Interni / Approfondimento
Le inchieste di Donato
C’è un giornalista che dal 2000 racconta le infiltrazioni in Emilia. Per questo ha perso il lavoro, e oggi guida i bus. Si chiama Donato Ungaro. Nell’estate 2015 la Corte di Cassazione ha riconosciuto come illeggittimo il suo licenziamento
Donato Ungaro è un giornalista professionista che di mestiere guida gli autobus a Bologna. Prima di sostenere l’esame di Stato, faceva il vigile urbano a Brescello -Comune in provincia di Reggio Emilia con poco più di 5.600 abitanti- e collaborava, autorizzato dall’amministrazione comunale, con la Gazzetta di Reggio. Alla cronaca locale preferiva l’inchiesta, che l’aveva portato a scrivere di ‘ndrangheta, droga, atti intimidatori. I tempi in cui Donato Ungaro si accorge che “c’era qualcosa che non funzionava” a Brescello e in Regione oggi appaiono lontani: erano i primi anni Duemila. Nel 2002, però, il sindaco di Brescello, Ermes Coffrini, lo allontana sostenendo che il doppio mestiere (autorizzato) possa portarlo a rivelare “segreti”.
Nell’estate del 2015, la Corte di Cassazione ha bollato definitivamente come illegittimo il licenziamento dell’ex vigile, disponendone il reintegro, il rimborso delle spese e l’indennizzo per gli stipendi mai percepiti. Donato, però, non è contento. “I primi affiliati alla ‘ndrangheta hanno iniziato da piccoli artigiani edili, operando all’interno dell’economia reggiana -racconta Ungaro, che tra le altre cose collabora a titolo gratuito con la testata bolognese Piazza Grande-. Pian piano hanno iniziato a ingrandirsi, allargando il proprio raggio di azione. Prima del mio allontanamento già spuntavano macchine di lusso, e addirittura arrivi trionfali a cavallo nella piazza del centro. Partivano presto da Brescello, caricando operai e andando a Genova o a Cremona o verso Pavia”.
Quella che Ungaro chiama l’“economia con la valigia di cartone” scala in fretta le rampe di scale del riconoscimento sociale, politico e imprenditoriale. Lui se ne accorge, ne scrive (“Anche se all’epoca mi sfuggiva qualcosa”) e paga pegno per aver misurato “frequentazioni imbarazzanti”, tredici anni prima dell’inchiesta “Aemilia” sulla cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone, vedi pag. 19) -il processo a carico di 219 imputati è iniziato il 28 ottobre-. Brescello, comunque, era già stata interessata dall’attenzione degli inquirenti, come l’operazione “Edil-piovra” del 2002 sta a ricordare. Ma con “Aemilia” cambia qualcosa: “È come se tutta la comunità sia stata toccata” ragiona amaro Ungaro. Sintomo ne è la dichiarazione di stima che il primo cittadino di Brescello ha dedicato a Francesco Grande Aracri (a processo) nel 2014 (“uomo composto, educato”). Quel sindaco che di cognome fa Coffrini e di nome Marcello, figlio di quell’Ermes che mise alla porta Donato nel 2002.
“Mi dispiace che a pagare il conto di quella scelta sarà la comunità intera”, racconta Ungaro, che al giornalismo ha dato più di quanto ricevuto. Nessuna redazione ha mai voluto assumerlo -i colleghi vigili nemmeno gli stringono la mano, dice-, mettendolo così oggi nella paradossale condizione di rischiare la cancellazione dal novero dei professionisti perché inattivo. Il giornalismo è la sua vocazione deludente. Ed è per la “paura di una memoria storica”, riflette Donato, che per 13 anni non ha dovuto attendere solo la carta bollata della Cassazione, ma anche il riconoscimento simbolico del valore della propria scelta (“L’ho fatto per i miei figli”).
A Ravenna, a fine settembre, l’associazione culturale “Gruppo Dello Zuccherificio” (http://gruppodellozuccherificio.org) ha assegnato a lui e alla redazione del giornale Piazza Grande di Bologna il premio honoris causa “dedicato ai giornalisti che abbiano illuminato con la loro attività battaglie poco raccontate dai mass media e assenti nell’agenda politica del Paese”. Una soddisfazione inattesa, quella di Donato, che ora gira per le scuole a raccontare la sua storia. —
© Riproduzione riservata