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Le Province in dissesto per colpa dello Stato

A 400 giorni dalla "legge Delrio", le funzioni delle "nuove" istituzioni locali non sono state né scorporate né trasferite. Nel frattempo però gli enti hanno continuato a garantire servizi essenziali, nonostante i tagli indiscriminati della legge di Stabilità 2015. Risultato: in Lombardia, sette Province -e Milano- sono sull’orlo del crac

Sette province lombarde, insieme alla Città metropolitana di Milano, potrebbero presto dichiarare il dissesto finanziario. È quanto emerge da un incontro tenutosi a Milano il 14 luglio scorso -a un anno e qualche mese dalla legge Delrio-, dove i ragionieri capo di tutte le province lombarde e il presidente dell’Unione Province Lombarde (UPL), Daniele Bosone -presidente di Pavia e senatore Pd-, si sono recati dinanzi alla sezione controllo della Corte dei Conti denunciando appunto il fatto che “le province di Bergamo, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Monza e Brianza, Varese e la Città metropolitana di Milano non sono in condizioni di presentare una proposta di Bilancio in equilibrio, neppure rispetto al solo 2015”.
 
È l’eredità della legge che due anni fa si era proposta di “tagliare” enti considerati inutili, entrando poi in vigore nell’aprile 2014 con il nome di “legge Delrio”, la 56/2014. La copertina del numero di dicembre 2013 di Altreconomia si chiedeva: “Province. Serve davvero abolirle?”. Oggi si tirano le fila: ritardi, confusione normativa e tagli ai trasferimenti -compresi quelli previsti dalla legge di stabilità 2015- stanno pesantemente contraddicendo l’obiettivo dichiarato dal governo guidato da Matteo Renzi, e cioè quello di “ridisegnare confini e competenze dell’amministrazione locale”.
  
Il “cronoprogramma” del riordino delle funzioni -come ha spiegato alla fine di aprile la Corte dei Conti sezione nazionale delle autonomie- non è stato infatti rispettato, con la conseguenza che a 400 giorni dall’entrata in vigore della legge le funzioni non sono state né scorporate né trasferite. Eppure il passaggio si sarebbe dovuto compiere già a tre mesi dall’entrata in vigore della legge intestata all’attuale ministro delle Infrastrutture. Alla mancata riorganizzazione delle funzioni degli “Enti di area vasta” -questo il nome delle “nuove” Province- si sono aggiunti poi i tagli, ingenti, della legge di Stabilità 2015 -chiamati “contributi alla finanza pubblica”-, che ha imposto agli enti provinciali una “riduzione della spesa corrente pari ad 1 miliardo (1.180 milioni) di euro per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017” (dati Corte dei Conti). Cattiva organizzazione e tagli, cui si è aggiunto il ritardo delle Regioni ad approvare le proprie leggi di riordino delle funzioni delegate o trasferite alle Province.
 
“L’onere della spesa che doveva essere trasferito […] -hanno infatti scritto i ragionieri alla Corte- resta ancora a carico delle Province (ed il fenomeno è presumibilmente destinato a protrarsi). Ne consegue che una parte della spesa, soprattutto di quella per il personale, grava su una gestione che, non avrebbe invece dovuto considerarla nel proprio programma finanziario”. Il documento è stato esposto ai magistrati contabili tra gli altri anche da Corrado Conti, ragioniere capo della Provincia di Lecco. 
 
È la prima volta che lo Stato, per mano del Governo, induce al dissesto i propri enti locali. E nel 2016-2017, tutte le province italiane potrebbero trovarsi in questa situazione”, racconta Conti. Un “dissesto” peraltro atipico: “Il testo unico sugli enti locali aveva concepito questo strumento in casi eccezionali di mala gestione finanziaria e non invece, com’è il caso attuale, per condizioni in cui il buco fosse generato da un taglio indiscriminato e pesantissimo da parte centrale”. “Tagli che negli anni sono diventati tecnicamente ‘contributi’ -prosegue Conti- visto che eccedono quanto teoricamente l’amministrazione centrale incassa realmente. Faccio un esempio: la Provincia di lecco nel 2012 riceveva dallo Stato 1,7 milioni di euro. Nel 2015 è stata chiamata a contribuire alla finanza nazionale per 11,5 milioni euro. Com’è possibile stare in piedi?”.

(Dal 2012 al 2015 alle Province è stata chiesta una riduzione di risorse che è passata da 915 milioni a 3,2 miliardi di euro. Dati Unione Province Italiane) 
 
“Il risultato è che i servizi fondamentali non verranno più finanziati. Sto parlando del trasporto pubblico locale, della gestione di istituti scolastici superiori (penso in particolare al riscaldamento), della manutenzione ordinaria degli edifici, delle buche delle strade provinciali, dell’assistenza ai disabili sensoriali e al trasporto dei portatori di handicap che frequentano le scuole superiori”.
 
La situazione è esplosiva ma la Presidenza del Consiglio tace. A maggio, l’Unione delle Province italiane (UPI) ha scritto a Renzi denunciando che “gli Enti di area vasta non potranno essere chiamati a rispondere dell’impossibilità di garantire i livelli essenziali costituzionalmente garantiti con gli attuali servizi ed impegni”. Lo stesso ha fatto il 3 luglio scorso, a proposito di “interventi urgenti in materia di disabilità”. Ma il documento sottoposto alla Corte dei Conti è laconico: “La nota non ha avuto alcun riscontro al momento”. La “seria precarietà” fotografata dalla Corte dei Conti e denunciata dagli enti lombardi resta così sotto traccia: pronta a deflagrare.

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