Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Inchiesta

L’Italia continua a non garantire indennizzi alle persone vittime di tratta degli esseri umani

Negli ultimi due anni non è stata garantita alcuna forma di riparazione per le vittime. Dal 2014, anno in cui è stato prevista la cifra (irrisoria) di 1.500 euro, è stata presentata un’unica richiesta giudicata però inammissibile. Intanto l’Europa punta tutto sulla punibilità dei clienti per fermare lo sfruttamento sessuale

L’Italia continua a non garantire indennizzi per le persone vittime della tratta. Dai dati forniti dal Dipartimento per le pari opportunità (Dpo) ad Altreconomia emerge infatti che negli ultimi due anni non è stata riconosciuta alcuna forma di riconoscimento economico per il reato subito. Riscontri che confermano quanto avevamo già ricostruito nel novembre 2021: in totale, da quando la misura è stata istituita nel 2014, solo un’istanza è stata presentata ma rifiutata per mancanza di requisiti. “Ciò dimostra nuovamente come questo strumento sia inutilizzato e nella maggior parte dei casi inutilizzabile -spiega l’avvocata Ilaria Boiano di Differenza donna, Ong di Roma specializzata nel sostegno per le vittime di tratta-. Negli ultimi due anni la possibilità di accedere all’indennizzo è ancor di più caduta nel dimenticatoio e le persone continuano a rimanere senza un adeguato riconoscimento dei danni conseguenti alle violazioni subite”. Una tendenza che si rileva anche a livello europeo, dove le istituzioni continuano a trattare come “secondario” il tema della protezione delle vittime.

Sulla carta la misura dell’indennizzo è stata prevista nel pacchetto delle misure anti-tratta del 2014 per garantire che, qualora l’autore del reato non possa garantire il risarcimento dei danni, la vittima non resti senza alcuna forma di riparazione del danno subito. La somma di 1.500 euro viene riconosciuta “detratte le somme erogate alle vittime, a qualunque titolo, da soggetti pubblici” e “nei limiti della disponibilità del Fondo per le misure anti-tratta”. Inoltre, per aver accesso al Fondo la persona deve dimostrare di aver tentato di ottenere il risarcimento del danno attraverso tutte le azioni possibili e soprattutto deve esserci una sentenza di condanna definitiva. “Il punto è che, da un lato, non è corretto subordinare l’accesso all’indennizzo al procedimento penale nel caso delle vittime di tratta -sottolinea Boiano-. Quando le Commissioni territoriali (organi che valutano le richieste d’asilo spesso presentate anche dalle vittime di tratta, ndr) riconoscono che le richiedenti asilo sono vittime di tratta di esseri umani dovrebbe bastare per ottenere anche l’indennizzo”. Invece l’accesso alla somma è garantito solo a seguito di una denuncia, e una volta arrivati alla condanna definitiva degli autori del reato. “Questo è richiesto in un contesto, come quello italiano, in cui negli ultimi anni le indagini su questi reati non sono certamente tra le priorità delle Procure e di conseguenza lo strumento è inutilizzato”, sottolinea Boiano.

È problematica anche l’entità dell’indennizzo. Per dare un termine di paragone: il decreto interministeriale adottato il 22 novembre 2019 per garantire un adeguato indennizzo alle vittime di reati violenti prevede 25mila euro per violenza sessuale, lesioni gravissime e deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso. Una cifra lontanissima dai 1.500 previsti per le vittime di tratta che nella maggior parte dei casi subiscono proprio reati simili. “Quella dei 1.500 è una cifra irrisoria se si considera la gravità del reato che subiscono queste persone -sottolinea Letizia Palumbo, ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia-. La dice lunga sull’attenzione reale rispetto all’indennizzo”.

