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Altre Economie

Lavare più giusto si può – Ae 83

Detersivi per bucato, pavimenti, piatti, mani: tutti ricavati dall’olio di babacù, una noce di cocco brasiliana. Prodotti frutto di innovazione tecnologica (non è facile realizzare un tensioattivo sfuggendo al controllo delle multinazionali) e di una filiera equa e solidale. E…

Tratto da Altreconomia 83 — Maggio 2007

Detersivi per bucato, pavimenti, piatti, mani: tutti ricavati dall’olio di babacù, una noce di cocco brasiliana. Prodotti frutto di innovazione tecnologica (non è facile realizzare un tensioattivo sfuggendo al controllo delle multinazionali) e di una filiera equa e solidale. E non è l’unica novità per la casa


La primavera delle botteghe del mondo è piena di novità per la casa. La gamma dei prodotti del commercio equo si allarga a detersivi e detergenti e lenzuola, federe e asciugamani. E arrivano anche, per la prima volta, prodotti tessili da filiera equa e solidale, una filiera controllata in tutte le sue fasi, dal seme di cotone alla filatura, dalla tessitura alla confezione finale.

Incominciamo dai detersivi e dai detergenti: 5 prodotti per lavare la biancheria, le mani, i piatti, le altre superfici della casa e infine anche un anticalcare. La novità è che si tratta di prodotti equi e solidali: in alcuni casi più del 50% degli ingredienti provengono da progetti di commercio equo.

Per lavapiatti e anticalcare, invece, la percentuale è inferiore, e in etichetta sono correttamente indicati come “prodotti con ingredienti del commercio equo e solidale”.

Il segreto industriale del progetto è il tensioattivo equo e solidale, come a dire il cuore di detersivi e detergenti, insomma la sostanza pulente. A seconda dell’ingrediente di base, può essere organico o sintetico. I tensioattivi sintetici si ricavano dalla lavorazione del petrolio: non sono biodegradabili e inquinano. Nel caso dei nuovi prodotti, invece, “la molecola che lava” è ottenuta dalla lavorazione di olio biologico di cocco babaçu (si legge babassù) che arriva dal Maranhão, in Brasile.

“Il nostro tensioattivo -spiega ad Altreconomia Giovanni Spinozzi, chimico e socio della cooperativa Mondo Solidale, che gestisce 15 botteghe nelle Marche- è il primo da agricoltura biologica venduto in Europa. Abbiamo unito innovazione scientifica e commercio equo e solidale”.

Lympha -questo il nome della linea di prodotti- nasce da un’idea di Mondo Solidale e arriva ora nella botteghe grazie a una inedita collaborazione con altre realtà del commercio equo:

Equo Mercato -la centrale d’importazione di Cantù-, la cooperativa sociale Fair e Liberomondo -un’altra centrale d’importazione, che ha sede a Bra nel cuneese-.

Di detergenti e detersivi equi e solidali nelle Marche s’iniziò a parlare nel 2004, ma la fase operativa è partita solo nel marzo dello scorso anno. Tempo speso anche a trovare un partner nel Sud del mondo: “Il commercio equo ha molti fornitori di oli, ad esempio in India, ma tutti hanno già contratti importanti. In questo caso la ricaduta economica del nostro progetto non sarebbe stata determinante per la comunità locale. Quello di Assema, il nostro partner, è invece un progetto di liberazione collettiva, che a partire dalla difesa di un bene comune, l’olio di babaçu, dà la possibilità a molte donne di vivere una vita degna” spiega Paolo Chiavaroli, coordinatore della cooperativa Mondo Solidale ed ex presidente di Agices (l’Associazione generale del commercio equo e solidale).

Assema è l’Associação em Áreas de Assentamento no Estado do Maranhão, un’organizzazione brasiliana nata nel 1989 e impegnata nella difesa delle comunità indigene dello Stato, di etnia tupi, e della pianta di cocco babaçu. A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, con l’apertura delle strade transamaz-zoniche, è iniziata la distruzione della foresta. Milioni di ettari di terra sono stati occupati da aziende d’allevamento e da latifondisti che hanno via via tentato di espellere le comunità locali.

