L’orto bio di Ida
Nell’orto di Ida si raccolgono i prodotti di un vero progetto di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Noi no lo avevamo capito quando demmo la nostra adesione a ricevere una volta la settimana, direttamente a casa nostra a Piombino, la cassettina da 15 euro contenente i prodotti di giornata dell’orto di Ida. Convinti come siamo che “prevenire è meglio di curare” e che quindi una sana alimentazione fatta di prodotti naturali (in questo caso biologici certificati) e il più possibile freschi, costituisca un presupposto indispensabile per la tutela della nostra salute, per noi fu in quel momento una scelta istintiva, fatta per il bene della nostra famiglia.
di Carlo e Alice Carlucci
Tutto il resto sarebbe stato frutto di una progressiva scoperta. A partire dagli appuntamenti di consegna. E’ il venerdì il giorno deputato alle consegne dei prodotti di Ida a Piombino ed ecco arrivare verso sera un furgone giallo che scopriremo poi guidato da Franco, marito di Ida, accompagnato a turno da uno dei tre figli più grandi: Rosa, Carla ed Angelo (rispettivamente di 20, 18 e 15 anni). Un stanchi del tran-tran settimanale e un po’ immusoniti dalle circostanze della nostra vita in scatola (abitiamo un appartamento in un caseggiato che complessivamente conta un centinaio di famiglie) scendiamo la rampa di scale per ricevere il nostro acquisto. E restiamo sempre colpiti dal sorriso e dagli occhi radiosi e felici di questi giovani che abitano e lavorano (oltre agli studi) la campagna dei nostri paraggi (dietro il Parco di Rimigliano, nel comune di San Vincenzo). Ci rendiamo conto, consegna dopo consegna, che quello che ci viene offerto è qualcosa di più di una cassetta di ortaggi e frutta bio..
La storia comincia quando i genitori di Ida, andati in pensione nel ‘73 ( bancario lui, impiegata delle Poste lei) con decisione improvvisa scelgono di trasferirsi nell’alta Maremma (S.Vincenzo, LI) e acquistano un’azienda agricola. Così Ida, genitori e fratelli si convertono di punto in bianco in agricoltori (convenzionali). Una decina di anni dopo, un commilitone del fratello in servizio militare viene in vacanza, scocca la fatidica scintilla e Ida si sposa nell’84 seguendo il suo Franco e riabbandona le sue terre per trasferirsi in Piemonte dove il marito, perito meccanico, conduceva l’azienda di famiglia. Passano gli anni, probabilmente duri ma fecondi per Ida in quel hinterland torinese spesso plumbeo, intossicante, lontano dalla dorata luce della marina a cui si era abituata. Nascono quattro figli e Ida nel frattempo matura la sua vocazione ai cibi sani, ai rimedi naturali. Allora non si parlava tanto di biologico ma le cure e le attenzioni di Ida per l’alimentazione e la qualità della vita dei sui cari aumentavano. In quel contesto si maturavano le condizioni per il ritorno alla terra di marina che si sarebbe concretizzato nel 1996. Quanto al problema dei cibi sani Ida, riandava spesso ai ricordi di infanzia, quando seguiva il padre nei lavori nell’orto di casa. Ma perché si chiedeva Ida non si sarebbe potuto, costi quel che costi, provare a coltivare in quella forma semplice e naturale anche in una fattoria? Per Franco la decisione sarebbe stata in certo modo anche più sofferta perché la responsabilità dell’azienda metalmeccanica restava nelle mani di due sorelle, ma ormai il dado era tratto. In quel 1996 Ida prende possesso della porzione di terra e della casa scorporate dall’azienda paterna e assieme a Franco si mette a cercare un tecnico ( presso l’associazione di categoria più vicina) che li possa seguire. Questi naturalmente ha poche o punte cognizioni sui regimi e le pratiche delle coltivazioni biologiche ma la coppia di coltivatori neofiti è determinata a seguire la strada intrapresa, costi quel che costi. Tre ettari sono già destinati a olivi, vigneto e a un po’ di alberi da frutta. I restanti quattro ettari a seminativo con disponibilità di acqua di pozzo vengono destinati a ortaggi in quanto colture di basso investimento e di immediato ritorno ( sulla carta…) .
