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Le banche e l’Euribor: gli effetti del cartello sugli interessi dei mutui
Dal settembre 2008, quando è fallita la banca d’affari Lehman Brothers, il tasso -l’Euro InterBank Offered Rate- sarebbe stato manipolato grazie a un accordo tra importanti istituti di credito. Coinvolta anche Société Générale, oggi presieduta dall’italiano Lorenzo Bini Smaghi. Le ricadute sul sistema bancario italiano
Ci sono segni meno che fanno bene al portafoglio. Per molti italiani, tutti quelli che intorno alla metà degli anni Duemila hanno contratto un mutuo per l’acquisto di un immobile, la discesa dell’Euribor rappresenta un “regalo”: questo tasso influenza infatti il calcolo dell’interesse variabile che pagano ogni mese alle banche che hanno erogato quel prestito. Il 10 marzo 2015 l’Euribor “a 3 mesi” (ovvero il tasso relativo a un prestito in scadenza dopo tre mesi) era negativo, fissato a -0,229%. Nell’ottobre del 2008, lo stesso valore era al 5,1%. A pagare il prezzo dell’Euribor sottozero sono le banche, ma c’è un paradosso: la scelta di portarlo così in basso l’hanno presa loro stesse, o meglio un loro gruppo selezionato, il “panel Euribor”. Accanto al nome avremmo infatti dovuto indicare la ®, perché Euribor è in realtà un marchio registrato, nato alla fine degli anni Novanta nell’ambito dell’European Banking Federation, dal 1960 “la voce del mondo bancario europeo”, www.ebf-fbe.eu.
Il nome è un acronimo: l’Euro InterBank Offered Rate rappresenta il tasso a cui le banche sarebbero disposte a prestarsi denaro tra loro. Viene comunicato ogni giorno, ma è un dato virtuale: rappresenta, infatti, solo un’intenzione, e non è collegato a contratti reali di prestito interbancario. Albino Zabbialini è un commercialista bresciano, e per un triennio (fino al 2014) ha guidato la Banca di credito cooperativo (BCC) di Bedizzole Turano Valvestino, dopo aver presieduto tra il 1993 e il 2011 gli organi di controllo dello stesso istituto. Oltre duemila soci, 19 sportelli, circa 120 dipendenti, la BCC ha visto i proprio conti peggiorare nel periodo 2008-2011, quando l’utile d’esercizio s’è contratto da 4,8 milioni a 42mila euro. Secondo Zabbialini, ciò è dovuto -in larga parte- all’Euribor. Che a partire da una data “fatidica”, quel 15 settembre del 2008 che vede la banca d’affari statunitense Lehman Brothers dichiarare fallimento, sarebbe stato manipolato al ribasso grazie a un accordo tra le banche che compongono il panel, cioè alcuni tra i più grandi istituti di credito della “zona Euro”: nel 2013 erano 39; in precedenza, una quarantina; oggi sono appena 23, tre dei quali italiani –Intesa Sanpaolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena-. In nove mesi, dopo l’ottobre del 2008, l’Euribor perde oltre 4 punti percentuali, e scende sotto l’1 per cento. “Ciò significa -spiega Zabbialini-, che è andato sotto il costo medio della raccolta”, che è il tasso d’interesse che gli istituti di credito pagavano in quel momento ai depositanti, a coloro che detenevano un conto corrente. È logica quella che muove il commercialista bresciano: per quale motivo, nell’economia reale, dovrei essere disposto a prestare del denaro -offrendo prestiti veloci, e impiegando così la mia liquidità- a un altro istituto di credito, chiedendo in cambio una remunerazione inferiore rispetto a quella che dovrò riconoscere a chi ha prestato quei soldi a me, e cioè il correntista? Tradotto significa che se qualcuno mi presta mille euro, sarei quanto meno incauto se scegliessi di “investirli” sapendo di guadagnare appena 10, quando a fine anno dovrò restituirne 1.015.
Per capire qual è il motivo che porta alcune banche a comportarsi in modo apparentemente irrazionale manca un elemento: “Tra le maggiori banche, che hanno il portafoglio ‘gonfio’ di strumenti finanziari, come i derivati, ce ne sono molte che sono ‘pagatrici nette’ dell’Euribor” spiega l’avvocato Marco Rossi, presidente del Comitato scientifico di Alma Iura (www.almaiura.it), un centro per la formazione e gli studi giuridici bancari e finanziari con sede a Verona, e co-autore con Maddalena Mandarà di un saggio sull’ipotesi di manipolazione al ribasso dell’Euribor. “Le banche piccole -continua- sono invece normalmente ‘ricevitrici nette’, perché vedono nell’erogazione di mutui, che in molti casi dipendono direttamente dalla quotazione dall’Euribor, una della loro principali attività”. Guardiamo alla BCC di Bedizzole, quella presieduta fino al 2014 da Zabbialini: nel periodo che va dal 2009 al primo trimestre del 2012 ha in essere mutui per circa 300 milioni di euro, e il commercialista ha stimato un danno tra i 13 e i 20 milioni di euro. Lo ha fatto utilizzando alcune stime contenute nel saggio di Mandarà e Rossi, che evidenziano una differenza media dell’1% tra la quotazione dell’Euribor nel periodo considerato e quella che avrebbe dovuto essere. Lo studio è stato pubblicato nel 2013 da “Banca Impresa Società”, una rivista scientifica edita da Il Mulino. Il modello utilizzato nella ricerca di Mandarà e Rossi trae spunto da analisi già realizzate -e pubblicate- negli Stati Uniti e relativi al tasso Libor, il London Interbank Offered Rate, “gemello” dell’Euribor. “È possibile scomporre il tasso interbancario in una quota risk free e una che tiene conto del rischio implicito legato alla salute della banca -racconta l’avvocato Rossi-: se lei presta del denaro a me, ed io sono ‘rischioso’, lei si farà pagare di più. Questo valore può essere misurato, guardando al differenziale relativo ai credit default swap di ogni singola banca del panel, che è ciò che abbiamo fatto. Scoprendo così che fino al 2008 l’evoluzione del tasso Euribor e la ‘curva di rischio’ è sovrapponibile, mentre le cose cambiano diametralmente dopo il break strutturale a seguito del fallimento di Lehman Brothers. Da lì in poi, l’Euribor effettivo è più basso, e le due curve si divaricano”. Per dirla con le parole dello studio, “[le banche] avrebbero scientemente comunicato al mercato un tasso artificialmente più basso di quello che avrebbe dovuto essere, con l’intento di apparire in migliori condizioni finanziarie rispetto a quelle reali”. Rossi non nasconde che l’ipotesi iniziale di Alma Iura fosse quella di dimostrare che l’Euribor fosse stato manipolato ma in su. Negli stessi mesi in cui veniva avviato lo studio, nell’ottobre del 2011, anche la Commissione europea, e in particolare la DG Competition, quella che si occupa di concorrenza, iniziava un’indagine a partire dall’ipotesi di un cartello, un accordo illegale tra le banche in grado di modificare l’andamento dell’Euribor.
Il 4 dicembre 2013 è arrivata anche la decisione della Commissione, che evidenzia l’effettiva esistenza di un cartello e che questa ha coinvolto quattro istituti di credito tra quelli che fanno parte del panel, e cioè Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Société Générale, quest’ultima oggi presieduta dall’italiano Lorenzo Bini Smaghi. Le ultime tre nell’elenco sono state multate, per un cifra che complessivamente supera il miliardo di euro, mentre Barclays ha ricevuto uno sconto del 100% “per aver rivelato l’esistenza del cartello”, spiega un comunicato stampa della Commissione europea. Joaquín Almunia, vice-presidente della Commissione europea, commenta così la sentenza: “È scioccante […] aver provato una collusione tra banche che dovrebbero competere l’una con l’altra”; contemporaneamente, si avviò -sempre in seno alla Commissione- un dibattito sulla modifica delle procedure di calcolo dell’Euribor, ma è stato abbandonato. E dopo due anni, la sentenza in merito al “cartello” non è ancora stata resa pubblica. Una lettura integrale aiuterebbe a capire la bontà dell’ipotesi di Mandarà e Rossi, oggi che il “cartello” è accertato. Che la manipolazione possa essere avvenuta al ribasso sarebbe provato anche da alcuni verbali del comitato di direzione per l’Euribor (l’Italia è rappresentata da Alberto Covin, capo della divisione Short Term Funding di Unicredit, ndr). Tra le protagoniste dell’accordo, due -Barclays e Deutsche Bank- fanno ancora parte del panel Euribor, e nel frattempo in Inghilterra è iniziato -a gennaio 2016- un procedimento giudiziario contro 11 impiegati dei due istituti di credito, a seguito di un’inchiesta del Serious Fraud Office. In Italia, invece, l’Associazione bancaria italiana (ABI), che rappresenta il nostro Paese all’interno dell’European Banking Federation, non ha nemmeno avviato una valutazione del possibile danno subito dalle associate.
Secondo Zabbialini, potrebbe essere di 1,5 miliardi di euro per le BCC, e di 19 miliardi per tutto il sistema bancario italiano.
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