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Macerata: ma che “razza” di gente siamo diventati?
“I fili sottili dell’egoismo fascista ci hanno abituati alle peggiori contraddizioni e un’overdose di ignoranza ci nasconde i crimini di cui siamo complici ogni giorno, accettando di obbedire a questo stato di cose che si cela dietro la maschera più orribile: la normalità”. Il commento di Paolo Pileri
Difficile scrivere dopo i fatti di Macerata. Difficile parlare di suolo, ecologia, ambiente quando una persona arriva a sparare con orgoglio a sei uomini “colpevoli” soltanto di aver la pelle nera. Difficile digerire l’immagine della nostra bandiera in cui l’aggressore si avvolge quando la pistola è ancora calda. Follia. Ma la mia paura più profonda è che, in fondo, quel gesto non venga considerato follia. Ma solo una esagerazione compiuta da chi “legittimamente” non ne può più. Il fantasma dell’egoismo fascista ormai aleggia tra noi, ci accompagna per negozi, ci aiuta a trovare un posteggio in centro. E l’ignoranza è la sua fedele compagna. Con lei tutto ci appare normale. L’egoismo diventa un diritto. La maschera delle contraddizioni, il nostro volto.
Mandiamo i nostri ragazzi all’estero perché qui “fa schifo” e pretendiamo che l’estero li accolga, li tratti bene e magari se li tenga pure. Strizziamo l’occhio ai pensionati d’oro che fingono di trasferire la loro residenza all’estero per eludere le tasse e vogliamo che quell’estero lo permetta (assieme alla complicità miope della fiscalità). Pretendiamo che le nostre imprese possano andare nei Paesi più poveri e disastrati senza esportare i diritti del lavoro, il rispetto per l’ambiente, la dignità della persona. Se le nostre città sono in crisi, se le Borse finanziarie vanno gambe all’aria, se le nostre imprese stanno fallendo assieme alle squadre di calcio e alla compagnia aerea di bandiera, siamo pronti a fare sorrisi a trentadue denti se l’estero si compra noi e i nostri debiti: ma quello è attirare gli investimenti, sorry.
Se produciamo armi poi rivendute in Yemen o in Etiopia, quell’estero è un affare. Se andiamo all’estero con qualche nave carica di rifiuti e la posteggiamo in un porto, che male c’è? Tanto paghiamo. Se una nostra grande impresa trasferisce la sede fiscale all’estero, quella è un’opportunità. Se usiamo (anche) i soldi dell’Unione europea per realizzare un tubo sotto l’Adriatico per succhiare un po’ di gas dall’estero, quell’estero è strategico. Se una grande società estera tiene centinaia di persone in un capannone smart a fare 60 pacchetti all’ora a ritmi di lavoro insostenibili quell’estero, che pure paga le tasse all’estero, lo rispettiamo perché con lui lo shopping è cool.
Se invece l’estero è fatto da sei “uomini neri” a Macerata, quell’estero non va bene e gli spariamo. Se l’estero è un bimbo nato in Italia da genitori stranieri regolarmente residenti, gli neghiamo i diritti di cittadinanza. Se l’estero sono delle donne costrette a botte a prostituirsi per noi, quell’estero ci va bene. Ma che “razza” di gente siamo diventati? I fili sottili dell’egoismo fascista ci hanno abituati alle peggiori contraddizioni e un’overdose di ignoranza ci nasconde i crimini di cui siamo complici ogni giorno, accettando di obbedire a questo stato di cose che si cela dietro la maschera più orribile: la normalità. Pochi dissentono. Molti si adeguano. Come reagire? Chiedendo più scuola per tutti. Più libri per tutti. Più storia per tutti. Più arte per tutti. Più equità. Votando per chi riconosce gli egoismi come un problema, per chi combatte anche il più lieve alito fascista e per chi è capace di lasciare in eredità “istituzioni che custodiscano il desiderio di cambiare il mondo” come scrive Hannah Arendt. In meglio e non solo per alcuni.
Paolo Pileri è professore ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il suolo sopra tutto” (Altreconomia, 2017)
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