Il progetto per le coltivazioni biologiche inizia da subito ma allora venivano richiesti fino a 4 anni di riconversione prima di poter commercializzare i prodotti come biologici. Ida e Franco cadono nella spietata rete delle logiche di mercato. I grossisti approfittano della loro inesperienza come quella di utilizzare due ettari interi per i baccelli che verranno acquistati a prezzi che nemmeno coprono i costi. In molte occasioni essi sono costretti a lasciare i prodotti sul campo e rilavorali col terreno a mò di concime. Le riserve auree portate dal Piemonte cominciano a scarseggiare. Per fortuna nella grande casa poderale si sono potute approntare delle stanze per l’agriturismo e alla meno peggio si può tirare avanti. Ottenuta la certificazione bio scatta la legge 23 del 2000, la quale, vista la crisi del settore agricolo apre agli incentivi per le aziende che si vogliono convertire al biologico; proliferano gli enti di certificazione disposti a chiudere un occhio, vengono dimezzati i tempi di conversione dei terreni, piovono i contributi. A Ida e Franco ovviamente essendo già certificati non tocca nulla, mentre vengono a trovarsi d’improvviso innumerevoli concorrenti freschi di forze e ricchi di disponibilità finanziarie generosamente elargite dall’alto.
Nei negozi disposti ad accettare l’angolino del biologico gli ortaggi ‘tirano’ poco, sono facilmente deperibili. Idem per i mercatini. Franco prova a prendere un banco in affitto al mercato del mercoledì a Piombino, una città tendenzialmente votata al prezzo basso e assai poco sensibile alle tematiche ambientali ( e quindi al bio). Per concorrere bisogna esporre dovizia di mercanzia di cui solo una minima parte si vende. Inoltre Franco non ha la disponibilità di tempo per seguire i mercati e nelle giornate calde i prodotti orticoli non trattati sono ovviamente più deperibili. Il punto di acquisto e di redistribuzione dei prodotti biologici del mercato di Novoli che formalmente dovrebbe rifornirsi da produttori toscani spesso e volentieri molti prodotti orticoli li fa arrivare dalla Sicilia e così i prodotti della Maremma, che giungono a maturazione più tadiva, vengono deprezzati. Il tutto alla faccia delle regole dello sviluppo sostenibile che prevedono distribuzione e consumazione dei prodotti biologici possibilmente e preferibilmente in loco o a corto raggio. Ma le imperanti leggi di mercato esigono ( non essendovi ancora una cultura e un’educazione adeguate) la presenza delle primizie bio accanto alle altre.
Gli ettari destinati alle colture orticole così diventano due e i restanti due convertiti in vigneti. La produzione orticola è dunque dimezzata, ma si deve riuscire comunque a piazzarla. Alcuni clienti del banco a Piombino si fanno vivi per chiedere il perché della loro defezione e scatta un’idea che viene analizzata nei dettagli: creare un tam tam e iniziare la consegna porta a porta. Faticosamente il progetto decolla.
I clienti sanno che possono ordinare consegne da 5 o 10 o 15 euro ricevendo gli ortaggi disponibili via via secondo gli andamenti delle stagioni e della produzione. Si riescono a creare anche alcuni GAS ( gruppi di acquisto solidali) su Pistoia, Firenze, Follonica. Così a poco a poco i nostri amici riescono finalmente a prendere respiro. Nel frattempo il boom delle certificazioni ‘agevolate’ della legge 23 è finito e si ritorna a criteri più rigidi e selettivi, come era stato agli inizi. Recede la saturazione del mercato dell’offerta dei prodotti biologici mentre sale lentamente, ma in forma costante la domanda.
