Opinioni
Le menti prigioniere: una patologia
La perdita di senso della realtà ha contagiato molti, e in particolare economisti e politici. Che -a causa di questa "chiusura", che comporta una rappresentazione falsata della realtà, non sono in grado di produrre processi di cambiamento capaci di incidere -positivamente- nella realtà. Il corsivo di Roberto Mancini
La mente chiusa. Non è un caso raro, è un contagio. Di solito nel linguaggio corrente lo si evoca parlando di “autoreferenzialità”, ma è un termine sfocato che va analizzato meglio. Si tratta della patologia più diffusa ed è l’effetto della rottura della sostenibilità antropologica, cioè del venir meno di condizioni adeguate a mantenere e a sviluppare l’umanità di persone, comunità e istituzioni. Infatti non esiste solo la sostenibilità ambientale, bisogna anche considerare che gli esseri umani, quando sono incapsulati in un modello di vita distorto, si corrompono e si alterano.
Il nucleo del contagio è la perdita del senso della realtà, a cui segue la costruzione di una rappresentazione falsata ma presa per vera. L’essenza del fenomeno sta in una sostituzione: il proprio vissuto diventa la verità che misura ogni cosa. I sintomi della patologia sono evidenti un po’ dovunque. Il primo di essi è la disattivazione, da parte di un individuo o di un gruppo, della percezione delle contraddizioni e dei limiti insiti nel proprio modo di vivere e di pensare, a cui fa riscontro invece l’enfasi sulle proprie ragioni e sui risultati veri o presunti che si sono conseguiti. Poi si nota l’estraneità di questi soggetti sia alle relazioni con gli altri, sia ai processi di cambiamento capaci di incidere sulla realtà. Ne derivano sterilità e irresponsabilità: tali soggetti non si fanno carico dei problemi e tanto meno sanno costruire risposte per la loro soluzione. Segnalo anche la tenace incapacità di collaborare e l’indisponibilità a convergere verso mete comuni che richiedono la cooperazione di molte soggettività. Infine è tipico che i soggetti dalla mente chiusa si dichiarino immuni al narcisismo.
Gli esempi di questa patologia sono innumerevoli. Al primo posto metterei gli economisti ortodossi, che ossessivamente continuano a tessere le lodi dei mercati e guardano con disprezzo chi invita al dubbio. Continuo con la gran parte dei politici, fatta salva qualche rara eccezione, tutti presi dai giochi che mettono in piedi per restare nel giro di chi conta. Del caso dei partiti di destra non parlo neppure, la loro chiusura mentale è sin troppo palese. Meglio evidenziare i casi più subdoli. Ricordo anzitutto la deriva del PD, letteralmente disanimato nella stretta tra ortodossia neoliberista, autocelebrazione del capo e opportunismo dei molti che si sono allineati. Ricordo d’altra parte la sinistra cosiddetta radicale, annegata nel settarismo e nella presunzione di centralità dei suoi gruppi dirigenti. È una sinistra che guarda invano a Syriza in Grecia e a Podemos in Spagna, perché da quelle esperienze non sta imparando niente. Una menzione speciale la meritano poi i cattolici infastiditi da papa Francesco, che sperano di poter continuare come hanno sempre fatto. Nel prezioso mondo del volontariato penso, peraltro, a quanti non vogliono neanche scalfire le contraddizioni strutturali che generano l’esclusione sociale. Talvolta pure tra coloro che lavorano per un’economia diversa non c’è immunità al contagio: alcuni si chiudono nei loro spazi rinunciando sia a sviluppare un pensiero di ampio respiro, sia a collegarsi con altre esperienze, sia a impegnarsi politicamente. Così ogni specifica concezione di altreconomia tende a chiudersi nella sua ortodossia. L’effetto globale del contagio si coglie nell’immagine di quelli che, mentre sono in una nave da crociera ad alto rischio di naufragio, si chiudono ciascuno nella propria cabina, gratificandosi nell’immaginarsi la realtà a piacere.
C’è un antidoto a questo male? In effetti esistono esperienze riabilitative. A seguito di eventi di incontro che possono scuotere chi ha la mente prigioniera, oppure a seguito di fallimenti che costringono a rivedere il proprio atteggiamento verso l’esistenza, qualcuno esce dal guscio dell’autocentramento e scopre che fuori ci sono la vita, gli altri, la natura, un senso che ci dà da respirare. La relazione con i bambini, il confronto con i giovani, la cura per chi è fragile o escluso, il silenzio meditativo o la preghiera sincera, l’amicizia con chi non ha potere e con le creature della natura sono esempi di esperienze terapeutiche. Questo male oscuro si può vincere se ci si lascia attrarre dal profondo desiderio di una vita vera. Penso in particolare a chi ricerca di un’economia giusta e armonica con il mondo: alla sorgente di un simile impegno c’è proprio questo desiderio, che rende irriducibile e pur sempre viva l’umanità in ognuno, nonostante i mille autoinganni narcisisti che tentano chiunque. —