Economia / Varie
Le anime del crowdfunding
Dieci anni fa nasceva un “modello” per finanziare in modo diffuso progetti culturali autoprodotti, i cui confini si sono allargati dalla donazione, con o senza ricompensa, all’equity, la raccolta di capitale. Oggi è un “mercato” che vale 16 miliardi di dollari (nel 2014), in crescita significativa (erano 2,7 miliardi nel 2012) e con la prospettiva di superare nel 2015 i 34 miliardi
Il documentario italiano “Io sto con la sposa” (www.iostoconlasposa.com) nel 2014 alla mostra del cinema di Venezia si è aggiudicato 3 premi. Il film -proiettato in tutta Italia da mesi- è stato prodotto grazie a una campagna di finanziamento attraverso il crowdfunding, sulla piattaforma statunitense Indiegogo. In 60 giorni (dal 19 maggio al 17 luglio 2014) sono stati raccolti 100mila euro, grazie al contributo di 2.617 persone di 38 diversi Paesi.
Crowdfunding è un termine che dieci anni fa nemmeno esisteva: indica un sistema di raccolta di fondi per finanziare un’idea grazie ad una “crowd”, una massa di persone che credono in tale progetto.
In Italia, secondo l’“Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding” di maggio 2014, curata da Daniela Castraro e Ivana Pais, su 12.809 progetti pubblicati dalle 54 piattaforme censite, solo 4.703 hanno ottenuto il finanziamento richiesto. “Il crowdfunding, per avere successo -chiarisce Angelo Rindone, fondatore della prima piattaforma di crowdfunding italiana, Produzioni dal Basso– deve essere trattato come un progetto di comunicazione con raccolta fondi. Se parti con l’idea che è un modo come un altro di recuperare denaro per sviluppare i tuoi progetti fallisci già in partenza”.
L’idea iniziale del crowdfunding sarebbe rivoluzionaria. “Volevo creare uno strumento concreto di disintermediazione della produzione artistica -ricorda Angelo Rindone-, e ‘Io sto con la sposa’ è un buon esempio dell’obiettivo che avevo nel fondare Produzioni dal Basso: mettere in contatto diretto il creatore di contenuti e il suo pubblico, che può diventare così anche produttore”.
Era il 2005 e il termine “crowdfunding” sarebbe stato usato per la prima volta l’anno dopo. Dalla produzione artistica dal basso, però, negli ultimi anni si è visto utilizzare questo strumento da realtà che con queste politiche non hanno nulla a che fare.
L’espansione a livello mondiale del crowdfunding è avvenuta dopo il 2010. L’ultimo report di Massolution (Massolution Crowdfunding Industry Report), un’azienda statunitense specializzata nella ricerca e consulenza su queste tematiche e punto di riferimento mondiale del settore, uscito a fine marzo, evidenzia per il crowdfunding ritmi di crescita esponenziali. Se nel 2012 aveva raccolto 2,7 miliardi di dollari a livello mondiale, nel 2014 ha raggiunto i 16,2 e, stando al report, la prospettiva per il 2015 è che possa superare i 34 miliardi.
Tutto questo giro di denaro, però, è legato in minima parte al crowdfunding del quale si sono avvalsi i produttori di “Io sto con la sposa”, il cosiddetto reward-based (tu doni dei soldi, in cambio ricevi una ricompensa non in denaro, che in questo caso poteva essere il Dvd). Ben 11,08 miliardi di dollari, nel 2014, hanno alimentato il lending-based crowdfunding, ovvero una raccolta di denaro di prestatori anche molto piccoli che ricevono in cambio un interesse sui soldi investiti. Si tratta di uno strumento per saltare l’intermediazione bancaria, e in Italia ciò è consentito solo in parte. Giancarlo Giudici, professore associato di Finanza aziendale al Politecnico di Milano, chiarisce che “le attività nell’ambito del lending crowdfunding (svolte ad esempio da Smartika e Prestiamoci) sono molto affini all’attività bancaria, che rientra sotto la vigilanza di Bankitalia: il prestito tra privati è permesso, ma non quello ad aziende, cosa che invece è generalmente consentita all’estero”. Nonostante queste limitazioni, le uniche due piattaforme italiane di lending hanno raccolto da sole quasi 23 dei 30 milioni di euro degli introiti complessivi del crowdfunding italiano tra il 2013 e il 2014, stando al report di Castraro e Pais.
