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Le contraddizioni del Sudafrica

A oltre vent’anni dalla fine del regime di segregazione razziale, nel Paese vige una nuova forma di apartheid, fondata sulla ricchezza

Tratto da Altreconomia 178 — Gennaio 2016

“Sono arrivato a Cape Town dal Kenya. Meglio stare in Sudafrica che nel mio Paese”. Hasani non l’ha vissuto l’apartheid, l’epoca della segregazione razziale nei confronti dei neri, e non ha festeggiato nel 1994 il primo presidente di colore, ma oggi vende solo statuette di legno che raffigurano quell’uomo, Nelson Mandela, al mercato artigianale al centro della città. E per decidere il prezzo deve chiedere al “capo”, un sudafricano nero.
Con lui in questi ultimi anni sono “sbarcati” nel Paese arcobaleno migliaia di uomini fuggiti da ogni parte dell’Africa: dal Senegal, dalla Repubblica Centrafricana, dallo Zimbabwe, dal vicino Mozambico. Sono scappati dalle baraccopoli visitate da Papa Francesco nel suo primo viaggio in Africa lo scorso novembre.

Sono arrivati in uno Stato (il più ricco del continente) dove la disoccupazione ha superato il 25% e quella giovanile ha raggiunto il 48%. La terra di Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano che nel 1995 diede vita alla Truth & Reconciliation Commission, oggi è ferita da una nuova forma di apartheid: a dividere la popolazione è la ricchezza non il colore della pelle. Basta attraversare in automobile Johannesburg per comprendere quanto stiamo scrivendo: a Maboneng, nel quartiere trendy della metropoli, incontri giovani neri vestiti all’ultima moda agli angoli delle strade, e ci sono gallerie d’arte moderna, bar e ristoranti eleganti. A pochi chilometri ci sono i sobborghi di Alexandra e Diepskloot dove hanno “casa” migliaia di disperati. A Soweto, dov’è vissuto Nelson Mandela, una strada taglia in due una delle più grandi township del Sudafrica: da una parte le ville di una classe media nera in ascesa; dall’altra le baracche di lamiera di disoccupati e immigrati.

“Sono nato qui e ho visto questo sobborgo cambiare. Nel 1976 -spiega Sindiwe, il nostro autista- questo è stato lo scenario degli scontri tra la Polizia e gli studenti neri, e fino agli anni Novanta si viveva ancora il sistema dell’apartheid. Oggi la vera divisione sta tra chi può permettersi di avere l’acqua potabile e chi non ce l’ha. La situazione è più complicata di quanto si possa pensare guardandolo da fuori: il potere economico è nelle mani dei bianchi mentre quello politico resta appannaggio dei neri, dell’ANC”. Ogni sudafricano ha un sacro rispetto per Mandela, ma la parte più critica della popolazione non si accontenta della politica del nuovo African National Congres che per le strade di Soweto vanta i progressi del sobborgo dipingendo la propaganda sui muri a pochi passi dalle baracche: “1994. Electricity: 5,5 milion households had access to electricity. 2013: more than 11 million households have access to electricity”.
Gli abitanti sembrano aver già voltato le spalle al monumento alle elezioni realizzato nella piazza principale di Soweto. L’arrivo di migranti ha registrato un ritorno alla violenza e alla xenofobia. A denunciare la situazione, all’indomani della visita del Papa, è stato anche l’arcivescovo della città di Durban, Wilfrid Fox Napier: “Molto di quello che ha detto Bergoglio riguarda tutto il nostro continente. In Sudafrica il problema della violenza nei confronti delle popolazioni immigrate non è stato risolto ed è stato nascosto sotto il tappeto, pronto a riesplodere. Non abbiamo notizia di attacchi contro immigrati provenienti da India o Pakistan, che gestiscono attività commerciali, ma abbiamo visto come sono stati colpiti quelli provenienti da altri Paesi africani”. Su una popolazione di 50 milioni di individui si calcola che gli immigrati possano essere circa il 10%, e molti non sono in regola con il permesso di soggiorno.

Un problema importante è rappresentato anche dalla corruzione. A pesare sulla vita quotidiana dei cittadini non sono solo i grandi scandali, che hanno coinvolto anche i massimi livelli della politica, ma un’abitudine all’illecito che ha investito quasi ogni settore: negli ultimi vent’anni, secondo l’Institute of Internal auditors, l’economia sudafricana ha perso settecento miliardi di rand per la corruzione. Lo scorso mese di settembre a Pretoria e a Città del Capo si è svolta una marcia anticorruzione: sindacati, vescovi, sacerdoti, personalità della società civile sono scesi in piazza per dire basta, per fermare questa ingiustizia. Una manifestazione che ha avuto il totale sostegno della Chiesa cattolica, che già nell’ottobre del 2013 aveva dedicato una lettera pastorale alla questione.
Questa situazione non ha però spaventato gli imprenditori italiani che negli ultimi anni hanno investito parecchio in Sudafrica. Quella che viene definita “green economy” sudafricana è controllata da aziende del nostro Paese, che hanno conquistate numerosi appalti.
Enel Green Power, ad esempio, nel 2015 si è aggiudicata due contratti ventennali per la fornitura di energia all’utility sudafricana Eskom, che prevedono lo sviluppo entro il 2018 di due impianti eolici per una capacità totale installata di 280 MW. I due interventi, Soetwater e Garob saranno realizzati nella provincia di Northern Cape in aree con una notevole disponibilità di risorsa eolica, per un investimento complessivo di circa 340 milioni di euro.

Oltre agli imprenditori italiani, a prendere un aereo da Milano o da Roma verso Johannesburg, però, sono anche molti giovani neolaureati: oggi si contano 32mila connazionali e tra questi molti ricercatori italiani, che hanno creato un coordinamento grazie alla collaborazione con il console Alfonso Tagliaferri.

“Negli ultimi anni -racconta Ciro Migliore, storico giornalista della Gazzetta del Sudafrica– sono sempre più quelli che arrivano qui, come feci io tanti anni addietro, per cercare un lavoro”.
La grande scommessa la gioca l’organizzazione non governativa Cesvi (www.cesvi.org) che ha pensato di sviluppare un progetto di ecoturismo interno al Sudafrica, a favore delle comunità locali che vivono nel Parco Transfrontaliero del Gran Limpopo al confine tra Mozambico e Zimbawe. “Abbiamo lavorato -racconta Paolo Caroli della Ong bergamasca- con le autorità del posto e con le comunità, formando dei tour operator privati che propongono mete eco-sostenibili con lodge comunitari all’interno del parco”.
La proposta è rivolta soprattutto al turismo locale, e non ai viaggiatori internazionali che seguono in genere altre rotte. Un investimento in termini di risorse umane che ha permesso ai villaggi di autosostenersi. Una risposta al nuovo apartheid economico: “Le contraddizioni del mondo di oggi -riassume Caroli- sono qui come negli Stati Uniti o in Europa. C’è una storia che si innesta sulla modernità”. —

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