo si aggiunge uno scarso investimento pubblico nelle cucine scolastiche: il ministero dell’Istruzione rileva come l’80,4% delle nuove scuole costruite tra il 2015 il 2019 non sia dotato di una mensa. E così le aziende puntano sui centri di cottura, che permettono di ridurre i costi di gestione e di personale. La Camst ne possiede almeno quaranta in tutta Italia, Serenissima sta ampliando quello di Boara Pisani (PD), uno dei più grandi d’Europa. Un nuovo centro di cottura in costruzione anche per il Gruppo Pellegrini, a Peschiera Borromeo (MI), con una potenzialità stimata di 12mila pasti al giorno, “tra quelli veicolati, pronti e semi-lavorati in sottovuoto o in atmosfera protetta”, come si legge nella relazione annuale pubblicata dall’azienda nel 2022. In un Paese come l’Italia dove, secondo i dati dell’ultimo rapporto Okkio alla salute dell’Istituto superiore della sanità, il 29,8% dei bambini è sovrappeso o obeso, le mense scolastiche dovrebbero rappresentare un presidio di salute e democrazia da tutelare, anche dall’aggressività del mercato.
A metà marzo 2023, quando questo numero di Altreconomia va in stampa, i carabinieri del Comando per la tutela della salute, d’intesa con il ministero della Salute, nell’ambito di una campagna di controlli a livello nazionale, hanno svolto “verifiche ispettive” su 1.058 aziende di ristorazione collettiva operanti all’interno di mense scolastiche di ogni ordine e grado, dagli asili nido fino agli istituti superiori, sia pubbliche sia private. Tra le ditte controllate avrebbero evidenziato irregolarità in 341 (il 31%) con 482 violazioni penali e amministrative e conseguenti sanzioni pecuniarie per 240mila euro. Sono stati deferiti all’autorità giudiziaria 22 gestori ritenuti responsabili dei reati di frode e inadempienze in pubbliche forniture, come ad esempio la detenzione di alimenti in cattivo stato, la somministrazione di uova convenzionali anziché biologiche e prodotti congelati al posto di quelli freschi. Da Brescia a Treviso, da Sassari a Cremona, da Napoli a Potenza.
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