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L’eredità di Ken Saro Wiwa, 20 anni dopo

Il 10 novembre del 1995 il poeta e attivista per i diritti umani degli Ogoni venne impiccato nel carcere di Port Harcourt, in Nigeria. Leader del MOSOP, due anni prima aveva portato 300mila persone per strada, per protestare contro il governo e le compagnie petrolifere che sfruttavano i giacimenti presenti nel Delta del Niger senza alcuna considerazione dei possibili rischi ambientali

Ken Saro Wiwa era un grande poeta, ma soprattutto un infaticabile attivista per i diritti umani. Un uomo che aveva deciso di lottare contro i soprusi che la Shell e il governo dittatoriale nigeriano stavano imponendo alla sua popolazione: gli Ogoni.

Con il suo impegno e la sua determinazione, Saro Wiwa fondò il MOSOP, il Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni. Il 4 maggio 1993, in occasione della giornata delle popolazioni indigene proclamata dalle Nazioni Unite, riuscì a far scendere per le strade dell’Ogoniland, sul delta del Niger, oltre 300mila persone. Uomini, donne e bambini che, cantando canzoni di protesta, dichiararono la sussidiaria della Shell in Nigeria persona non grata.

Ken Saro Wiwa pagò con la vita la sua sfida al governo nigeriano. Dopo essere stato arrestato nel 1994, sulla base di infondate accuse di omicidio, e aver subito un processo farsa, il 10 novembre di venti anni fa Saro Wiwa fu impiccato nel cortile della prigione di Port Harcourt assieme ad altri otto attivisti ogoni.

Aveva guidato quello che le élite politiche nigeriane, che fin dal boom del petrolio dell’inizio degli anni Settanta avevano considerato i giacimenti del Delta del Niger come una sorta di proprietà privata da sfruttare a proprio piacimento, ritenevano un affronto. La Shell e le altre compagnie petrolifere, infatti, furono subito incoraggiate ad “occupare” il territorio, al fine di portare avanti le loro attività estrattive, senza peraltro pagare le dovute compensazioni ai legittimi proprietari o tenere in debita considerazione i possibili rischi ambientali.

Oggi -20 anni dopo- Ken Saro Wiwa è un simbolo per tutti i popoli che si battono per rivendicare i loro diritti e per preservare le proprie terre dalla devastazione ambientale, prime fra tutte le altre popolazioni del Delta del Niger, ancora alle prese con gli scempi socio-ambientali causati da tante multinazionali operanti nella zona, tra cui spicca anche l’italiana Eni.

Purtroppo negli ultimi due decenni la situazione non sembra essere mutata un granché, come certificano autorevoli studi di organizzazioni internazionali.
Il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), ad esempio, nell’agosto del 2011 rese pubblico uno studio in cui si esaminavano gli effetti delle attività estrattive delle multinazionali proprio nell’Ogoniland: in 50 anni le conseguenze per l’ambiente erano state di così vasta portata da superare anche le più fosche previsioni.
Nel rapporto si faceva presente che per ripristinare quelle terre, falde idriche, fiumi, acquitrini e foreste di mangrovie sarebbe servita la più lunga e difficile bonifica ambientale mai intrapresa al mondo, che avrebbe potuto richiedere 25 o 30 anni. L’Unep suggeriva di creare una Authority ad hoc per l’Ogoniland, che avesse a disposizione un fondo -con capitale iniziale di un miliardo di dollari fornito dall’industria petrolifera- al fine di coprire così almeno il primo periodo di lavori.

Nel corso di questi ultimi quattro anni ben poco è stato fatto per dare una risposta alle richieste dell’Unep da parte delle oil corporation.
Pochi mesi fa Amnesty International ha comunicato che nel 2014 gli incidenti occorsi a strutture gestite dalla Shell ammonterebbero a 204, quelli dell’italiana Eni a ben 349, almeno in base a quanto riferito dalle stesse compagnie. In totale, stiamo parlando di circa 5 milioni di litri di greggio dispersi sul territorio del Delta. Una stima che si teme sia addirittura troppo conservativa.
Nell’arco di 40 anni (1971-2011), intanto, in Europa si sono verificati solo 10 sversamenti l’anno, ma le multinazionali del petrolio si difendono addebitando gli sversamenti a furti e sabotaggi vari. Le comunità locali e le organizzazioni della società civile contestano con forza queste tesi, addossando la colpa alle multinazionali e, nella maggior parte dei casi, all’inadeguatezza dei loro impianti -in particolare le tubature sarebbero molto vecchie e prive della manutenzione necessaria-.
La lotta intrapresa da Ken Saro Wiwa oltre 20 anni fa non è ancora finita.

* Re:Common

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