I componenti di Assema -che raggruppa 45 associazioni di 63 villaggi, due cooperative e un’associazione di donne- raccolgono da sempre le noci di babaçu. “Attraverso una lunga fase di rivendicazioni e di lotte -spiega Gigi Eusebi, già consulente del governo Lula per le economie solidali- Assema ha ottenuto in alcuni municipi dello Stato del Maranhão l’approvazione della legge cosiddetta babaçu libre, che garantisce il libero accesso alla raccolta dei frutti, proibisce il taglio degli alberi e l’uso di erbicidi”.

Il marchio “Babaçu libre” certifica la provenienza bio dell’olio; in altri Paesi, come le Filippine, esistono coltivazioni intensive di palme da olio, e qui vengono ormai piantate palme geneticamente modificate (il 4-5% oggi).



Ma la novità, come detto, riguarda anche la parte industriale del progetto. “Il mercato dei tensioattivi è controllato da poche multinazionali -Cognis, Huntsman, Sasol, Basf- nomi che ai più non dicono nulla ma che riforniscono tutta l’industria mondiale dei detergenti e dei cosmetici -spiega Fabrizio Zago, chimico industriale, consulente Ecolabel (il marchio europeo di qualità ecologica) e autore del Biodizionario, una banca dati on line-. Aziende che lavorano decine di migliaia di tonnellate di olio di cocco per ogni ciclo produttivo, e che hanno l’unico obiettivo di comprare quello più economico”. Anche ogm, e talvolta anche frutto di lavoro schiavo.

Che un tensioattivo sia organico non è, quindi, sinonimo di eticità.La linea Lympha, invece, ha il bollino dell’Istituto per la certificazione etica e ambientale di Aiab (l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica); oltre a certificare che il prodotto è biologico il regolamento Aiab prevede una serie di test di efficacia. Per ottenere la certificazione il prodotto deve superare un test clinico (dimostrando di non causare irritazioni) e assicurare caratteristiche di detergenza pari a quelle dei leader di mercato. “Su invito di alcune botteghe del mondo -aggiunge Paolo Chiavaroli- abbiamo pensato di certificare il prodotto anche secondo il disciplinare Aiab-Lav (Lega antivivisezione, ndr): i nostri prodotti non sono testati sugli animali”.



Dal primo ordine di 1 tonnellata di olio di babaçu sono stati ricavate 5 tonnellate di tensioattivo nel laboratorio della ditta Allegrini, a Bergamo, dove il tensioattivo viene sintetizzato in un piccolo reattore, aggiungendo a una fase grassa una parte idrofila: la prima si attacca allo sporco e la seconda lo trascina dentro l’acqua. Il reattore lavora 100 kg di olio per volta.

Il tutto è stato infine trasformato in

15 tonnellate di detergenti/detersivi, che sono usciti dallo stabilimento della Pierpaoli di Senigallia, una piccola azienda -27 dipendenti, 3 agenti e 4 milioni di euro di fatturato- fondata nel 1939 dal nonno di Spinozzi.



Numeri piccoli ma destinati a crescere: “Intanto -conclude Spinozzi- abbiamo già ordinato altre 12 tonnellate d’olio: ci prepariamo a produrre 180 tonnellate di detersivi e detergenti e ad allargare la linea dei prodotti cosmetici”.
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Magliette con il futuro

Dalla coltivazione del cotone, alla filatura, dalla tintura al confezionamento: in Argentina una catena produttiva che coinvolge alcune zone tra le più povere del Paese e le fabbriche recuperate. All’origine del progetto un incontro a Milano quasi casuale



