Interni
L’Italia miope sui rom
L’emergenza decretata nel 2008 avrebbe dovuto lasciare il passo a una “Strategia d’inclusione”, che però arranca. Solo sei Regioni su 20 hanno avviato i tavoli di lavoro
Mancano tre mesi alla scadenza dei termini che l’Italia si è imposta per mettere in campo iniziative d’inclusione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti. In ritardo rispetto a quanto suggerito dalla Commissione europea nel 2011. Obiettivo: superare l’approccio degli anni trascorsi, che ha classificato come un’emergenza quelle che il quarto governo Berlusconi definì per decreto “comunità nomadi”. Dichiarate fonte di “grave allarme sociale” per essersi “stabilmente insediate nelle aree urbane”, in condizioni di “estrema precarietà”, determinando “gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali” -così recitava il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008-, sono ancora oggi in attesa di veder applicate le linee di indirizzo della “Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti” adottata dal Governo italiano nel febbraio 2012. Quando al ministero della Cooperazione internazionale e integrazione sedeva Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e oggi parlamentare di Scelta Civica.
L’emergenza. Facciamo un passo indietro, alla cosiddetta “fase emergenziale”: il 21 maggio 2008, l’allora capo del Governo, Silvio Berlusconi, mette la firma su un decreto intitolato “Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia”. Alle prefetture di Napoli, Roma e Milano vengono riconosciuti “poteri straordinari per il superamento dell’emergenza”. Chi ha richiesto “l’urgente adozione di misure di carattere eccezionale” è l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, il quale, sulla base di non precisati “gravi episodi”, paventa all’esecutivo il “concreto rischio che degeneri ulteriormente”. Trascorre poco più di una settimana, e il 30 maggio 2008 -attraverso un’ordinanza del premier- il Prefetto di Milano (così come a Napoli e a Roma) è nominato Commissario delegato all’emergenza. A lui, il potere in deroga, anche in materia igienico-sanitaria, necessario per il “superamento dell’emergenza”. Il che si traduce in primo luogo nella redazione del “Regolamento delle aree destinate ai nomadi nel territorio del Comune di Milano”. Ogni ospite maggiorenne paga un euro al giorno, dichiarando al gestore del campo gli animali domestici e limitando alle 22 “ogni attività all’aperto”. A supportare l’operato del Commissario (programmazione dei campi, monitoraggio, “censimento delle persone anche minori di età”), vengono stanziati 13,6 milioni di euro. Un anno dopo, il 28 maggio 2009, chi aveva assicurato una rapida risposta decide di prorogare lo “stato di emergenza”, sempre per decreto e allargandolo a Piemonte e Veneto. Il termine fissato è il 31 dicembre 2010.
La commissione parlamentare Marcenaro. Se il Governo non ritenne utile effettuare alcun approfondimento sui destinatari dei decreti e delle ordinanze emergenziali, ci pensò la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato -presieduta da Pietro Marcenaro- ad accendere una luce su quelli che erano stati sbrigativamente definiti “cittadini extracomunitari irregolari e nomadi”. Nell’ottobre 2009 parte l’indagine conoscitiva sulla condizione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti: indicativamente 170mila persone, pari allo 0,2% del totale della popolazione italiana. Il 50% ha la cittadinanza italiana, mentre l’altra metà proviene dalla ex Jugoslavia e dalla Romania. Dei 170mila, tra un quarto e un quinto vivono in campi. Mentre 47 cittadini italiani su 100 -secondo un sondaggio di Eurobarometro dell’Unione europea- si dichiaravano “a disagio” all’ipotesi di vivere accanto a un Rom. Uno stigma che ha attraversato anche il regime fascista, durante il quale da Agnone (Isernia) a Perdasdefogu (Ogliastra) fino alle isole Tremiti furono sede di campi di concentramento dei Rom.
C’è un giudice a Roma. È nei confronti di queste persone che il governo Berlusconi ha adottato provvedimenti d’urgenza, che vengono però annullati, anche se solo in parte, nel luglio del 2009 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio -su ricorso, tra gli altri, della European Roma Rights Centre Foundation (Errc).
Il Consiglio di Stato, il 16 novembre 2011, conferma la sentenza del Tar, respingendo il ricorso avanzato (anche) dalla presidenza del Consiglio, sancendo la “assoluta carenza di presupposti di fatto idonei a legittimare una declaratoria di emergenza”: “non si evincono precisi dati fattuali che autorizzino ad affermare l’esistenza di un ‘rapporto eziologico’ fra l’insistenza sul territorio di insediamenti nomadi e una straordinaria ed eccezionale turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica”. L’impalcatura dell’ormai ex ministro Maroni si sgretola, perché illegittima e infondata. E, per pura coincidenza, ciò avviene lo stesso giorno in cui Andrea Riccardi s’insedia nell’esecutivo guidato da Mario Monti. Da una parte, Riccardi si dichiara pronto a lasciarsi alle spalle la linea del precedente Governo, ma contemporaneamente ricorre alla Corte di Cassazione contro il pronunciamento del Consiglio di Stato che quello stesso “superamento” aveva disposto. Solo il 26 marzo 2013 la suprema Corte conferma: i regolamenti prefettizi decadono e le risorse stanziate congelate. L’esito è, per certi versi, curioso: a Milano, ad esempio, al posto del duro regolamento del 2009 è subentrato il precedente, a firma Gabriele Albertini e datato 1998: sull’intestazione si legge “Regolamento per gli zingari”.
