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Le pensioni toccano il Fondo – Ae 43

Numero 43, ottobre 2003Il sistema pubblico è a corto di risorse e riduce le prestazioni. “Che problema c'è? Basta integrare con la previdenza privata”. Ma ecco i rischi di giocare in Borsa i soldi della vecchiaiaItalia, 2003: un dipendente privato…

Tratto da Altreconomia 43 — Ottobre 2003

Numero 43, ottobre 2003

Il sistema pubblico è a corto di risorse e riduce le prestazioni. “Che problema c'è? Basta integrare con la previdenza privata”. Ma ecco i rischi di giocare in Borsa i soldi della vecchiaia

I
talia, 2003: un dipendente privato che lascia il lavoro a 60 anni, dopo 35 anni di contributi, prende una pensione pari a circa il 67% della suo ultimo stipendio. Dieci anni fa la pensione poteva arrivare anche al 75/80% della retribuzione. Nel 2020 invece ammonterà ad appena il 56%. È il risultato della recente ristrutturazione del sistema pensionistico italiano, culminata nella “riforma Dini”, la legge 335 del 1995.

Una ristrutturazione non certo conclusa, vista la fibrillazione di queste settimane in sede di governo. Le casse pubbliche non ce la fanno a sostenere il costo delle pensioni e quindi occorre ridurre le prestazioni. Accanto a questo è necessario -ripetono governo, Banca d'Italia, Fondo Monetario Internazionale- sviluppare altre forme pensionistiche che permettano di integrare la ridotta pensione del sistema pubblico.

La strada maestra -dicono- è quella dei fondi pensione. Solo che negli Stati Uniti, patria dei fondi pensionistici, si annuncia un buco in 400 miliardi di dollari a fine settembre nei piani pensione delle aziende.

E anche i fondi pensione italiani hanno chiuso il 2002 con rendimenti negativi. C'è da fidarsi di questo “secondo pilastro” pensionistico?

Attualmente nel nostro Paese esistono tre tipi di fondi pensione. I fondi che preesistevano alla riforma Dini, nati presso banche e imprese come casse autonome di previdenza (come il “Fondo pensione complementare per i dirigenti del gruppo Pirelli”), costituiscono tuttora il grosso della previdenza integrativa in Italia: sono 554 con 681 mila iscritti e 29,4 miliardi di euro di risorse accumulate al dicembre 2002. Poi ci sono i 93 fondi pensione “aperti”, con 338 mila aderenti e 1 miliardo e 230 mila euro di risorse, promossi da compagnie assicurative, banche, società di gestione del risparmio e rivolti genericamente al pubblico. Ma la vera novità di questi anni, quella su cui si punta per far decollare davvero questo strumento, sono i fondi pensione negoziali. Si chiamano così perché sono stati avviati a partire da accordi contrattuali tra le parti sociali. Questa scelta, fortemente voluta dai sindacati, ha portato alla costituzione di 37 fondi “chiusi”, nel senso che sono fondi nazionali di categoria o, in qualche caso (come in Trentino), territoriali. La gestione di questi enti è paritetica tra sindacati e imprese. I fondi negoziali raccolgono (al marzo 2003) risorse per 3 miliardi 264 milioni di euro, ma coinvolgono oltre 1 milione di aderenti su un totale potenziale di 11 milioni di lavoratori. Insomma sono considerati il bacino da cui attingere per il prossimo atteso boom dei fondi. Come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, dove la previdenza è soprattutto privata, i volumi amministrati dai fondi pensione si misurano in migliaia di miliardi di dollari e banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio guadagnano alla grande sulle commissioni. !!pagebreak!!

Un fondo pensione non è altro che un fondo comune di investimento, cioè un organismo che raccoglie il risparmio di molti e lo investe nei mercati finanziari. La differenza è che invece di incassare i rendimenti periodicamente, si riceve il capitale rivalutato tutto insieme alla fine dell'età lavorativa, in genere sotto forma di rendita vitalizia. La vera e propria seconda pensione. Se è vero che per chi ha cominciato a lavorare nel 1996 -anno dal quale la riforma Dini si applica integralmente- la copertura previdenziale verso il 2030-2040 si attesterà su meno del 50% dell'ultima retribuzione, per evitare un brusco tracollo del tenore di vita la previdenza integrativa sembra necessaria. Ma quanto coprirebbero i fondi? In realtà per avere l'equivalente di un altro 10-15% dell'ultima retribuzione, in modo da riportare la copertura previdenziale verso il 65%, nei fondi bisogna versare parecchio: l'8-10% dello stipendio lordo per almeno 25-30 anni (i calcoli sono stati fatti dal Censis e dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione).

Attualmente le percentuali di contribuzione ai fondi negoziali si collocano tra il 5 e il 9% della retribuzione lorda. Solo alcuni aderenti quindi stanno accumulando cifre che, a certe condizioni, consentiranno loro di ottenere un'integrazione discreta.

