Ambiente / Attualità
L’Isola di Palmaria a rischio: il bene comune messo all’asta per il turismo di pochi
Associazioni del territorio e cittadini manifestano contro la presunta “valorizzazione” della piccola isola ligure dall’alto valore naturale e storico. Il 20 giugno al Comune di Porto Venere (La Spezia) si terrà l’asta per gli immobili e terreni della Marina. Obiettivo dichiarato: “stregare gli arabi” e trasformarla in una “Capri ligure”
Il 20 giugno si terrà nel Comune di Porto Venere (La Spezia) l’asta per l’“alienazione di immobili e terreni ubicati sull’isola Palmaria”, volta a valorizzare due lotti di edifici in uso alla Marina militare e poi abbandonati, che il Comune definisce “ruderi-gioiello”, sull’isola nel Golfo della Spezia che insieme a quelle del Tino e Tinetto, a Porto Venere e alle Cinque Terre sono state inserite dall’Unesco nella lista dei Patrimoni dell’umanità. L’asta fa parte di un piano generale, il Masterplan, che prevede uno sviluppo turistico rivolto a un target di livello medio-alto che, per essere bilanciato economicamente, prevede la vendita diretta ai privati o l’affidamento ultra-decennale, settant’anni, degli immobili ora dello Stato.
Da qualche tempo associazioni del territorio, cittadini e cittadine hanno dato vita a varie manifestazioni di protesta e stanno vigilando su questa presunta “valorizzazione” dell’isola. Il coordinamento si chiama “Palmaria sì, Masterplan no“. La Palmaria è infatti una piccola isola di alto valore naturale e storico, è Parco naturale regionale, è sito Unesco e area protetta, e conserva importanti testimonianze della seconda Guerra mondiale. È separata dal borgo di Porto Venere da uno stretto braccio di mare, nel quale nei mesi estivi stazionano migliaia di barche. È molto amata dagli spezzini, che da sempre la frequentano per i bagni e le gite di una giornata, essendo raggiungibile in barca in poco tempo. Per decenni sottoposta a vincoli di natura militare è interessata ora dal processo di sdemanializzazione dei beni in uso alla Marina, con molteplici immobili che entrano nella disponibilità del Comune di Porto Venere. Il rischio è quello di una privatizzazione di larghe parti dell’isola, di un aumento del cemento, di un numero di accessi e di una serie di attività che andrebbero a snaturare gli splendidi e delicati ambienti terrestri e marini che hanno valso all’Isola l’inserimento in un Parco Naturale Regionale.
Gabriella Reboa, che fa parte dell’associazione Posidonia del Comune di Porto Venere, racconta ad Altreconomia come il passaggio dei beni demaniali dalla Marina al Comune e alla Regione non sia stata una “restituzione a titolo non oneroso” come inizialmente stabilito, ma sia avvenuta tramite la firma di un Protocollo di intesa per il quale i beni devono essere venduti per fare i lavori di ristrutturazione a quelli che rimarranno nella disponibilità della Marina, per un totale di 2,6 milioni di euro. I beni che rimarranno in uso alla Marina sono due stabilimenti balneari, uno per dipendenti civili e l’altro per i militari, il semaforo per barche (abitabile) che regola il traffico sullo stretto di mare e le abitazioni, case-vacanze, per dipendenti in località Terrizzo, l’approdo principale dell’isola che conta appena 2 chilometri quadrati, unica isola abitata del golfo e dell’intera Liguria.
La legge regionale ligure per le aree strategiche del 2017 (la n. 29 del 28 dicembre 2017), all’articolo 2 dedicato agli “Ambiti territoriali strategici di rilievo regionale e interventi di rinnovo edilizio” include anche l’isola di Palmaria, e per Reboa con la semplificazione delle procedure e l’istituzione di un Commissario rientra nell’intesa per realizzare il Masterplan.
