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L’impatto sugli ecosistemi e la salute umana dell’inquinamento del lago di Vico

Una vista del lago di Vico © Chiara Ernandes

Periodicamente nelle acque del bacino fioriscono alghe rosse che innescano un processo di eutrofizzazione e rilasciano sostanze chimiche tossiche. Un fenomeno causato dall’elevato utilizzo di fertilizzanti chimici nelle piantagioni convenzionali di nocciole. L’Ong Client Earth ha presentato un ricorso contro gli enti locali

Periodicamente le acque del lago di Vico -bacino di origine vulcanica in provincia di Viterbo- si tingono di rosso a causa dell’intensa fioritura di alghe che tolgono ossigeno all’acqua, innescando un processo di eutrofizzazione che minaccia la sopravvivenza degli habitat naturali. Non solo: questo tipo di alga rilascia sostanze chimiche cancerogene e tossiche (dette micro-cistine) che non possono essere uccise né filtrate. Per questo motivo l’acqua che esce dai rubinetti delle case di Ronciglione e Caprarola -i due Comuni limitrofi al bacino dove vivono circa 15mila persone- è stata dichiarata “non potabile” dalle amministrazioni locali: le delibere dei sindaci in materia risalgono rispettivamente al 2015 e al 2012. Una situazione nota alle autorità locali e che le associazioni denunciano da anni, su cui peraltro è stata anche accumulata una quantità importante di dati scientifici.

A fronte di questa situazione, gli avvocati della charity ClientEarth, insieme alla Lipu, hanno avviato un’azione legale nei confronti della Regione Lazio, delle autorità responsabili per il servizio idrico e dei Comuni di Ronciglione e Caprarola “per non aver adottato le necessarie misure per salvaguardare le acque e la conservazione del sito naturale, nonché la salute dei cittadini, violando di fatto le normative nazionali ed europee”, spiega ad Altreconomia Lara Fornabaio, giurista esperta di diritto alimentare e dell’ambiente, che ha seguito la vicenda assieme al collega Francesco Maletto. L’azione legale ha preso il via nell’ottobre 2022 con la notifica dei ricorsi alle amministrazioni interessate e lo scorso 11 gennaio si è svolta la prima udienza di fronte al Tar del Lazio. La sentenza è prevista per il mese di aprile.

Nel loro ricorso, i legali hanno contestato alle istituzioni locali la violazione di quanto previsto da tre Direttive europee: habitat, acqua potabile e nitrati. “Il lago di Vico rientra tra le aree protette della Rete Natura 2000, ospita degli habitat specifici che sono protetti dal diritto comunitario. L’amministrazione regionale ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a prevenire e contrastarne il deterioramento, cosa che non è stata fatta”, spiega l’avvocato Maletto. Analogamente i legali contestano la violazione della Direttiva acqua potabile, chiedendo agli enti locali di intervenire per “elaborare un piano che risolva il problema delle micro-cistine tossiche che si sviluppano nel lago a seguito del processo di eutrofizzazione -aggiunge Fornabaio-. Per quanto riguarda i nitrati, infine, la normativa europea prevede che a fronte di rischio o di un processo di eutrofizzazione in corso la zona venga dichiarata ‘vulnerabile’ e, di conseguenza, vengano implementati dalle istituzioni requisiti specifici per condurre le attività agricole nella zona”.

Antonella Litta, medico e referente per l’Associazione medici per l’ambiente- ISDE Italia, vive proprio a Ronciglione: da anni non si può usare l’acqua dei rubinetti di casa né per bere, né per cucinare. L’associazione monitora da oltre 15 anni la situazione del lago di Vico denunciando il degrado dell’ecosistema e il peggioramento della qualità delle sue acque e ha chiesto più volte l’intervento delle istituzioni sulla base di ricerche e dati forniti dalla stessa Asl di Viterbo, dalla Regione Lazio, dall’Istituto superiore di sanità e da altri ed importanti enti di studio e ricerca (Università La Sapienza di Roma e Università della Tuscia). “L’arrivo nelle acque del lago di grandi quantitativi di composti azotati e fosfati a causa per lo più di attività agricole intensive favorisce la riproduzione esplosiva dei cianobatteri a svantaggio di altri microrganismi lacustri: si crea così una massa algale tanto fitta da ridurre anche il passaggio della luce -spiega Antonella Litta ad Altreconomia-. Così periodicamente le acque del lago di Vico si tingono di rosso a causa dell’intensa fioritura di questi microrganismi della specie cianobatteri e in particolare della ‘Planktronix rubescens’. Questa rilascia sostanze tossiche dette micro-cistine che hanno anche attività cancerogena. La variante LR è la più studiata da questo punto di vista ed è un promotore tumorale molto potente, classificata come 2B nella scala dei cancerogeni dell’International agency for research on cancer. L’esposizione cronica, anche a basso livello, può correlare con i carcinomi epatici e del colon. Inoltre questa micro-cistina non è termolabile: non viene distrutta con la bollitura dell’acqua e nemmeno da altre fonti di calore”.

