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“Made in Italy per reprimere in Egitto”. Così l’Italia continua vendere armi al regime

© EgyptWide

Nel 2022 il nostro Paese ha autorizzato l’esportazione di armi a Il Cairo per 72 milioni di euro. Con 11 licenze sulle 16 concesse Leonardo ha il peso maggiore ma nell’elenco figurano anche Beretta e Rheinmetall Italia. I ricercatori di EgyptWide lanciano l’allarme sull’uso delle armi “leggere” per la repressione del dissenso

Nonostante le frequenti denunce sulla violazione dei diritti umani in Egitto, l’Italia continua a vendere armi al regime di Abdel Fattah al-Sisi. Nel 2022, ultimo anno per cui sono disponibili dati aggiornati, il valore delle armi autorizzate per l’esportazione verso Il Cairo hanno raggiunto un valore pari a 72,7 milioni di euro. Una cifra che si va a sommare ai circa 262 milioni di euro di strumentazioni belliche che sono state consegnate al Paese Nordafricano dopo essere state vendute negli anni precedenti.

È quanto emerge dal report “Made in Italy per reprimere in Egitto” curato dai ricercatori di EgyptWide, iniziativa italo-egiziana per i diritti umani e le libertà civili, basato sui dati contenuti nell’ultima Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, pubblicata con grande ritardo solo a metà luglio 2023 dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

Nel corso del 2022 sono state rilasciate 16 licenze per l’esportazione di armi verso l’Egitto: nonostante il valore totale aggregato risulti visibilmente diminuito rispetto ai picchi del 2019 e del 2020 (anni in cui sono stati toccati rispettivamente gli 871 e i 991 milioni di euro) il dato per il 2022 mostra un raddoppio rispetto all’anno precedente. Occorre però precisare che i picchi toccati nel 2019 e nel 2020 sono stati trainati principalmente da due importanti commesse per la fornitura di 32 elicotteri prodotti da Leonardo Spa e di due fregate Fremm costruite da Fincantieri.

Nel 2022 l’Egitto sale al sedicesimo posto tra gli importatori di armi ed equipaggiamento bellico di produzione italiana (guadagnando due posizioni rispetto all’anno precedente). Tra i produttori che hanno ottenuto nuove le licenze per l’export figurano Leonardo (primo esportatore in Egitto con 11 licenze), Fabbrica d’armi Beretta e Rheinmetall Italia.

Il report curato da EgyptWide evidenzia poi il caso di Simmel Difesa (azienda specializzata nella produzione di munizioni di grosso calibro) che ha ottenuto il via libera all’export verso Il Cairo dell’esplosivo denominato “Composto B”. “È un componente primario di proiettili di artiglieria, razzi, bombe a mano, mine terrestri e altre munizioni -si legge nel rapporto-. Nonostante l’Italia abbia aderito alla Convenzione di Ottawa, nel 2022 ha comunque esportato in Egitto una quantità non chiara di Tnt, che è l’esplosivo più comunemente usato nelle mine anticarro e antiuomo”.

I ricercatori non sono in grado di affermare con certezza la quantità di esplosivo autorizzata ma si tratta comunque di un elemento preoccupante “alla luce del fatto che la fame di esplosivi utilizzati in operazioni militari offensive da parte dell’Egitto appare ingiustificata, dato che il Paese non è attualmente in guerra, ma solleva anche notevoli preoccupazioni per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro lungo le catene di approvvigionamento”.

Questi dati si inseriscono poi all’interno di uno scenario particolarmente allarmante, ovvero l’utilizzo di armi piccole e leggere (Small arms and light weapons, Salw) da parte delle forze di sicurezza egiziane in operazioni che hanno portato alla violazione dei diritti umani nel Paese e che EgyptWide ha documentato in un precedente report pubblicato a maggio 2023. Nel rapporto si evidenzia come tra il 2013 e il 2021 (ultimo anno per cui erano disponibili dati aggiornati) il nostro Paese abbia venduto a Il Cairo armi leggere per un valore compreso tra i 18,9 e i 19,2 milioni di euro. L’elenco comprende oltre 30mila revolver e pistole, più di 3.600 fucili e oltre 470 fucili d’assalto a cui si aggiunge un numero non precisato di carabine, mitragliatrici, munizioni, parti di ricambio e attrezzature per la direzione del tiro, tecnologie militari e software.