Le linee guida. Il diritto lascia -o avrebbe dovuto lasciare- campo libero alla Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti di inizio 2012. Poco più di cento pagine e otto “impegni prioritari” da rispettare entro il biennio 2012-2013, monitorati dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) -costola della presidenza del Consiglio istituita nel 2003 (vedi l’intervista a p. 38). Tra gli obiettivi che l’Unar ha il mandato di coordinare ci sono la definizione di un disegno di legge per il riconoscimento dei Rom, Sinti e Caminanti quali minoranze nazionali, la costituzione di un gruppo di lavoro insieme all’Istat “volto al superamento del gap informativo e statistico”, l’attivazione di una rete nazionale di osservatori anti discriminazione “in almeno il 50% dei territori regionali” e la “riprogrammazione” delle risorse stanziate durante la fase commissariale 2008-2011 -100 milioni di euro, secondo le stime dell’associazione 21 luglio, alla luce della mancata risposta ricevuta dal ministero dell’Interno- e “ancora non impegnate” in Campania, Lazio, Piemonte, Veneto e Lombardia. La finalità diventa la stesura di appositi “Piani locali per l’inclusione sociale delle comunità Rsc”. Se il decreto è fermo, come del resto il gruppo di lavoro con l’Istat, anche le antenne regionali stentano: nonostante la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome avesse posto al 28 febbraio di quest’anno il termine ultimo per costituire i tavoli di lavoro, dall’ufficio nazionale dell’Unar fanno però sapere che soltanto sei Regioni (Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Calabria, Lazio) hanno seguito l’indirizzo. Discorso diverso per i piani locali, dove chi si candida a guidare l’inversione di rotta rispetto al periodo d’emergenza è proprio la città che ne fu emblema: Milano.
Il piano Granelli. Il 23 novembre 2012 la Giunta Pisapia approva le nuove linee d’intervento in tema di gestione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti, prevedendo messa in sicurezza e “alleggerimento” (una volta si sarebbero detti sgomberi) delle aree a campo -che nel capoluogo sono sette (inteso quelle autorizzate) e gestite da soggetti del terzo settore-. Pochi mesi dopo la delibera, nel gennaio di quest’anno, il ministero dell’Interno autorizza lo sblocco delle risorse avanzate dalla passata gestione emergenziale, dando il la alla “Convenzione per la gestione del progetto rom, sinti e caminanti 2012-2014” del marzo 2013. 5,7 milioni di euro -trasferiti quindi dalla Prefettura- cui si aggiungono 300mila euro da parte del Comune di Milano. Oltre un terzo del totale (2,1 milioni di euro tra gestione, operatori e ristrutturazione) è destinato ai tre “centri di emergenza sociale”, cui spetta un’accoglienza limitata nel tempo (40 giorni prorogabili per un massimo di quattro volte) per 300 posti complessivi. Una soluzione definita “inutile” -per tempi limitati e soluzioni non definitive- da Maurizio Pagani, presidente dell’Opera nomadi di Milano (www.operanomadimilano.org), che stride -per l’investimento- con i 20mila euro stanziati alla voce “inclusione scolastica” o i 240mila euro per le “politiche attive del lavoro”. Chi ha l’onere di coordinare (soltanto da giugno) il progetto, chiede tempo. Quello che è mancato ai 350 Rom proprietari di alcuni terreni espropriati a Baranzate per far spazio a una bretella per l’Expo. “Rispetto al recente passato non c’è stata, nei primi due anni di gestione della nuova Giunta, la proposizione di un’idea progettuale e concreta diversa e alternativa a quella precedente -racconta ad Ae Maurizio Pagani-. O, meglio, sono stati fatti cadere cadere quei toni di conflittualità barbara e retorica in funzione elettorale delle destre, ma gli atti pubblici, il modo di operare che contraddistingue gli atti degli assessorati che si occupano del tema non sono sostanzialmente cambiati”. L’approccio resta securitario, non fosse altro per la presenza del corpo della Polizia locale nella governance del Piano e per una frase contenuta nel documento “La verità sul piano Rom” che l’ufficio stampa del Comune ha inoltrato ad Ae: “La Giunta Moratti ha speso 8 milioni e non ha risolto il problema. A Milano i Rom e i campi ci sono ancora”. —