Responsabili del sovraccarico di nutrienti che favoriscono la proliferazione delle alghe nel lago sarebbero dunque i fertilizzanti utilizzati nelle limitrofe piantagioni intensive di nocciole. “In particolare, i noccioleti convenzionali interni alla caldera (il lago ha un’origine vulcanica, ndr) a causa dei trattamenti fitosanitari e di fertilizzazione, rappresentano la principale pressione per la qualità delle acque del lago che ospita numerose comunità vegetali riferite agli habitat Natura 2000”, si legge in un rapporto dell’Ispra pubblicato nel 2020. Per Famiano Crucianelli, presidente del Biodistretto della via Armerina e delle Forre, la situazione in cui si trova il bacino rappresenta la punta dell’iceberg di una situazione particolarmente problematica e più ampia: “Quella della nocciola, che pure è una coltivazione tradizionale del nostro territorio, è diventata una vera e propria monocoltura, con tutti i problemi che questo comporta: in diversi Comuni la quota di territorio dedicata alle coltivazioni intensive di questa pianta arriva al 70-80%. Quello che si osserva in ampie parti della provincia è un paesaggio privo di biodiversità e quindi impoverito”.

La fioritura delle alghe rosse nel lago di Vico © Giuseppe Nascetti

I dati forniti dall’Istat permettono di fotografare con più precisione la situazione. Nel 2022, sugli oltre 84mila ettari coltivati a nocciole nel nostro Paese, oltre 21 mila sono concentrati nella sola provincia di Viterbo. Un dato di poco inferiore a quello di tutto il Piemonte (24mila ettari). Anche in termini di produzione, il viterbese fa registrare numeri da record: su un totale nazionale di 1.048.793 quintali di nocciole raccolte, circa 290mila quintali vengono dal viterbese. Di nuovo, un dato appena leggermente inferiore ai 301mila quintali prodotti dal Piemonte.

“Il caso del Lago di Vico è emblematico di come un modello agricolo basato sull’intensificazione e sulla monocultura stia danneggiando il nostro più grande patrimonio di biodiversità, che fornisce i servizi ecosistemici essenziali come l’acqua potabile e la fertilità del suolo. Ma che ci regala anche preziosi elementi immateriali come la diversità del paesaggio, così tipica del nostro Paese”, aggiunge Federica Luoni, responsabile agricoltura di Lipu. Che torna a chiedere alle autorità di assumersi le proprie responsabilità per mettere un freno a un modello di sfruttamento del territorio che danneggia gli habitat, le specie animali e vegetali, oltre alla salute umana.

“La coltivazione delle nocciole è stata portata al di fuori della sua area di vocazione, che si colloca al di sopra dei 400 metri sul livello del mare, verso il mare e verso la Valle del Tevere -aggiunge Crucianelli-. In queste condizioni le piante possono essere produttive solo se fortemente irrigate, con un forte impatto sulle risorse idriche: nell’estate 2022 lo abbiamo visto chiaramente con un prosciugamento dei ruscelli e l’abbassamento delle falde acquifere”.

Per tutti questi motivi il Biodistretto, assieme ad altri attori del territorio della Tuscia, è impegnato nella ricerca e nella promozione di un modello di agricolo diverso, che non si basi esclusivamente sulla corilicoltura e che metta al centro il biologico. “L’agricoltura che ha caratterizzato il nostro territorio negli ultimi 50 anni, fortemente caratterizzata dall’uso di sostanze chimiche, non ha ‘inquinato’ solo l’ambiente, ma anche il modo di fare produrre -conclude Crucianelli-. Per questo motivo negli ultimi due anni abbiamo lavorato per sviluppare un progetto di agricoltura integrata che metta al centro proprio il modello biologico”. Sempre nel solco di questa volontà di cambiamento del modello produttivo basato sulla monocoltura, il 23 gennaio il Biodistretto ha presentato il Manifesto per un’economia sostenibile della nocciola: dieci punti con altrettante richieste che vanno dall’obbligo di introdurre sistemi irrigui a controllo all’introduzione di una diversificazione ecologica nei noccioleti, dalla graduale conversione al biologico (fino al 50% nei prossimi anni) al divieto dell’uso del glifosato.

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