Ciò si deve anche al fatto che il crowdfunding è solo uno strumento, la cui eticità dipende da chi lo usa e con quale scopo e come. Opera in questo ambito, ad esempio, Banca Prossima, la controllata di Intesa Sanpaolo dedicata a clienti appartenenti al mondo nonprofit: dal 2011 ha aperto il portale Terzo Valore (www.terzovalore.com), che si occupa di crowdfunding lending-based: le organizzazioni possono pubblicare i loro progetti da finanziare. Si tratta di uno strumento finanziario che si affianca al prestito bancario tradizionale. All’interno dello stesso portale esiste anche la possibilità di fare donazioni al progetto senza alcun ritorno materiale, come è previsto da uno dei modelli di crowdfunding, il donation-based. Sempre come parte dei propri servizi di prestito finanziario rientra il progetto Hello! Saving di Hello bank! del gruppo Bnl Bnp Paribas (https://hellobank.it/sitefactory/hello-saving/progetti): il cliente può pubblicare un progetto e vederselo co-finanziato non solo dalla banca, ma anche da parenti e sconosciuti. Anche Unicredit promuovere il crowdfunding, sul portale www.ilmiodono.it. Nato nel 2010, la piattaforma di donation-based crowdfunding garantisce gratuitamente e senza commissioni uno spazio alle organizzazioni senza scopo di lucro che ne fanno domanda. Attualmente ne conta più di un migliaio. Unicredit è in buona compagnia, assieme alla Fondazione credito bergamasco con la piattaforma di crowdfunding territoriale Kendoo (www.kendoo.it), legata a progetti, appunto, del bergamasco e la Banca interprovinciale di Modena. Quest’ultima ha finanziato un vero e proprio portale di crowdfunding, www.com-unity.it, dove potreste anche finire col finanziare Alberto che sta raccogliendo i soldi per sposare Marta (www.com-unity.it/projects/matrimonio-con-marta). Non è né un libro, né un documentario: è proprio un matrimonio.
Un’altra banca che si è avvicinata al crowdfunding è Banca Etica, che un anno fa ha aperto un network all’interno della piattaforma Produzioni dal Basso. Il network è uno spazio dove una singola associazione, azienda, ente o comunità di interessi paga per avere a disposizione una propria pagina personalizzata, in cui aggregare tutti i propri progetti. Banca Etica ha avviato questo spazio per promuovere progetti non bancabili o diversamente bancabili, con una percentuale di successo dell’80%, superiore alla media italiana. “Volevamo dare la possibilità a nostri soci o clienti, previo sostegno di uno dei gruppi di iniziativa territoriale di farsi finanziare i propri progetti in questa modalità dal basso -spiega Andrea Tracanzan di Banca Etica-. L’aver cercato da subito un sostegno locale, una rete di relazioni, per fare partire la raccolta fondi è probabilmente una delle chiavi del successo”. Banca Etica tende a non fare sponsorizzazioni e “abbiamo così pensato di rispondere alla domanda di finanziamento dei nostri soci e clienti -continua Tracanzan-: non chiediamo alcuna commissione; paghiamo Produzione dal Basso con nostre risorse”. Intanto, Banca Etica studia strumenti etici di pagamento per il crowdfunding “di facile uso e dai bassi costi come Paypal, ma trasparenti” chiosa Tracanzan.
Ai margini dell’idea primigenia di crowdfunding sta l’equity crowdfunding, che prevede l’acquisto di titoli di partecipazione a una società. In Italia esiste una legge ad hoc, la numero 221/2012, in base alla quale le imprese che vogliono dedicarsi a questo meccanismo di raccolta di capitale devono sottostare a un procedimento regolato dalla Consob (la Commissione di sorveglianza sulle società quotate). Fino a maggio 2014 è stato finanziato un solo progetto con questo sistema. “Il ricorso all’equity crowdfunding è consentito solo per le start-up innovative e da pochissimo alle piccole e medie imprese (PMI) ‘innovative’ -precisa Giancarlo Giudici-. Il successo del modello a livello globale è dovuto probabilmente al cosiddetto ‘lottery effect’: un po’ come in una lotteria, punti cifre modeste su start-up e se azzecchi quella vincente i rendimenti sono notevoli. Ciò permette anche di investire su realtà di cui si condividono i valori e le finalità, con cifre alla portata di chiunque”. Per favorire l’espansione di questa forma di crowdfunding è nata a marzo l’Associazione italiana equity crowdfunding (AIEC, http://equitycrowdfundingitalia.org), che riunisce alcuni dei 14 gestori di portali dedicati autorizzati della Consob (l’elenco sul sito www.consob.it).
