Cultura e scienza / Intervista
Leggere l’ambiente come un testo. Intervista a Serenella Iovino
L’ecologia letteraria indaga i rapporti tra umano e non umano nelle opere letterarie, per risvegliare nel lettore una coscienza ecologica che guidi le sue scelte. Tra gli autori italiani più interessanti Dino Buzzati, Primo Levi, Andrea Zanzotto, Anna Maria Ortese
Serenella Iovino è docente di Letterature Comparate presso l’Università di Torino, borsista di ricerca presso la fondazione “Alexander von Humboldt” ed è stata visiting professor in varie università. Ha introdotto gli studi di ecocritica in Italia con il libro “Ecologia Letteraria, una strategia di sopravvivenza” (Edizioni Ambiente, 2015), nel quale si è chiesta quale sia il ruolo della letteratura per superare la crisi ecologica.
Che cos’è l’ecocritica?
SI Nata negli Stati Uniti intorno al 1990, è una disciplina che indaga come sono rappresentati i rapporti tra umano e non umano nelle opere letterarie per risvegliare nel lettore una coscienza ecologica che guidi le sue scelte. La critica del testo s’intreccia con l’etica sociale, la cultura ambientale e l’educazione alla cittadinanza per una visione globale della nostra vita nell’ambiente.
Come si lavora su un testo con l’approccio ecocritico?
SI Si inizia ponendosi domande specifiche sul testo, ad esempio: come viene descritto il rapporto tra società e ambiente? Come influisce l’inquinamento nei rapporti tra i personaggi e nella descrizione del luogo? Quale importanza viene data agli animali e come sono rappresentati? Chi studia ecocritica cerca anche di leggere il mondo come un testo, nel quale i corpi, i paesaggi, i problemi sociali diventano storie che raccontano la crisi ecologica in tutte le sue forme.
Ma l’ecocritica è un metodo di analisi del testo o una forma di attivismo politico e quali sono stati i primi autori analizzati?
SI L’ecocritica è un’analisi critica dei testi, con un preciso intento politico: sensibilizzare le persone a rispettare la comunità dei viventi della quale fanno parte. Tra i primi a essere analizzati abbiamo i grandi scrittori americani di Nature Writing come Rachel Carson, Aldo Leopold e Henry David Thoreau. Molto spesso il nostro stile di scrittura critica è ispirato alla “narrative scholarship”, il cui fine è trasformare l’analisi in una narrativa che conduca il lettore dal testo al mondo reale.
Italo Calvino scrive che la letteratura dà voce a ciò che non ha voce: abbiamo bisogno di un pensiero opposto a quello antropocentrico, dove solo l’umano ha diritto di parola
Quali sono gli autori italiani che possono essere letti in quest’ottica?
SI Da Dino Buzzati, che nel Segreto del bosco vecchio intesse una favola sulla distruzione di una foresta popolata da spiriti di alberi e animali, a Primo Levi che, nel Sistema Periodico, intreccia storie di uomini ed elementi chimici sullo sfondo dell’Olocausto. Il poeta Andrea Zanzotto aveva detto che siamo passati dai campi di sterminio allo sterminio dei campi. Non ci pensiamo, ma stermini non umani accadono ogni giorno, e su questi si basa il sistema economico contemporaneo, Anna Maria Ortese lo mette in luce con Corpo celeste. Italo Calvino scrive che la letteratura dà voce a ciò che non ha voce: abbiamo bisogno di un pensiero opposto a quello antropocentrico, dove solo l’umano ha diritto di parola.
L’ecocritica è anche una critica allo sfruttamento in ogni sua forma?
SI Lo è senz’altro. Il punto fondamentale di contestazione è l’antropocentrismo come forma di prevaricazione di una specie sulle altre. Ma ciò ha molti volti: il razzismo ambientale che colpisce gruppi etnici, lo sfruttamento animale negli allevamenti intensivi e l’agricoltura industriale rientrano nella logica di sopraffazione. Troviamo queste storie in Cuore di tenebra di Joseph Conrad, che descrive la violenza del sistema coloniale belga in Africa o Gomorra di Roberto Saviano. L’ambiente, quindi, diventa una cartina al tornasole per capire se una società è giusta.
L’alfabetizzazione ambientale non trova spazio nei programmi formativi?
SI Edward O. Wilson, biologo, parla di biofilia: specialmente nei più piccoli, c’è una naturale predisposizione, un amore, verso tutto ciò che vive. I giovani hanno empatia con il vivente e questo dovrebbe essere cavalcato per insegnare la cura dell’ambiente come si impara a leggere e a scrivere. Riconoscerci come parte del pianeta e averne cura, deve diventare un automatismo, proprio come la lettura. Eppure, mentre il mondo intorno a noi cambia in fretta, i sistemi scolastici si sviluppano con estrema lentezza. Serve una prospettiva diversa con cui rivedere i modelli educativi; e la politica deve farsene carico, perché l’impatto della scelta dei programmi scolastici ha eguale valore sul benessere di uno Stato che la scelta del sistema di approvvigionamento energetico.
Cosa può fare la scuola per ricostruire una visione eco-sistemica della realtà?
SI Potrebbe iniziare rafforzando l’approccio trans-disciplinare. Oggi l’ambiente non è più solo oggetto di studi scientifici, ma si cala in un modello nuovo chiamato “Environmental Humanities”, scienze umane ambientali, che hanno il fine di superare la frattura tra le cosiddette “due culture”: scientifica e umanistica, per mettere in luce l’impatto dei modelli culturali sull’ambiente e viceversa. Alcuni Paesi sono più sensibili all’argomento come quelli scandinavi, la Germania, l’Australia e gli Stati Uniti. L’Italia sta cominciando, infatti dal 2013 all’Università di Torino esiste il Gruppo di ricerca internazionale sulle Environmental Humanities di cui sono coordinatrice.
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