La popolazione carceraria diminuisce rispetto al picco del 2010, 52.754 persone contro oltre 68mila. Ma non è sufficiente: secondo l’associazione Antigone, le misure alternative sono scarsamente applicate, la legislazione sulle droghe "pesa" ancora (18.312 detenuti)e da 40 anni manca un ordinamento penitenziario sui minori. Le cifre dal "Pre-rapporto sulle condizioni di detenzione"
Le condizioni di vita nelle carceri italiane migliorano. Ma il sistema penitenziario attende ancora una riforma radicale. Si potrebbe riassumere così il “Pre-rapporto sulle condizioni di detenzione”, presentato a Roma il 30 luglio dall’associazione Antigone, frutto anche delle visite effettuate in questi primi mesi dell’anno presso 40 strutture di pena.
Un dato su tutti è l’emblema della (tiepida) tendenza positiva: la diminuzione della popolazione carceraria. “Le riforme messe in campo a partire dal 2012 -sostiene Antigone- hanno prodotto finalmente una situazione di minore affollamento”. Dai 68.258 ristretti del 2010 -il picco che, come ricorda l’associazione, “ci è valso la condanna della Corte europea nel 2013”-, si è passati infatti a 52.754 persone -di cui 17.207 stranieri, il 32,5%, e 2.262 donne-, a fronte comunque di 49.552 posti regolamentari. Il che significa che, ancora oggi, 3.232 detenuti sono costretti ad occupare spazi ricavati e non regolamentari.
Analizzando la composizione della popolazione detenuta, poi, è possibile misurare il calo di coloro che stanno in carcere in qualità di imputati, attendendo quindi un processo e una sentenza definitiva. Nel 2015 è il 33,8% del totale, un ristretto su tre. Un dato ancora “troppo alto” per Antigone ma che comunque è fortemente diminuito dal 2010, quand’era stabilmente oltre la soglia del 43%. Salgono gli ergastolani, 1.603, mentre la legislazione sulle droghe -nonostante la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge “Fini-Giovanardi” nel febbraio 2014- continua a produrre i suoi effetti detentivi a carico di 18.312 persone.
Le carceri italiane offrono poche alternative: 19.130 detenuti condannati a meno di 3 anni di reclusione, infatti, non possono -per legge o per disposizione del magistrato di sorveglianza- accedere alle misure alternative. Poco più di un quarto di chi sta in carcere lavora e i corsi di formazione portati a termine nel secondo semestre del 2014 (solo 157) sono numericamente ben distanti da quelli registrati nello stesso periodo del 2010 (quand’erano 228). Dei 6.011 progetti di lavoro di pubblica utilità ben 5.700 riguardavano persone coinvolte in violazioni del codice della strada e solo 311 per altre tipologie di reato.
C’è un problema di dignità, secondo Antigone. Al netto dei tanti casi positivi censiti, l’associazione torna a denunciare le condizioni del carcere di Salerno, dove il tasso di affollamento è superiore al 150%, o dell’istituto di Tempio Pausania, dove mancano “beni essenziali” come l’acqua corrente potabile. Al Pagliarelli di Palermo pare sia obbligatoria la manica lunga sino all’arrivo dell’estate, a differenza del caso “virtuoso” di Larino (Campobasso), dove una sezione in costruzione è lasciata all’inventiva personalizzante dei detenuti.
Capita poi che a Sassari Bancali non ci sia traccia di convenzioni con gli istituti superiori, costringendo così i ristretti a chiedere il trasferimento ad Alghero, dove la casa di reclusione presente ha sottoscritto un accordo con l’istituto alberghiero e la facoltà di Agraria. Nel 2014, i corsi scolastici attivati sarebbero stati 1.141, con 16.698 iscritti (promossi in 9.280). Bassissimo il dato degli iscritti a corsi universitari (413 al 31 dicembre 2014), che hanno visto laurearsi 72 persone.
Al capitolo “diritti dei minori” -sono 300 i ristretti nelle carceri minorili italiane-, poi, Antigone riconosce al sistema un carattere “virtuoso”, salvo poi ricordare che “da 40 anni il legislatore non ha ancora approvato un ordinamento penitenziario apposito per i minori, come la legge del 1975 prevedeva”.
Ma il lieve miglioramento delle condizioni di vita non può, secondo Antigone, fermare la necessaria riscrittura del sistema delle pene. Per questo l’associazione presieduta da Patrizio Gonnella ha elencato 20 punti di riforma. Dal diritto alla salute a quello del lavoro (“il lavoro volontario non deve sostituire il lavoro retribuito per conto dell’amministrazione o costituire giudizio da cui far dipendere la concessione di misure alternative o benefici di legge”), fino a quello della rappresentanza e del diritto di parola (com’è “prevedere l’accesso alle nuove tecnologie, tanto per mantenere e solidificare i contatti familiari -anche attraverso l’utilizzo della posta elettronica- quanto come strumento di studio, di informazione e di conoscenza della realtà esterna” o predisporre “spazi di autogestione”).
Esempio virtuoso a tal proposito sarebbe il caso di Grendon, in Inghilterra. Lì “funziona come una ’comunità democratica’ -spiega Antigone- dove tutti i detenuti, che sono chiamati residenti, hanno diritto di voto su molti aspetti della vita carceraria. Durante gli incontri del lunedì e del venerdì essi possono votare per eleggere un presidente e un vicepresidente, che sono entrambi detenuti, e per modificare la costituzione del carcere tranne che nelle regole che vietano le droghe, la violenza e il sesso. Anche la vita in carcere è un importante tema degli incontri: ad esempio, i detenuti votano per decidere quali detenuti svolgono lavoro retribuito, o se un residente deve lasciare la comunità. La comunità può inoltre ordinare sanzioni quando le regole della comunità stessa non vengono rispettate. Ogni sei mesi si svolgono giornate familiari. I residenti possono trascorrere una giornata intera (dalle 10 alle 16) con la propria famiglia. L’approccio di Grendon ha risultati sorprendenti: migliora la qualità della vita dei residenti, riduce il tasso di violenza e gli episodi di autolesionismo”.
Il sesto punto riguarda “I diritti religiosi” -rispetto ai quali Antigone denuncia “le difficoltà di accesso giustificate con presunti motivi di sicurezza che ultimamente stanno riscontrando in particolare gli Imam”- e il ventesimo lo strumento delle “liste d’attesa”, utile per Antigone “a evitare che il sovraffollamento determini compressioni della dignità umana che deve essere sempre anteposta al diritto di punire”. “Qualora non sia possibile l’esecuzione della sentenza di un condannato proveniente dallo stato d libertà nell’istituto a tal fine individuato e non sia possibile individuarne altro idoneo che non contraddica il principio di territorializzazione della pena […] l’ordine di esecuzione della pena si tramuta in obbligo di permanenza presso il domicilio o altro luogo da lui indicato, con relative eventuali prescrizioni stabilite dal giudice responsabile dell’esecuzione”. In Norvegia, dove il modello è stato sperimentato, gli esiti sono stati positivi.
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