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Interni

Le caserme sul fondo

Le ex strutture militari sono un patrimonio pubblico. La loro “valorizzazione” prevede però resort di lusso o ristoranti. Le alternative ci sarebbero —

Tratto da Altreconomia 159 — Aprile 2014

San Giacomo in Paludo guarda Venezia da lontano. È un isolotto di 12mila metri quadrati, in mezzo alla laguna, lungo il canale attraversato dai vaporetti che collegano la città a Burano. Ci alloggiano i pellegrini, in attesa di un imbarco per la Terra Santa. Oggi potrebbe diventare un hotel, dopo che l’Agenzia del Demanio ha ceduto la proprietà al Comparto Extra del Fondo investimenti per la valorizzazione di Cassa depositi e prestiti Investimenti. Si è chiuso così, a fine 2013, il progetto di riqualificazione e recupero ambientale dell’isola di San Giacomo, che dal 1999 era affidata in concessione all’associazione Verdi ambiente e società (Vas, vasonlus.it).

“Due metri sotto il suolo che calpesti ci sono ancora i resti di un convento del 1.200” spiega Cristina Della Toffola, che con la sua barca ci ha accompagnato sull’isola. Cristina è una delle volontarie dei Vas, che -nel corso degli anni- hanno fornito supporto logistico alle numerose campagne di scavo archeologico realizzate sull’isola: “Furono gli austriaci, nell’Ottocento, ad abbattere le costruzioni che non erano funzionali all’uso militare”. Oggi su San Giacomo ci sono sette edifici, di cui tre ex polveriere, per un totale di 2.400 metri quadrati. Lo spiega la scheda sul sito di Cassa depositi e prestiti Investimenti, la stessa che assume -come ipotesi di valorizzazione- una “struttura turistico-ricettiva”. Nonostante il vincolo storico, quello paesaggistico e di “rischio archeologico”, di cui San Giacomo si fregia dal 1988. “Su nostra richiesta, il Magistrato delle acque di Venezia (www.magisacque.it) ha messo in sicurezza il perimetro dell’isola, realizzando un muro di contenimento. Qui non c’è acqua corrente né luce elettrica, perciò ogni intervento richiede tempo” aggiunge Cristina, mentre attraversiamo San Giacomo per vedere i tre immobili già restaurati dall’associazione. La vegetazione sta prendendo possesso di quelli abbandonati: “Dopo aver ricevuto lo sfratto, non sappiamo più se ‘investire’ sull’isola. Avevamo avanzato una richiesta di concessione per 60 anni: solo così avremmo potuto ricevere i finanziamenti per completare gli interventi” spiega Cristina. Sono anatre volpoche quelle che si levano in volo quando ci avviciniamo. Depositano le uova sul prato di fronte a uno degli ex depositi di munizioni: “È tempo di mettere paletti” spiega Cristina. Lei intende quelli necessari a segnalare -sull’isola- l’area non calpestabile, ma è una metafora che può essere calata sull’azione del Fondo investimenti per la valorizzazione (FIV): a fine dicembre, con un investimento di 320 milioni di euro, ha concluso un’“Operazione straordinaria di acquisizione di immobili pubblici”. Dall’Agenzia del Demanio ha acquisito 33 asset, 22 dei quali sono ex strutture militari.

Peschiera sul mercato.
Tre sono quelle che compongono il perimetro della città-fortezza di Peschiera sul Garda (Verona), la caserme XXX maggio e La Rocca e il Padiglione degli ufficiali.
“Sono tre monumenti nazionali -spiega l’architetto Oscar Cofani, presidente del Centro di documentazione storica della Fortezza di Peschiera e del suo territorio, nato nel 1984-. Cederli equivale a vendere il Colosseo”, come documenta -tra l’altro- un parere del 2006 dell’Ufficio legislativo del ministero dei Beni culturali, secondo cui “il bene non può essere alienato [dall’Agenzia del Demanio] se non ad altro ente titolare di demanio”.
Sulla facciata del Padiglione un cartello in tre lingue affisso dal Comune, spiega che “questo edificio asburgico (1856) non è di proprietà del Comune di Peschiera del Garda, ma dello Stato italiano, al quale competono la custodia, la manutenzione e la cura”. Dal 2001 -spiega Cofani- “era presente un vincolo totale, che non riguardava i singoli immobili ma l’intera piazzaforte di Peschiera”. Parla al passato, Cofani, perché, come spiega il figlio Marco, dottore di ricerca in Conservazione dei beni architettonici al Politecnico di Milano, “il 19 dicembre 2013 il vincolo è stato declassato”. Nemmeno dieci giorni dopo, i tre beni erano passati di mano, nel pacchetto “affidato” al Fondo investimenti per la valorizzazione. Il 29 gennaio 2014 il Centro di documentazione ha presentato ricorso al ministero dei Beni culturali, mentre il Comune -spiega Marco Cofani- “ha rinunciato al ricorso al Tar contro la vendita dell’immobile”.
Ciò che potrebbe accadere nei prossimi anni è presto detto: “la Caserma XXX maggio, cioè l’Ospedale d’armata asburgico sarà trasformato in albergo di lusso, con tanto di centro benessere e approdo privato delle imbarcazioni lungo uno dei canali del Mincio che circondano la fortezza -spiega Marco Cofani; il Padiglione degli Ufficiali, luogo di residenza degli ufficiali austriaci e delle loro famiglie, adagiato sulle rive del Canale di Mezzo, sarà invece destinato ad attività commerciali e residenze di lusso; la caserma ‘la Rocca’, costituita da due edifici ottocenteschi -fra i quali uno di straordinaria qualità architettonica e costruttiva- diverrà sede di un residence, di ristoranti, bar e pizzerie e, in piccola percentuale, di spazi ad uso pubblico”. Resteranno pubbliche solo le strutture tardo romane e scaligere, un tempo parte dell’antica Rocca e dal Cinquecento racchiuse all’interno del bastione veneziano.

