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Finanza / Varie

Le BCC e la qualità del credito

Le banche di credito cooperativo sono chiamate a "ristrutturare" un volume di crediti inferiore alle grandi banche quotate in Borsa, lo 0,4% del totale degli impieghi contro lo 0,8%. È inferiore, cioè, il numero di debitori non in grado di restituire il dovuto. Ciò si deve a un solido legame con il territorio, e a un sostegno ponderato all’economia reale. Intervista con Sergio Gatti, direttore di Federcasse

(L’approfondimento di Ae, "Ristrutturare per non fallire", è sul numero di 162. Cercalo in bottega o acquistalo sul nostro sito.)

Tratto da Altreconomia 162 — Luglio/Agosto 2014

Sono tanti gli indicatori di una crisi del sistema bancario, ma tra questi ce n’è uno che vede -in parte- gli istituti di credito come “corresponsabili”. È un dato che a bilancio va sotto il nome di “crediti ristrutturati”, e che evidenzia rapporti con soggetti economici non in grado di restituire il prestito accordato nei tempi e nelle forme stabilite, rendono necessaria una nuova negoziazione dello stesso. A fine 2013 valgono oltre 19 miliardi di euro, e il 60 per cento del totale -come spieghiamo nell’inchiesta “Ristrutturare per non fallire” su Altreconomia 162– riguarda meno di 300 controparti. È esemplare, in tal senso, la vicenda del debito Sorgenia, che sta vedendo in questi giorni le principali banche creditrici -da Mps a BPM- diventare azioniste della società, al posto di CIR e Verbund.
Le situazioni più critiche riguardano i grandi istituti di credito, mentre le banche di credito cooperativo soffrono meno -probabilmente per scelte più ponderate del proprio management- il problema dei “crediti ristrutturati”. Per questo, abbiamo intervistato Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse (l’associazione nazionale delle BCC, 385 banche con 4.450 agenzie).    

Quali sono i settori economici più interessati dall’esigenza di ristrutturare crediti erogati dalle banche del sistema del credito cooperativo? Come si è evoluta la dinamica delle "ristrutturazioni", e come la giudica, negli anni della crisi?
La crisi dei debiti sovrani, a partire dall’estate del 2011, ha avuto come conseguenza una forte contrazione della liquidità sui mercati e l’incremento del costo del funding per gli operatori bancari. Nel 2012, invece, sono emerse le difficoltà legate alla gestione caratteristica delle banche, ed in particolare, il crescente peggioramento della qualità del credito.
Come per il resto dell’industria bancaria, anche per banche mutualistiche come le BCC prosegue la crescita dei crediti ristrutturati, pur se attenuata rispetto ai mesi precedenti. Con riguardo ai settori più coinvolti in questo segmento si registra un’incidenza maggiore per il settore delle “imprese non finanziarie” che a fine 2013 valgono – rispetto al totale dei crediti ristrutturati – l’ 85% per le BCC e il 94% per le altre banche.
Questo settore comprende le imprese che producono beni e servizi non finanziari che sono destinati alla vendita, ovvero società di capitali, cooperative, consorzi di imprese. Per quanto riguarda invece le famiglie, sempre alla fine del 2013 i crediti ristrutturati incidevano per le BCC per il 5,8% del totale dei ristrutturati, contro il 2,2% delle altre banche. Anche questo direi che è un segno della tipicità del ruolo del credito mutualistico e di territorio, che dallo scoppio della crisi hanno convintamente mantenuto, anche a costo di pesanti sacrifici, il senso del proprio ruolo anticiclico e di banche di prossimità.

Quale è l’entità media dei "crediti" che le BCC si sono trovate a dover ristrutturare negli ultimi anni?
A fine 2013 l’ammontare dei crediti ristrutturati  delle BCC è di circa 480 milioni di euro, vale a dire una quota dello 0,4% del totale degli impieghi. Per i primi cinque gruppi lo stesso dato evidenziava 14 miliardi di crediti ristrutturati, circa l’0,8% del totale degli impieghi complessivi. Vorrei ricordare che le BCC – oggi 385 banche con oltre 4.450 agenzie, vale a dire il 14% degli sportelli bancari italiani – erogano all’economia reale oltre 136 miliardi di finanziamenti, di cui 88,8 miliardi alle imprese.
A livello di segmentazione, gli impieghi erogati dalle BCC italiane rappresentano il 22,8% del totale dei crediti alle imprese artigiane, oltre il 18% alle imprese agricole, il 12,8% del totale dei crediti alle Istituzioni senza scopo di lucro (Terzo Settore): si tratta di sostegno reale all’economia reale, quella che crea (e difende) reddito e posti di lavoro. È chiaro che a fronte di una crisi di trasformazione lunga, profonda, intensa e dai tratti tipici della recessione, la banca mutualistica – che è “di proprietà” e al servizio dell’economia reale – ne possa risentire. 
Questa lunghissima stagione di difficoltà dell’economia non scalfisce comunque la solidità patrimoniale delle BCC, che oggi è pari a 20 miliardi di euro. Il Core Tier 1 complessivo delle BCC supera il 14%, vale a dire a un livello ben superiore rispetto a quello previsto dalle nuove regole di Basilea sui coefficienti patrimoniali delle banche europee. Dallo scoppio della crisi sono stati siglati centinaia di accordi locali che hanno visto le BCC attive per anticipare la cassa integrazione guadagni ai lavoratori di aziende in crisi, intese con molte Diocesi e Caritas diocesane per rilevanti iniziative di microcredito, accordi con le associazioni di impresa per la moratoria di debiti vantati nei confronti delle stesse BCC.
In particolare per il microcredito, solo nel 2013 le BCC hanno concesso oltre 37  milioni di euro di piccoli prestiti a famiglie ed imprenditori, in molti casi essenziali ad evitare il rischio di sovra-indebitamento, anticamera dell’usura.
Infine, vorrei ricordare anche l’attenzione specifica ai giovani: con il progetto “Buona Impresa” abbiamo sostenuto nell’ultimo anno l’avvio di oltre 2.500  imprese gestite da under 35, di cui oltre 1000 start up, con 64  milioni di finanziamento.

