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Memoria e verità – Ae 74
La polizia messicana attacca con un pretesto la città di Atenco. Un morto, diversi feriti, 200 persone in carcere. Una commissione indipendente indaga: ecco il racconto di chi c’era “La polizia ha occupato Atenco. C’è almeno un morto”. È la…
La polizia messicana attacca con un pretesto la città di Atenco. Un morto, diversi feriti, 200 persone in carcere. Una commissione indipendente indaga: ecco il racconto di chi c’era
“La polizia ha occupato Atenco. C’è almeno un morto”. È la sera del 4 maggio e le prime notizie frammentarie corrono nella rete diffuse dai media indipendenti.
Atenco è San Salvador Atenco, 45 mila abitanti a 60 chilometri da Città del Messico. Gli attacchi della polizia sono due, uno il pomeriggio del 3 e l’altro all’alba del 4 maggio, almeno tremila gli uomini armati. Solo la risposta repressiva a una piccola manifestazione che il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra -che ha sede ad Atenco ed è il vero obiettivo- ha messo in piazza nel vicino paese di Texcoco. Risultato: un ragazzo di 14 anni morto e diversi feriti gravi. Duecento persone sono in carcere e tra i fermati ci sono anche cinque stranieri. Probabilmente verranno espulsi. Responsabile dell’operativo è la Pfp, si dice Policia Federal Preventiva ma sono soldati. Sabato 6 maggio un aereo riporta a Barcellona le catalane Cristina Valls e Maria Sostres: espulse. All’aeroporto trovano quelli del Collettivo di solidarietà con la ribellione zapatista di Barcellona: qualche mese prima erano partite per il Chiapas con un loro lasciapassare. Là avevano aderito alla Otra campaña (l’iniziativa politica lanciata dall’Ezln nell’estate scorsa), e partecipavano alla carovana del subcomandante Marcos (ora Delegato zero), che da gennaio stava visitando i 32 Stati della Repubblica. Ad Atenco erano arrivate la sera del 3, dopo le notizie del primo assalto: venivano da Città del Messico (dove era in corso una riunione) per portare la loro solidarietà.
Arrivate a Barcellona Cristina e Maria raccontano: le botte, i manganelli, la polizia che entra casa per casa a prendere la gente. L’orrore dei “camion della tortura”: il viaggio da Atenco al carcere di Santiaguito, sei ore (per un tragitto di un’ora) nel sangue dei feriti, con i poliziotti che violentano e abusano (con le dita, con i manganelli) delle donne, quasi fossero un bottino di guerra. Le torture psicologiche: le minacce di morte, la paura di finire tra i desaparecidos.
Le testimonianze in presa diretta aiutano a capire meglio: una rapida consultazione con alcune organizzazioni messicane e si decide di promuovere con urgenza una visita della Commissione civile internazionale di osservazione per i diritti umani (Cciodh) in Messico. È la quarta: la Commissione, indipendente e imparziale, è nata nel 1998 dopo la strage di Acteal (45 indigeni uccisi in Chiapas il 22 dicembre del 1997). È uno strumento di pressione della società civile: l’unico possibile in certe situazioni. Negli anni ha acquisito un certo prestigio: non è facile negarle un’intervista. Per questo è importante: c’è poca chiarezza intorno ai “fatti di Atenco”, e il rischio che tutto scivoli via in questo periodo elettorale (in Messico il 2 luglio si vota per le presidenziali). Il 15 maggio circola via mail il “manifesto” della Commissione: in due settimane lo firmano oltre mille persone di 29 Paesi.
Ne parlo con Mani Tese, a Lucca, e in tre giorni decido di partire per far parte della commissione internazionale. Il 25 faccio la spola tra il mio ufficio a Mani Tese e il consolato messicano di Milano. La sera del 26 sono, con gli altri, a Città del Messico.
Il Collettivo catalano ha invitato alcuni specialisti: saranno fondamentali. C’è Pau, che è psichiatra; Jaume, Marco e Marta, avvocati; Encarna, esperta in questioni di genere all’Università autonoma di Barcellona; Doris, medico. Siamo in 28, da sette Paesi (Canada, Stati Uniti e Unione Europea): tutti, più o meno, autofinanziati. Di italiani siamo in cinque.
Lavoriamo dal 29 maggio al 4 giugno nei locali dell’Uacm (l’Università autonoma di Città del Messico). Ci hanno prestato tutto il secondo piano dove allestiamo la segreteria, una sala grande per le plenarie (due al giorno: la prima alle 7.30 del mattino, la seconda mai prima delle 21) e cinque stanze per le interviste. Ogni giorno ci si divide in gruppi: un’équipe si ferma in ufficio (per le interviste e per organizzare l’agenda), altre si spostano (a San Salvador Atenco, al carcere, dove sono ancora in una trentina, in ospedale, a realizzare le interviste “istituzionali”). Decidiamo di vivere tutti insieme, all’hotel Isabel: in camera mia siamo in cinque e la sveglia è alle 6.15. Jordi, gelataio di Girona con un master in gestione dei conflitti, è tanto simpatico quanto inflessibile. In hotel non torniamo mai prima delle 23 e dopo, ancora, prima di dormire parliamo a lungo nella hall, bevendo una birra: condividere ci aiuta a scaricare la tensione del racconto che vediamo svolgersi sotto i nostri occhi.
