Opinioni
L’educazione non è solo donna
In Italia vige lo stereotipo della “mamma più brava”. E in caso di separazione o divorzio, sono i padri -esclusi dall’educazione dei figli- a pagare il pegno maggiore. Lo dicono i numeri e lo spiegano alcuni studi _ _ _
Secondo l’European Value Study, un istituto di ricerca che conduce sondaggi per capire quali sono e come cambiano i valori dei cittadini europei, alla domanda “in generale i padri sono adatti a curare i propri figli tanto quanto le madri” in Italia risponde “sì” solo 68,5% degli intervistati, contro più del 76% nella media europea. Alla domanda “una madre che lavora può stabilire una relazione sicura e intensa con suo figlio tanto quanto una mamma che non lavora”, il 64% risponde in modo positivo, mentre la media europea sale al 76,9%. L’effetto culturale è ancora più evidente in relazione alla domanda “un bambino in età prescolare soffre se la mamma lavora”, in Italia 81,4% risponde positivamente mentre in Europa solo il 55,6% ritiene che tale affermazione sia vera.
L’aspetto che solitamente si sottolinea è che in Italia si ha “troppa fede nella mamma”, come titola un interessante articolo di Pastore e Tenaglia sul sito inGenere (www.ingenere.it), che analizza l’influenza della religione cattolica su questo particolare aspetto della vita culturale italiana. Per inciso, sarebbe interessante capire come sia possibile che gli stessi italiani che considerano gli uomini meno capaci delle donne nell’avere cura dei figli, ritengano invece che gli uomini sarebbero migliori presidenti del consiglio e sempre favoriti in politica, come evidenziato nel libro “Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia” (Laterza, 2012) di Assunta Sarlo e Francesca Zajczyk. La percezione cosi irrazionale tra abilità di gestione del privato e di gestione della cosa pubblica ha radici culturali molto profonde.
Molti articoli descrivono gli svantaggi che questo genera per le donne, ma si parla poco della condanna che questo stereotipo di “mamma più brava” impone ai papà in generale e -in particolare- a quelli separati o divorziati. I dati sul divorzio evidenziano come, culturalmente, la madre sia considerata più abile nell’accudire dei figli. Addirittura fino al 2005 la regola generale in caso di divorzio era l’affidamento esclusivo alla madre.
La legge è cambiata nel 2006, ma solo nel 2007 gli affidi condivisi superarono quelli esclusivi, assestandosi intorno al 72%, ma ancora il 25% di figli vennero affidati ancora esclusivamente alla madre. Nel 2009 gli affidi condivisi sono saliti all’86% (e al 68% nel caso di divorzio), ma con notevoli differenze a seconda delle regioni.
Il dato che risponde meglio a questa convinzione culturale dell’incapacità degli uomini di prendersi cura dei figli è tuttavia quello relativo agli affidamenti esclusivi ai papà. L’affidamento esclusivo al padre, negli anni che precedono la nuova legislazione, si assestava intorno al 4,5%, con un misero 3,4% nel 2005 nel caso di separazioni. Superava di poco il 6% nel caso di divorzio, contro valori superiori all’86% di affidamento esclusivo alle madri (sia in caso di separazione che in caso di divorzio). Nel 2009 sono stati affidati esclusivamente al padre l’1,1% dei bambini in caso di separazione e poco più del 2% in caso di divorzio, a fronte di un 12,2% e 28,3% di affido esclusivo alle madri. Inoltre la percentuale dell’affido esclusivo al padre cresce con l’aumentare dell’età del bambino: per i divorzi è solo l’1,1% nel caso di età del minore inferiore ai 5 anni, e sale al 3,4% se il minore ha una età compresa tra i 15 e i 17 anni.
In generale la letteratura che considera gli effetti dei divorzi sui padri evidenzia una maggiore incidenza di suicidi, alcolismo, abuso di droghe, effetti sulla salute, problemi relazionali e sul lavoro. Per questo sono nate numerose associazioni con lo scopo di consentire agli uomini di avere un ruolo più determinante e attivo nell’educazione dei figli dopo la separazione, ma resta ancora molta strada da fare. Le vittime della troppa importanza data al ruolo femminile tra le mura domestiche sono, quindi, le donne ma anche gli uomini, che in numero crescente e sempre più consapevolmente vogliono partecipare all’educazione dei figli ma ancora, quando esprimono questo desiderio, si sentono dire di volere il “mammo”, come se educare, avere cura e amare non potessero essere fatti con la stessa competenza, abilità e attenzione da un papà.
Demolire lo stereotipo che affida alla donna tutti i doveri della cura, deve significare demolire quello che considera l’uomo meno capace di adempiere ai doveri della cura. Gli uomini che hanno desiderio di prendersi ruoli da protagonisti nella cura dei figli, sono probabilmente i migliori alleati delle donne che desiderano una società dove uomini e donne potranno dedicarsi -a seconda delle loro inclinazioni e dei loro desideri, secondo le modalità che desiderano- alla cura, al lavoro, alla politica o al volontariato. —