Un’attenzione che è scarsa anche sul fronte europeo in cui si stenta a “investire” sulla protezione delle vittime. Nelle proposte di modifica della direttiva 36 del 2011 -il riferimento normativo più importante rispetto alla tratta di esseri umani a livello europeo- presentate dalla Commissione a inizio dicembre 2022, attualmente in discussione al Parlamento, lo “spazio” dedicato alla protezione delle vittime è limitato. “Si poteva fare molto di più sul risarcimento per le vittime in una visione più solida di empowerment e quindi di percorsi più solidi per le persone vittime -continua Palumbo-. Il contesto italiano, come dimostrano i dati, rivela quanti passi in avanti sono ancora necessari su questo fronte”. Quello che sta succedendo in Europa è un paradosso. A seguito della “valutazione” dell’efficacia delle azioni intraprese dopo la direttiva del 2011 per contrastare il fenomeno su cui si basano le modifiche presentate a fine dicembre 2022, si segnala come, da un lato, la direttiva ha “contribuito agli sviluppi legislativi e politici che hanno permesso alle vittime di accedere all’assistenza” ma che proprio con riferimento al risarcimento “l’accesso è raro e spesso limitato da “ostacoli amministrativi, mancanza di assistenza legale e durata dei processi penali”. Un elemento centrale è che la Commissione europea ha previsto un impatto a costo zero per l’applicazione della “nuova” direttiva: un dato significativo rispetto alle scarse misure previste in termini di protezione delle vittime.

Ma oltre ai diritti negati alle vittime, anche i costi sono un tema centrale: il mancato accesso alla giustizia per le persone vittime di tratta infatti ha gravi ricadute economiche. La stessa Commissione scrive che “i costi legati alla mancata attuazione della Direttiva sono considerevoli perché [tale reato] comporta costi elevati per l’economia e la società legati alle attività anti-tratta, alla fornitura di servizi di assistenza, sostegno e protezione, nonché alla perdita di produzione economica e di qualità della vita per la vittima”. L’ultima stima datata settembre 2020 ricostruisce in 312mila euro il “costo” annuale per supportare in modo adeguato una persona nel percorso di fuoriuscita dallo sfruttamento: di questa somma, il 41% deriva dalla “qualità di vita perduta”. Prima si interviene meglio è. Per tutti.

Tra gli elementi che Palumbo rileva come “positivi” nelle proposte di modifica della direttiva c’è la previsione dei matrimoni forzati e delle adozioni come possibili fini di sfruttamento per le vittime di tratta e la responsabilità giuridica per quelle aziende che, approfittando del “frutto” del lavoro delle vittime di tratta, si rendono complici dello sfruttamento delle organizzazioni criminali.

Il “cuore” su cui si gioca la modifica della direttiva, però, è la punibilità dei clienti: solo quelli, secondo le proposte della Commissione europea, che hanno la consapevolezza che la persona è sfruttata. “Personalmente credo che i clienti siano complici del sistema di sfruttamento, ma introdurre un nuovo reato non ha nessun senso -spiega Boiano-, soprattutto alla luce del fatto che i reati già esistenti, come tratta e riduzione in schiavitù sono sempre più raramente perseguiti”. Nel nostro Paese la legge Merlin del 1958 ha previsto come reato solamente il favoreggiamento della prostituzione che resta legale. “Io credo che quello resti un ottimo testo da rinforzare e attualizzare: normativamente è molto avanzato e risponde agli obiettivi di diritto dell’UE di prevenzione, protezione e rafforzamento individuale attraverso misure sociali, tra cui rientrano quelle riparative delle conseguenze dei reati”, osserva l’avvocata. Per Palumbo “l’’approccio repressivo sui clienti, però, spinge ancora di più le vittime nell’invisibilità esponendole maggiormente ad abusi e non solo da parte dei clienti” e per questo motivo, il gruppo di Esperti contro la tratta e lo sfruttamento di cui fa parte ha già preso posizione contro la punibilità.

Ma il cosiddetto “modello nordico” prende sempre più piede in Europa. Non a caso, la stretta sui clienti prevista dalla Commissione europea nella direttiva avviene durante il mandato di sei mesi di turno di presidenza del Consiglio dell’Ue da parte della Svezia, in scadenza al 30 giugno 2023, tra le principali promotrici del modello e che spinge per chiudere la “partita” entro l’estate. La palla è nelle mani del Parlamento europeo in cui, in queste settimane, si sta discutendo il nuovo testo normativo. Lo “spazio” per le vittime rischia, ancora una volta, di essere risicato.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati