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Le stagioni del pomodoro

I frutti rossi vengono raccolti da migranti nei campi pugliesi, spesso in condizioni di semi-schiavitù. Ma sulla filiera manca trasparenza. Intervista a Yvan Sagnet, il giovane studente del Politecnico di Torino che nell’estate del 2011 guidò la rivolta dei braccianti di Nardò (LE). Oggi lavora per i migranti con la Flai-Cgil Puglia 

È un pomeriggio di inizio settembre, e Nardò è bagnata da una leggera pioggia. Yvan Sagnet imbocca una strada sterrata avvolta da grandi eucalipti, si ferma al centro e con la mano indica un punto in mezzo la campagna: “Io dormivo lì, per terra, accanto ad una macchina che mi faceva ombra dal caldo soffocante”. Siamo a Masseria Boncuri, in Salento, il luogo dove nell’estate del 2011 è partito lo sciopero dei braccianti agricoli contro le condizioni di lavoro ai quali erano sottoposti. 
Per la prima volta fu visibile a tutti il sodalizio tra caporali e aziende agricole per l’arruolamento di manodopera a basso costo.

Partì il processo “Sabr”, che coinvolse proprietari terrieri e intermediari. Le accuse: riduzione in schiavitù, associazione a delinquere, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, violenza privata, falsità materiale e favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza di stranieri in condizioni di clandestinità. Quell’inchiesta portò all’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del reato di caporalato (art.603 bis). Se oggi il fenomeno è al centro dell’agenda istituzionale del Governo lo si deve a quella manifestazione.

Yvan Sagnet, camerunense di 30 anni, quella protesta la guidava. È arrivato in Italia nel 2008, a bordo di un aereo. Aveva vinto una borsa di studio per studiare Ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino. Nel 2011 perse la borsa di studio perché non riuscì a raggiungere la quota degli esami previsti. “Mi mancava un esame” afferma con un sorriso amaro. “Per mantenermi agli studi dovevo lavorare. Nell’estate di quell’anno, tramite il passaparola di un amico, ho saputo della raccolta delle angurie e dei pomodori che si teneva a Nardò. Non ci ho pensato due volte e sono andato a lavorare nei campi”. 

In quelle campagne ha conosciuto le dure condizioni di lavoro, lo sfruttamento, i caporali. Per lui, giovane studente del Politecnico di Torino, tutto questo non era la normalità. Non riusciva a stare buono e zitto, come avrebbero voluto i suoi datori di lavoro. Così, con l’aiuto di altri connazionali, ha organizzato quello che sarebbe diventato il primo sciopero di lavoratori stranieri in Italia. Quei giorni hanno cambiato la sua vita. Il primo periodo è stato molto duro, scandito da pedinamenti e minacce di morte. Ma non ha mai chiesto la scorta. “Non potevo presentarmi davanti ai lavoratori con la scorta. Se vuoi andare nei ghetti delle campagne a diffondere diritti devi mettere da parte la paura. Dovevo scegliere tra la sicurezza e la libertà di movimento. Per il mio lavoro è necessaria la seconda scelta”. Oggi è coordinatore per l’Immigrazione della Flai-Cgil Puglia. Sono cambiati i ruoli ma il suo obiettivo è sempre uno: combattere il lavoro nero in agricoltura. Sagnet pensa con orgoglio ad alcuni risultati ottenuti da quella protesta, nonostante il presente parli ancora di morti e sfruttamento nei campi pugliesi. Nella terra dell’oro rosso poco è cambiato: nell’estate del 2015 sono morti cinque braccianti agricoli. Uno di questi, Mohammed, sudanese di 47 anni, lavorava proprio in una delle ditte imputate nel processo Sabr. Con ritmi di lavoro massacranti, sotto i quaranta gradi di agosto, per qualche decina di euro di guadagno. E senza contratto. Questa volta l’imprenditore Giuseppe Mariano e sua moglie, Rita de Rubertis, dovranno rispondere anche del reato di omicidio colposo. 
Per capire veramente le dinamiche di questo sfruttamento Sagnet non ha dubbi: bisogna analizzare la filiera del pomodoro. "I braccianti agricoli guadagnano in media appena 25 euro per 12 ore di lavoro. Il pomodoro viene venduto a 8 centesimi al chilo: è questo il prezzo del pomodoro quando entra sul mercato. Come si fa a pagare decentemente un lavoratore, a queste condizioni? Dopo gli Stati Uniti e la Cina, l’Italia è il più grande produttore di pomodoro. Il primo in Europa. Spesso la giustificazione che c’è dietro lo sfruttamento è la crisi. Ma questo comparto non ha alibi. Il guadagno è concentrato, non c’è redistribuzione”. 



In Puglia le industrie della trasformazione sono molto presenti. Il foggiano è il primo produttore europeo per il pomodoro da industria. Dei pelati, soprattutto. Lì è insediato un grande gruppo della trasformazione: la Princes. Azienda inglese leader nel settore alimentare internazionale, dalla fine degli anni Ottanta è controllata della Mitsubishi Corporation. 
Lo stabilimento di Foggia si estende per 120.000 metri quadri e lavora 300.000 tonnellate di pomodoro l’anno. Dalla pancia di questo gigante escono i tir che portano i pelati nei supermercati del mondo.  


In Puglia c’è anche Conserve Italia, la cooperativa che rappresenta l’Italia ad Expo nel settore delle conserve ortofrutticole. Ha sedi in Spagna, Francia, Germania, Inghilterra e Polonia. Solo in Italia ha otto stabilimenti, di cui uno a Mesagne, in provincia di Brindisi. L’ultimo fatturato del gruppo ha raggiunto i 993 milioni di euro. Con i suoi marchi di punta, Cirio e Valfrutta, fa arrivare le conserve in tutti i supermercati d’Europa. 



La Flai Cgil ha chiesto a Conserve Italia la lista dei soci dal quale prendono i pomodori. L’azienda non ha dato nessuna informazione al riguardo. Altreconomia ha cercato di sentire Conserve Italia su questo punto, senza ricevere risposte.


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