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Ambiente / Opinioni

Le troppe automobili in città negano il nostro diritto a bellezza e lentezza

Quirinale, Roma © Paolo Pileri

Con 670 veicoli ogni mille abitanti l’Italia è il Paese più trafficato d’Europa. Manca il coraggio per liberare piazze e strade. La rubrica a curda di Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022

Ciclabili e cammini hanno registrato un’indiscutibile crescita di interesse in questi anni. Ma non è successo altrettanto alle ragioni profonde per le quali le abbiamo realizzate: il diritto alla lentezza, in primis, e il ripensare la nostra idea di città come luogo da abitare e da passeggiare, godendo della bellezza. Basta dare un’occhiata a molte nostre piazze storiche, affollate all’inverosimile da auto, per rendersi conto di quanti spazi siano rubati al nostro diritto ad abitare la strada, lo spazio aperto. Le auto sono ovunque, senza ritegno: davanti a scuole, castelli, chiese, parchi. Le ho trovate perfino sulle scale di ingresso ai giardini del Quirinale a Roma.

L’auto come vacca sacra della religione consumistica, acciaio innalzato al culto della velocità che gode di protezione politica indiscussa per i voti elettorali che porta. Nonostante l’enorme consenso, alcune azioni di liberazione sono state realizzate grazie a quel tanto o poco di coraggiosa urbanistica tattica che abbiamo sperimentato. Ma ancora non è sufficiente per dire che esiste una strategia sicura, condivisa e durevole che ci restituirà lo spazio occupato abusivamente dalle auto, il cui numero continua a crescere pretendendo strade e parcheggi, imponendo il loro modello di inabitabilità e di insostenibilità alla nostra quotidianità.

1.300 chilometri quadrati è la superficie minima necessaria (pari all’area del Comune di Roma) per far sostare 37 milioni di auto e cinque milioni di mezzi pesanti

A ottobre 2022 l’Eurostat (ec.europa.eu/eurostat) ha pubblicato le statistiche sulla motorizzazione in Europa. Al netto di Lussemburgo e Liechtestein (dove le immatricolazioni sono influenzate da alcuni vantaggi fiscali e le auto non sono fisicamente presenti) nel 2020 l’Italia era la prima della lista con 670 auto ogni 1.000 abitanti. Poi Polonia (664), Finlandia (652), Cipro (645), Estonia (608), Malta (597), Germania (580), Austria (570) e Francia (567). Delle prime dieci regioni europee con maggior tasso di motorizzazione, ben cinque sono italiane con indici di congestione da traffico superiori a quelli di intere nazioni: Valle d’Aosta (1.787 auto per 1.000 abitanti), Provincia di Trento (1.285) e di Bolzano (871), Umbria (747) e Molise (732). Una vera e propria invasione a cui si aggiungono 5.179.203 tra Tir, camion, trattori e altri mezzi pesanti, sempre più frequenti sulle strade anche per il dilagare della logistica.

Nel 2020 Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia erano in vetta alla classifica delle aree europee con più mezzi pesanti immatricolati (con più di 400mila l’una). Meno numerosi in Germania, Austria e in molte regioni spagnole e francesi. Solo per far sostare le 37.717.874 auto e i 5.179.203 mezzi pesanti dobbiamo occupare una superficie asfaltata di oltre 1.300 chilometri quadrati, equivalente all’immenso Comune di Roma Capitale. Numeri da capogiro, che tolgono il fiato. Eppure, come rapiti da una sorta di identificazione con l’aggressore, finiamo con lo schierarci con auto e velocità, accettando la negazione della via pubblica e della lentezza. Con ciò neghiamo il diritto di andare a scuola a piedi e da soli se siamo bambini. Il diritto di camminare piano se siamo anziani. Il diritto di godere della bellezza delle città. Il diritto al silenzio. Il diritto ad avere aria pulita, a non perdere tempo nel traffico e a non morire investiti. Il diritto a giocare per strada a camminare a zonzo, liberati dal dover fare acquisti. Il diritto di cui abbiamo diritto è quello alla lentezza e a città più belle e vivibili per tutti e per sempre. Facciamo chiasso.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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