In cinque giorni ascoltiamo oltre 170 testimonianze: i detenuti reclusi nel carcere di Santiaguito, molti tra quelli usciti dal carcere, cittadini di San Salvador Atenco, sindacalisti, attivisti di differenti organizzazioni sociali e per i diritti umani, il Delegato Zero, rappresenti della Comisión Nacional por los Derechos Humanos, la Procura della Repubblica, il direttore del carcere di Santiaguito e quello dell’ospedale dove la polizia ha accompagnato i feriti più gravi, il sindaco di Texcoco. Ci aiutano a ricostruire le cause dell’assalto: un “messaggio elettorale” alle organizzazioni sociali del Paese e insieme una vendetta da parte dell’esecutivo. Colpirne uno per colpirne cento: il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (Fpdt) di Atenco cinque anni fa riuscì a fermare la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico, dopo che il governo aveva già firmato i decreti per l’espropriazione dei terreni (avrebbe pagato i contadini 7 pesos per ettaro, 50 centesimi di euro!). Al presidente Vicente Fox (ex numero uno di Coca Cola in Messico) la cosa non è andata giù: milioni di dollari in appalti in fumo per le proteste dei contadini. L’Fpdt è uno dei movimenti più importanti del Paese: il governo si è assicurato che il messaggio arrivasse forte e chiaro. Domenica 4 giugno chiudiamo il nostro lavoro con una conferenza stampa, presentando conclusioni e raccomandazioni. Mostriamo il video girato in carcere: sono le prime immagini dei detenuti rinchiusi da quasi un mese. Distribuiamo copie tra i famigliari. È pronta una relazione scritta (http://cciodh.pangea.org). Per molti Atenco era un caso chiuso, in qualche modo lo abbiamo riaperto. In attesa di giustizia.
Credibilità sotto zero
La credibilità del sistema politico messicano è sotto zero. Nel 2003 (elezioni intermedie per rinnovare la metà del Congresso) l’astensionismo ha toccato il 59 per cento. Recentemente, il presidente Fox ha affermato che “la scelta migliore per un messicano è di emigrare negli Usa”: rende l’idea. Le forze del fascismo diventano poco a poco padrone di tutto, e si preparano per continuare a governare.
L’appello di Marcos
“Il vostro impegno inizia dopo il 4 giugno”, una volta tornati a casa.
È chiaro e ci riempie il messaggio del Subcomandante Marcos che, rispondendo a un invito rivolto dalla Cciodh si presenta nell’ufficio della Commissione per testimoniare sui “fatti di Atenco”. “Non lasciate che tutto questo cada nell’oblio”, ci dice.
È per questo che siamo partiti: per amplificare la voce dei contadini di Atenco e degli attivisti della Otra campaña, per documentarci e denunciare le responsabilità del governo messicano al Parlamento europeo, nei Parlamenti nazionali (in Italia, il 21 giugno una copia della relazione della Cciodh è stata consegnata all’onorevole Ranieri, presidente della Commissione esteri della Camera; lo stesso giorno, l’informe è stato presentato nella sala stampa della Camera) e all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani (venerdì 23 giugno). Per chiedere giustizia e la scarcerazione immediata di tutti i prigionieri politici di Ateneo; tra loro c’è anche un paraplegico, incredibilmente accusato del sequestro di otto poliziotti: Arnulfo Pacheco. Lo abbiamo visto, ascoltato e filmato: la sua voce, le sue piaghe, le sue cinque costole rotte sono un messaggio eloquente. È per questo che siamo partiti.
Importante esserci
A “convocare” la prima Cciodh in Messico è stata la strage di Acteal, il 22 dicembre del 1997. Nel febbraio 1998, 210 persone di 11 Paesi visitano la regione degli Altos de Chiapas per raccogliere informazioni sulla mattanza, e sul complesso scenario messicano, a 4 anni dall’inizio del conflitto armato. Vengono istituiti gli “Accampamenti civili di pace”: da 8 anni una presenza internazionale costante nelle comunità indigene del Chiapas.
La Commissione ritorna in Chiapas nel novembre del 1999, documentando l’aumento della militarizzazione e dell’attività di gruppi paramilitari. La terza visita è del febbraio-marzo 2002, dopo un anno di governo Fox. Alla quarta visita della Cciodh hanno partecipato 28 persone da 7 Paesi (Europa, Canada e Stati Uniti d’America). Cinque gli italiani, in rappresentanza di Collettivo Italia Centro America (www.puchica.org), Giovani comunisti, Mani Tese e Ya Basta/Global project.