Camminando tra la Caserma “la Rocca” e il Padiglione degli Ufficiali, c’è un cantiere abbandonato: “Era una scuola, avrebbe dovuto diventare un albergo affacciato sul Canale di Mezzo” racconta Marco Cofani.
Lo scheletro è in vendita. Il cartello è in inglese e in cirillico.

La superficie calpestabile dei tre immobili acquistati dal fondo di Cdp è di 35mila metri quadrati, cui vanno aggiunti di 60mila metri quadrati di aree scoperte, “compresi i bastioni che collegano la XXX maggio alla Rocca -aggiunge Cofani-: così ci giochiamo l’idea di un parco delle mura, perché il verde è proprietà privata”. Secondo il Piano d’area Garda-Baldo, adottato dalla giunta regionale nel 2010, Peschiera avrebbe dovuto diventare invce “la città della cultura, della storia e delle relazioni”.
A febbraio 2014, la fortezza di Peschiera del Garda è entrata ufficialmente nella lista dei siti che potrebbe diventare patrimonio dell’umanità Unesco (“Tentative List”), nell’ambito della candidatura -seriale e plurinazionale- delle “opere di difesa veneziane tra XV e XVII nel Mediterraneo orientale”. “Oltre a Peschiera ci sono Bergamo, che è capofila, Venezia, Palmanova in Friuli, e poi alcune città della ex Jugoslavia -dice Oscar Cofani-: per me, però, tutto questo è un paradosso. I monumenti che ‘giustificano’ la candidatura sono privati”.

L’Unesco tutela anche la  Laguna di Venezia, dov’è in corso d’istituzione il Parco regionale di interesse locale della Laguna Nord di Venezia. L’8 marzo 2013 la Giunta del Comune di Venezia ha approvato la delibera, che però non è ancora passata in consiglio comunale.
Secondo i Vas, che l’hanno gestito per 15 anni, l’isolotto di San Giacomo in Paludo -venduto dal Demanio a fine dicembre 2013- avrebbe potuto essere la porta del parco, capace di valorizzare “un ecosistema unico al mondo”, anche attraverso “manutenzione e restauro di tutti i tesori che la città e la sua laguna contengono”, come scrive Edoardo Salzano in un librino di 36 pagine (“La Laguna di Venezia”, Corte del Fontego editore, 3 euro) che spiega perché quest’area andrebbe tutelata e non valorizzata.

L’Agenzia del Demanio, invece, ha appena messo in vendita un altro pezzo della Laguna di Venezia: a metà marzo, a margine della partecipazione al Mipim di Cannes, una delle maggiori fiere mondiale del real estate, è stato pubblicato il bando che apre un’asta on line per l’acquisizione dell’isola di Poveglia a Venezia, “per la quale -spiega un comunicato stampa del Demanio- è prevista la cessione della proprietà superficiaria per 99 anni”. L’isola è sei volte più grande di San Giacomo in Paludo, ed è stata abitata per la prima volta nel 421. Gli edifici occupano circa 5mila metri quadrati. Possono diventare un albergo. Avete tempo fino al 6 maggio per partecipare. L’offerta è libera. —

Riconversioni urbane
La proprietà pubblica dell’ex Caserma Salsa, a Treviso, si è “salvata”: il Fondo investimenti per la valorizzazione ha “valutato” l’immobile ma poi non l’ha acquisito, perché il Comune non ha ancora definito la destinazione urbanistica dell’area, che il Piano di assetto del territorio (PAT) riconosce tra le “aree strategiche”, di cui è possibile una trasformazione. Il collettivo Ztl Wake Up, che a novembre ha occupato lo spazio, ha promosso la campagna “Limite valicabile”, per fare dell’ex caserma un bene comune. Quella trevigiana è una delle storie raccolte nel dossier “Riconversioni urbane”, a cura del Municipio dei beni comuni che a Pisa, a metà febbraio, ha occupato l’ex Distretto militare di via Giordano Bruno 42, diventato “Distretto 42” (inventati.org/rebeldia).

Gli attivisti pisani a fine febbraio sono stati ricevuti a Roma dai dirigenti dell’Agenzia del Demanio, insieme ad alcuni rappresentanti della rete romana “Patrimonio comune” (asud.net/patrimonio-comune),  campagna di mobilitazione per il riutilizzo degli spazi in dismissione o abbandonati a Roma -tra cui una quindicina tra caserme e forti militari-. “Stiamo predisponendo una delibera d’iniziativa popolare che riguarda sia le proprietà pubbliche sia quelle private” spiega Marica Di Pierri di A Sud. Sul sito, una mappa degli spazi già recuperati (a uso sociale, culturale e abitativo).

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