Una parte delle risorse dei fondi italiani vengono da piccole quote contributive (1/2% della retribuzione) versate sia dal datore di lavoro che dal lavoratore.

Con queste non si va lontano. La vera miniera ancora in gran parte da sfruttare è il Trattamento di fine rapporto (Tfr). Il Tfr è quella parte di salario accantonata ogni anno dall'impresa e corrisposta al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro. L'idea è quella di farlo confluire massicciamente nei fondi pensione. Le imprese non sono molto contente della proposta, perché il Tfr è di fatto una risorsa per l'azienda per tutto il tempo in cui non viene erogato. Ma anche i lavoratori devono fare attenzione. Il Tfr infatti viene rivalutato ogni anno sulla base di una formula standard: i tre quarti del tasso di inflazione più l'1,5%. Se l'inflazione è al 2%, il Tfr cresce del 3%, se invece l'inflazione è all'8%, il Trattamento di fine rapporto si rivaluta del 7,5%. Il fondo pensione, dal canto suo, dipende dall'andamento dei mercati finanziari: può crescere molto di più, ma anche molto di meno. Insomma si scambia il certo -anche se non sempre soddisfacente- con l'incerto.

Inoltre: i fondi pensione investono in Borsa. Quindi comprano azioni di aziende più o meno corrette nei confronti degli stessi lavoratori aderenti al fondo, fanno, poco o tanto, speculazione, sono sottoposti all'incertezza dei mercati. “Provate a pensare per un attimo ai vostri soldi, i soldi che ci permetteranno una vecchiaia più tranquilla, e supponiamo che siano utilizzati da multinazionali o fabbriche che danneggiano l'ambiente, sfruttano il lavoro minorile, producono armi o contribuiscono alla deforestazione: vi sentireste ancora tranquilli e sereni sapendo d'aver causato tanti disastri in mezzo mondo?”. Il dilemma era posto dai sindacati metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm di Lucca ai tempi della nascita di Cometa, il maggiore dei fondi pensione italiani. Ora anche la Covip, nella sua relazione annuale, invita i fondi pensione a orientarsi verso l'investimento socialmente responsabile, che appare meno speculativo e quindi meno rischioso. Ma per ora solo il Previambiente, piccolo fondo dei lavoratori dell'igiene ambientale, ha adottato per gli investimenti un indice etico.

Oggi oltre il 70% degli investimenti sono orientati verso le obbligazioni e gli aderenti sono prudenti. Questo però non ha impedito che finora i rendimenti dei fondi pensione negoziali siano stati complessivamente negativi: -3,4% nel 2002, ad esempio. Solo nel primo semestre di quest'anno il rendimento è tornato positivo a +2,3%, sorpassando la rivalutazione del Tfr. Ma negli Stati Uniti, si diceva, va anche peggio, con i piani pensionistici privati a corto di risorse per 400 miliardi di dollari, necessari per mantenere le promesse. Anche la nostra vecchiaia sarà data in pasto alla Borsa?!!pagebreak!!

Previdenza armata
Il più importante azionista della Lockheed, la maggiore azienda militare Usa e mondiale, è la State Street Bank, con il 18,2% delle azioni. Ma la banca di Boston non è altro che il gestore fiduciario dei fondi pensione dei dipendenti della stessa Lockheed e di altri enti. Insomma fa quello per cui è nota in Italia la holding delle attività bancarie e assicurative di Fininvest, in joint venture con Mediolanum. Negli Usa i fondi pensione e i loro gestori sono i principali investitori nei mercati dei capitali

Quote esentasse
Il fondo pensione, nella versione “negoziale” italiana, è un ente finanziario al quale lavoratore e azienda versano un contributo periodico, che viene investito per costruire nel tempo una rendita complementare alla pensione pubblica. Ogni aderente ha il suo conto, cui va il rendimento proporzionato alle quote versate. Giunto in pensione il lavoratore riavrà il denaro versato più i rendimenti maturati, e potrà riceverlo sotto forma di rendita vitalizia o per metà rendita e per metà capitale. I fondi pensione godono di notevoli agevolazioni fiscali: in pratica le quote versate sono esenti dall'Irpef.

In Trentino il fondo integrativo su base regionale
Si chiama Laborfonds, ed è il fondo per la pensione integrativa dei lavoratori dipendenti del Trentino Alto Adige. Al 30 giugno 2003 aveva quasi 64 mila iscritti e 163 milioni di euro di patrimonio. Rispetto agli altri fondi pensione negoziali, ha la particolarità di essere stato creato su base territoriale invece che di categoria. Ci ha messo lo zampino anche la Regione che, in base alle competenze assegnate dallo Statuto di Autonomia, ha supportato la nascita dei fondi pensione tra le parti sociali attraverso la costituzione del Centrum Pensplan, organismo che fornisce servizi tecnico-amministrativi a Laborfonds abbassando i costi di gestione. In questa fase in cui la carica tocca ad un rappresentante sindacale, presidente di Laborfonds è Franco Ischia della Cgil del Trentino.

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