Decisiva per la sostenibilità della piccola azienda è la presenza dei Wwoofers. Provenienti da tutte le parti del mondo, in cambio di vitto e alloggio, prestano la loro opera gratuita nei campi per sei ore al giorno, per cinque giorni. La loro presenza anima e vivacizza la piccola comunità familiare trasformandola in una perenne famiglia allargata. Vengono spesso accolti senza nessun compenso piccoli gruppi di disabili ( con accompagnatori) che si muovono felici fra gli animali da cortile, il vecchi cavallo salvato da una brutta fine, l’asino e il va e vieni dei sempre sorridenti bio-contadini.
Il surplus ovvero l’invenduto, che non è più in quantità industriali e che è sottratto alle rapacità dei grossisti, non finisce più a concimare i campi ma viene devoluto alle mense dei poveri della zona.
L’azienda bio ‘Ida Roncareggi’ si colloca come una sorta di isola nella zona. Le piante di confine olivi o altro sono coltivate a palmetta in modo da fare da filtro ai fitofarmaci nebulizzati tutt’attorno. Il prodotto raccolto su di esse è rigorosamente separato e catalogato e non può ovviamente essere commercializzato come bio. I fratelli di Ida, che lavorano i campi contigui verso il mare non sono stati contagiati dalla passione per il biologico della sorella. Idem gli altri vicini. Ma tutti regalano volentieri il legname delle potature o degli alberi abbattuti perché, nell’ottica dei nostri amici, vanno utilizzate solo le energie rinnovabili e quindi il riscaldamento è unicamente a legna. Naturalmente i vicini rimangono sconcertati dalle pratiche antieconomiche di Ida e Franco come quella di perdere tempo a raccogliere vecchi copertoni e residui non reciclabili per portarli all’isola ecologica in luogo di bruciarli seduta stante sull’aia, come pure per l’utilizzo del più costoso, ma biodegradabile materB in luogo della solita plastica nera. Certo può apparire derisoria agli occhi dei più questa ‘violazione’ dei principi del profitto e dell’utile ( ‘stolta età superba, che l’util cerca e inutile la vita sempre più divenir non vede’… aveva scritto il Leopardi quasi due secoli fa all’incipit dell’Era del Progresso). Franco e Ida con cinque figli devono certamente far quadrare il bilancio, ma quel principio dell’utile, amaramente deriso dal Leopardi, che oggi chiameremmo profitto non sta in cima alla scala dei loro sogni. Ma potremmo anche pensare che quest’isola o questo ghetto, a seconda i punti di vista, dove si pratica in forma di devozione il rispetto per la ‘casa di tutti’ e cioè l’ambiente possa indurre per contagio un lento e progressivo mutamento di rotta. E questa ostinata lotta non è certo facile.
Che dire del regime familiare? Vige una democrazia allargata e partecipativa. Vi è un Presidente della Repubblica che è Franco e una Premier che è Ida: i figli partecipano e condividono ( Rosa la più grande è diplomata cuoca in un istituto per il turismo, Carla sta prendendo la maturità come perito agrario, Angelo frequenta il secondo anno dell’istituto turistico e gli altri due figli più piccoli si alternano equamente fra scuola, gioco e lavoretti di supporto).
Francuccio Gesualdi pochi giorni fa ci ha mandato una bella cartolina di Barbiana con il seguente messaggio: …non ci è chiesto di salvare il mondo, ma di fare tutto il possibile per salvarlo. Ida e Franco sono un esempio concreto, chiaro di questo tentativo. I figli nelle scuole della cittadina balneare e straricca sono discriminati, non vestono capi firmati, vivono con gli animali e dunque ‘puzzano’. Li potete vedere nelle eloquenti foto che accompagnano questa storia, sprizzano forza, energia, gioia per il tipo di vita che i loro genitori hanno saputo costruire attorno a loro. Per la società attorno a cominciare dalle forze politiche locali votate allo ‘sviluppo’ che si traduce sempre in cemento e ancora cemento l’isola di Ida e Franco è un’isola che non c’è. Ma per chi ci crede è una delle pochissime realtà che ci inducono e ci stimolano a tenere accesa la fiammella della speranza.