È ancora inesistente nel nostro Paese, invece, il royalty-based crowdfunding, l’ultima frontiera, che prevede la redistribuzione delle royalties sul prodotto ai diversi co-finanziatori, che in questo caso sono anche co-creatori. “Stiamo lavorando per trovare una soluzione normativa anche in Italia -dice Claudio Bedino fondatore di Starteed, un portale nato come piattaforma di crowdfunding nel 2012, trasformata come fornitore di tecnologie per il crowdfunding nel 2014. “Fin dall’inizio della nostra attività -prosegue- abbiamo cercato di dare incentivi a chi sosteneva i progetti, ma siamo stati frenati dalle normative italiane. Ora ci stiamo provando a livello europeo, grazie anche all’attività dell’European Crowdfunding Network (www.eurocrowd.org). Vorremmo favorire soprattutto la co-creazione dei prodotti da parte dei finanziatori dei diversi progetti. Per il momento siamo riusciti a concretizzare il progetto di una bicicletta, prodotta in Italia dall’azienda Lombardo (www.lombardobikes.com): chi ha partecipato al processo creativo ha ottenuto uno sconto fino al 25%. Sulle circa 1.600 persone coinvolte, quasi un decimo l’ha poi acquistata”. Anche la multinazionale Barilla è arrivata da qualche anno a questa modalità di interazione coi propri consumatori, grazie al portale www.nelmulinochevorrei.it. Se riceverà abbastanza voti presto potremmo trovare finalmente nei supermercati anche i Flauti con farcitura all’arancia, che secondo jessica p. sarebbero indiscutibilmente molto più genuini. Barilla sa che creare una comunità partecipativa significa in automatico trovare dei consumatori attivi, tanto più se hanno contribuito a ideare il nuovo prodotto. “In un Paese costituito essenzialmente da PMI, che non investono enormi capitali in marketing -spiega Paola Peretti, coautrice del libro “Crowdfunding. La via collaborativa all’imprenditorialità”-, il crowdfunding è potenzialmente uno strumento ideale per fidelizzare le persone a un marchio. In Italia non è ancora visto così, mentre è già ampiamente sfruttato all’estero, negli USA ma anche nel Regno Unito, in Olanda, in Svizzera, in Svezia e negli Emirati Arabi”.
Grazie al crowdfunding, ad esempio, #iostoconlasposa è diventato un tormentone prima ancora che il film sbarcasse a Venezia: 13mila iscritti sulla pagina Facebook, 30mila visualizzazioni del trailer e molti servizi sui media nazionali e internazionali. Raccogli i soldi e crei il tuo pubblico. “Potrebbe essere utile per risollevare le sorti di teatri e musei -prosegue Paola Peretti-, che le istituzioni hanno abbandonato. Il crowdfunding può diventare uno strumento di consapevolezza su determinate realtà, con grandi guadagni in termini d’immagine. L’Italia però in questo è molto indietro. Le stesse piattaforme stentano a sopravvivere”.
Mediamente, una piattaforma italiana trattiene il 5% dei soldi raccolti, meno di un milione di euro su 30 milioni di euro, che servono a coprirne i costi. La professionalizzazione delle piattaforme di crowdfunding e la loro continuità è garantita da attività complementari. Ginger (www.ideaginger.it), ad esempio, che nasce come piattaforma per il crowdfunding territoriale in Emilia-Romagna, fornisce consulenze di comunicazione per la campagna di finanziamento del progetto. Eppela, costituito principalmente da ex pubblicitari, fornisce consulenze a pagamento -ma solo per quei progetti che possono raggiungere cifre importanti-. Da pochi mesi, ha inoltre lanciato un bando per raccogliere progetti innovativi da presentare attraverso Eppela al mercato crowdfunding statunitense. Il principale introito economico (anche se non ci sono stati forniti dati né modalità di coinvolgimento) Eppela lo ottiene però dai partner commerciali: Fastweb, Poste e UniPolSai e la Repubblica hanno aperto sulla piattaforma pagine dedicate al crowdfunding di progetti raccolti attraverso i propri canali di comunicazione. Come idea è la stessa dei network di Produzioni dal Basso, lo spirito -orientato al profitto- che muove Eppela è però molto differente, ma come accade a Produzioni dal Basso (attraverso la neonata società “Folk Funding”) le consulenze e la fornitura di strumenti tecnologici permette di vivere di solo (o quasi) crowdfunding. Starteed si è invece trasformata in fornitore di infrastrutture tecnologiche per diversi tipi di piattaforme, sia per monoprogetti all’interno dei siti corporate sia di strumenti per il “fai-da-te”. E ha fornito, ad esempio, i suoi servizi a Telecom, che ha colto le enormi potenzialità dello strumento e a dicembre 2014 ha lanciato la piattaforma WithYouWeDo (wedo.telecomitalia.com), per raccogliere i progetti, attiva da aprile coi primi 15 selezionati su 100 arrivati. “Telecom si vuole presentare come principale promotore italiano di start-up digitali innovative -spiega Marcella Logli, direttore Corporate Social Responsibility di Telecom Italia-: vogliamo essere degli ‘abilitatori’ di tecnologia”. Attraverso testimonial (il primo è Gigi Buffon) e premi in palio (tirare un rigore a Buffon) Telecom cercherà di coinvolgere un largo pubblico, non solo tra gli esperti di innovazione digitale. “Telecom ha prima generato il traffico necessario sulla sua piattaforma, per pubblicare i progetti solo in un secondo momento -chiarisce Paola Peretti-. Ciò ben rappresenta le potenzialità dello strumento e l’impegno necessario per farlo funzionare. Per una campagna di raccolta fondi di 2 mesi, mediamente servono dai 4 ai 6 di preparazione. Il crowdfunding va pianificato, come ogni strategia di marketing”.
La maggior parte dei progetti resta però fedele all’idea iniziale: “Nel reward crowdfunding dominano progetti di autoproduzione che non raggiungono gli onori della cronaca -dice Angelo Rindone-. Nonostante le mille nuove anime che ha assunto il crowdfunding, continuo a credere che sia uno strumento di democratizzazione del finanziamento e della produzione culturale”. —
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