Contrariamente alle affermazioni del governatore di Banca d’Italia, pensa che le caratteristiche (controllo, mutualismo) del credito cooperativo abbiano reso questi istituti di credito, che pure sono vere e proprie "banche del territorio", meno inclini a garantire finanziamenti a soggetti potenzialmente poco solvibili rispetto alle banche tradizionali?
Dalle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia emerge chiaramente la preoccupazione per la mancanza del credito alle imprese piccole e medie. In particolare, non per quelle fuori mercato, ma aziende vive che, osserva il Governatore, seppur dotate di favorevoli opportunità di crescita, hanno difficoltà a reperire finanziamenti perché prive di accesso diretto al mercato dei capitali. In ciò – per Visco – fanno eccezione le banche “medie e piccole”, il cui forte legame con il territorio di riferimento rappresenta “una fonte di stabilità che si riverbera a beneficio dell’economia locale”. Aggiungo inoltre come nei singoli segmenti, la percentuale delle sofferenze registrate dalle BCC è in genere inferiore alla media dell’industria bancaria.

Le "ristrutturazioni" sono solo una parte dei crediti deteriorati, ma possono rappresentare, più delle "sofferenze", una spia di un legame perverso tra determinati poteri economici ed istituti di credito?
Se lei parla con qualche direttore di BCC o anche di agenzia di BCC, potrà ascoltare storie di persone e di nuclei familiari che per ragioni oggettive sono diventate da un giorno all’altro incapaci di onorare le rate di un mutuo con pienezza e puntualità.
O di imprenditori che per la cancellazione di una serie di ordini hanno dovuto interrompere investimenti in beni strumentali. Ristrutturare i crediti per le banche di prossimità – come i dati che abbiamo visto sopra – è andare incontro alle difficoltà di persone, famiglie, imprese. Se non lo fanno le banche che sono espressione e di proprietà di chi vive e opera in un territorio chi lo può fare? E poiché le BCC debbono erogare il credito almeno per il 95% a soggetti del territorio come possono non interessarsi al futuro e alle prospettive di famiglie e imprese del loro territorio? Il lavoro si crea, si mantiene, si difende nei territori. Non altrove.
Lo scorso 6 maggio poi la Banca d’Italia ha emanato le nuove “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche e dei gruppi bancari”. Una normativa che, definendo compiutamente gli assetti di governance delle banche, ispirati a criteri di trasparenza ed efficienza, intende anche contrastare quelle che lei definisce “legami perversi” che talvolta si sviluppano indipendentemente dal radicamento territoriale, come purtroppo le cronache ci raccontano.
L’adozione di corretti assetti di governance rappresenta un principio di assoluto rilievo anche per il Credito Cooperativo. Lo riprova il fatto che già nel 2011 Federcasse aveva avviato e concluso, al termine di un costruttivo confronto con la Banca d’Italia, una profonda riforma dello statuto tipo delle BCC, che prevedeva, in anticipo anche rispetto al green paper della Commissione europea, l’introduzione volontaria di una serie di strumenti per contrastare possibili fenomeni di cattivo governo di impresa e collegamenti poco virtuosi con il territorio. Si è trattato, nei fatti, di una “autoriforma volontaria”  che ha per certi versi anticipato le ultime indicazioni di via Nazionale.
È importante guardare ai numeri e ai trend nel lungo periodo di chi fa banca non certo per massimizzare e distribuire profitto: negli ultimi venti anni ad esempio la quota media delle BCC sul totale degli impieghi bancari è raddoppiata, passando dal 3,4 al 7,1 per cento, mentre quella sulla raccolta è passata dal 6 all’ 8 per cento. E questo ha significato. Nel concreto, un contributo essenziale alla tenuta del sistema Paese.

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