“I modelli italiani di armi piccole e leggere Beretta 70/90, Benelli SuperNova Tactical e Beretta 92FS sono stati utilizzati da militari e forze di sicurezza egiziane per intimidire e disperdere civili nell’ambito di operazioni di sicurezza urbana; fucili Beretta 70/90 sono stati impiegati dalle forze speciali ad Al-Nahda e Rabaa Al-Adawiya, durante il massacro del 2013 in cui hanno perso la vita quasi mille civili”, si legge nel rapporto.

La vendita di queste armi è avvenuta nonostante le conclusioni del Consiglio d’Europa dell’agosto 2013 con le quali i Paesi dell’Unione avevano concordato una sospensione delle forniture militari verso l’Egitto alla luce delle gravi violazioni dei diritti umani. A seguito della destituzione del governo di Mohamed Morsi, infatti, la presa del potere da parte di al-Sisi quell’anno ha segnato l’inizio di una stagione di terrore e di progressivo deterioramento dei diritti nel Paese. Basti ricordare il massacro di Rabaa dell’agosto 2013 in cui hanno perso la vita quasi settecento manifestanti, il rapimento e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni, il conflitto a bassa intensità che dal 2014 interessa la penisola del Sinai e che ha gravi ripercussioni sulla popolazione civile. Per non parlare delle molte leggi che reprimono il dissenso da parte dei media e delle Ong indipendenti, fino a quella antiterrorismo che autorizza indirettamente esecuzioni extragiudiziali e garantisce ampia impunità agli agenti delle varie forze di polizia e dell’esercito.

Eppure, nonostante la gravità di questa situazione l’export di piccole armi “made in Italy” non si è mai fermato. Dal 2013 al 2014 il valore totale delle esportazioni dall’Italia all’Egitto è quasi raddoppiato, passando da 17,2 a 31,7 milioni di euro; nel 2015 aveva raggiunto i 37,6 milioni di euro. A seguito dell’omicidio Regeni, avvenuto nel 2016, si registra una contrazione, ma già nel 2018 il valore autorizzato all’export per le piccole armi aveva toccato quota 69 milioni di euro.

Ma in quali mani sono finite queste pistole e questi fucili? EgypWide “ha riscontrato le prove di un consistente abuso” a partire dal 2013, “tra cui anche le prove dell’uso di armi italiane in violazione dei diritti umani commesse da attori statali”. Sono diversi i casi ricostruiti dai ricercatori indipendenti, a partire dall’uccisione di un gruppo di sospetti disarmati nel Nord del Sinai a febbraio 2018: la fonte è un video pubblicato su YouTube dall’esercito egiziano in cui si mostra l’uccisione di un gruppo di presunti terroristi. “Nel video si vede un piccolo distaccamento dell’esercito egiziano che apre il fuoco con fucili Beretta”, scrivono i ricercatori.

Armi italiane sarebbero state usate anche nella repressione di proteste di piazza, a partire da quelle di al-Nahda e Rabaa avvenute a Il Cairo il 14 agosto 2013: “Un video pubblicato dal quotidiano online el-Badil mostra le forze di polizia egiziane equipaggiate con fucili Beretta 70/90 mentre aggrediscono un manifestante disarmato”. Ulteriori prove fotografiche -immagini scattate dall’agenzia Getty Immages- mostrano poliziotti armati di fucili Benelli M3T.

“Il gravissimo stato dei diritti umani in Egitto implica che il Paese dovrebbe essere annoverato tra quelli in cui esiste un rischio significativo che gli armamenti di importazione vengano utilizzati per commettere gravi violazioni dei diritti umani -concludono gli autori del report-. L’analisi del materiale audiovisivo presentata in questo rapporto mostra armi piccole e leggere fabbricate in Italia e impiegate nella repressione interna, in atti che includono l’uso eccessivo della forza contro manifestanti, nonché l’impiego su larga scala in processi più ampi di securitizzazione e militarizzazione dello spazio pubblico, che finiscono per limitare le libertà di movimento e di riunione pacifica”.

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