Ma che cos’è nel dettaglio il Masterplan? È un “piano generale” realizzato per dare attuazione proprio al Protocollo d’intesa, ma non è uno strumento urbanistico previsto dalla normativa vigente, ma solo uno studio di analisi e indirizzo che deve essere poi tradotto in piani e progetti. Ha prodotto una serie di “Scenari progettuali”, tutti scartati dalla cabina di regia, la quale ha poi commissionato uno scenario ulteriore, definito 5 bis, che è stato approvato dalla stessa. Lo “Scenario 1”, quello potenzialmente a più alta sostenibilità ambientale, è stato invece scartato, ma soprattutto si è scelta una via che porta alla privatizzazione di tutti i beni interessati, ruderi e terreni, cioè di circa il 60% dell’isola senza prevedere per nessun di questi beni un uso pubblico a servizio del Parco.
Il “percorso partecipato”, che ha affiancato la redazione del Masterplan, è stato del tutto insufficiente a garantire una reale inclusione dei partecipanti nel processo decisionale e la paura dei cittadini contrari alla realizzazione del Masterplan è che la privatizzazione dell’isola aggraverà il delicato equilibrio ambientale dell’isola, luogo di nidificazione degli uccelli di passo, ad esempio.
Il professor Fabio Giacomazzi, naturalista e attivo in Legambiente, rivela come il Comune di Porto Venere abbia affidato a una società toscana, la Nemo, gli studi di gestione nel luglio 2021 per poi ignorarli completamente: “Una Valutazione ambientale strategica (Vas) che è rimasta nel cassetto”. Sempre Giacomazzi racconta con preoccupazione lo scarso controllo degli enti pubblici, giacché nel recupero previsto dal Masterplan ampie zone dell’isola verranno convertite a uso agricolo, aprendo alla costruzione di altri immobili. Il vizio di forma è proprio nel pubblico: il Parco naturale dell’Isola di Palmaria è gestito dal Comune di Portovenere (unico caso in Italia), il cui ex sindaco, Matteo Cozzani, è stato anche commissario dell’Area strategica Palmaria e site manager dell’Unesco. Ora Cozzani è capo di gabinetto del presidente ligure Giovanni Toti, il quale ha fatto del Masterplan una battaglia simbolica sua per rilanciare il turismo elitario: per “stregare gli arabi” e trasformare l’isola di Palmaria in una “Capri ligure”.
“Toti parla sempre di un’isola abbandonata e degradata, ricoperta di rovi – continua Giacomazzi – ma i nostri studi hanno provato che attualmente si trova in un equilibrio naturale, essendo una delle poche aree non antropizzate del golfo”.
Oltre agli immobili che rimarranno in uso alla Marina e quelli che verranno messi all’asta il 20 giugno, lo Scenario prevede anche il progetto di un museo con ristorante in cima all’isola, attualmente raggiungibile con sentieri. “L’idea è quella di un turismo di massa -dice Giacomazzi- che sfrutti il territorio fino all’osso, con la possibilità di incanalare i flussi provenienti dalle navi di crociera che attraccano a La Spezia”.
Inoltre Legambiente ha fatto ricorso, poi perso, per lo stabilimento balneare progettato nella ex cava Carlo Alberto, cava che è stata acquistata da un privato, una società che fa capo al Grand Hotel di Porto Venere, un progetto che prevede la realizzazione di piscine di fronte al mare. Sempre Giacomazzi spiega che Regione e Comune rassicurano sul fatto che non si aumenteranno le cubature di cemento sull’isola, ma i volumi sono ingenti e se abbattuti possono essere accorpati, ricostruiti da zero e destinati ad un uso privato. È il caso di bunker, ricoveri attrezzi ed ex alloggi militari che si trovano sulla sommità dell’isola mentre il vicino ostello del Cea (Centro di educazione ambientale), luogo dove hanno pernottato numerosissime scolaresche e studiosi come chi ha studiato per oltre trent’anni gli uccelli migratori, con la tecnica dell’inanellamento, verrà trasformato in una struttura ricettiva di alto livello. Stessa sorte è già toccata alla Torre Capitolare di Porto Venere, una struttura le cui fondamenta risalgono addirittura al XII secolo.
Il 20 giugno segnerà una tappa di non ritorno, dopo che la prima asta fissata per aprile è stata rinviata a dopo le elezioni amministrative: Il Masterplan, insieme al Protocollo di intesa, è scandalosamente sbilanciato in favore dei privati e della Marina, perché per “trasformare l’isola in un’attrattiva turistica di altissimo livello, sia nazionale che internazionale” si stanno ignorando sia l’interesse pubblico che la salvaguardia ambientale di un territorio unico al mondo.
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