Le nuove t-shirt in cotone di Ctm Altromercato raccontano la storia del fallimento dell’economia Argentina e il tentativo di ricostruirla su altre basi. Un itinerario che parte dai campi del Chaco, dove il cotone è seminato e raccolto dagli indigeni toba, e arriva fino alle periferie di Buenos Aires, dove le magliette vengono confezionate nel laboratorio tessile gestito dagli ex disoccupati del Movimento de trabajadores desocupados de La Matanza. In mezzo c’è un tappa a Pigüe, dove il filo è tessuto all’interno di una fabbrica recuperata. È la campagna “Tessere il futuro”, che Ctm ha lanciato nel marzo del 2005 con l’obiettivo di costruire la prima filiera del cotone equo e solidale (in Argentina) e sensibilizzare l’opinione pubblica sul mercato globale del cotone (in Italia). “A distanza di due anni i tre anelli più importanti del processo produttivo, la coltivazione della materia prima, la tessitura e la tintura e il confezionamento, fanno parte di una filiera controllata. Quest’anno abbiamo acquistato 90 tonnellate di cotone” racconta Stefano Magnoni, vicepresidente di Ctm. 90 tonnellate di cotone per 40 mila t-shirt.

La “rete” dei produttori l’ha tessuta Harold Picchi, il responsabile per l’Argentina di Ctm. Nel 2001, come tanti giovani argentini, lasciò il Paese travolto dalla crisi economica. Arrivò a Milano senza parlare una parola d’italiano. Un taxista che ascoltava Radio Popolare lo accompagnò al Chico bar (accanto ai locali della radio) che era gestito dalla cooperativa “Chico Mendes”, socia di Ctm. Tornato in Argentina dopo aver conosciuto in Italia il connercio equo, Harold ha individuato nel Chaco, provincia del Nord dell’Argentina, la più povera del Paese, l’Asociación Civil Unión Campesina. Sono indigeni di etnia toba che seminano il cotone e lo coltivano senza l’uso di pesticidi.

Nella stagione 2005/2006 Ctm ha garantito ai produttori della Unión Campesina un prezzo del 25 per cento superiore a quello di mercato. Dal Chaco il cotone scende a Pigüe, una cittadina di 20 mila abitanti 600 km a Sud di Buenos Aires. A filarlo e colorarlo ci pensano i 150 operai della Cooperativa Textiles Pigüe, un’impresa che fa parte del Movimento nazionale delle fabbriche recuperate (vedi l’intervista con José Abelli sul numero 73 di Altreconomia, giugno 2006). Gli operai gestiscono una delle 20 fabbriche di Gatic: prima di fallire, nel 2004 con un debito di 900 milioni di dollari, era la più grande industria tessile argentina, dava lavoro a 8 mila persone in tutto il Paese e forniva Nike, Adidas e New Balance.

Nell’agosto del 2005, appena riaperta, la fabbrica ha lavorato 2 tonnellate di cotone. “A gennaio 2007 -racconta Francisco Martinez, che è presidente della cooperativa ma prima faceva l’operaio ed è in Italia per promuovere la campagna- siamo arrivati a 38 tonnellate, e puntiamo a raggiungere le 60 quando a fine aprile avremo firmato il contratto di proprietà dello stabilimento”. È orgoglioso: “Textiles Pigüe -spiega- sarà la prima fabbrica recuperata di proprietà della cooperativa dei lavoratori. Lo stabilimento vale 10 milioni di pesos, oltre 2 milioni di euro, ma noi lo pagheremo allo Stato solo 2 milioni (circa 500 mila euro, ndr) da restituire in 10 anni. E dopo avremo accesso ai crediti dalle banche: potremo acquistare la materia prima e aumentare la produzione”. Oggi un operaio di Pigüe guadagna 300 euro al mese. Se la fabbrica lavorasse a pieno ritmo potrebbe impiegare 500 operai.

Da Pigüe il cotone torna a Nord, a La Matanza, una città di oltre un milione di abitanti, la più grande nell’area metropolitana della Gran Buenos Aires.

Le t-shirt vengono confezionate in una rete di piccoli laboratori tessili coordinati dalla cooperativa La Juanita, uno dei progetti sviluppati dal Movimento dei lavoratori disoccupati (Mtd) de La Matanza, un’organizzazione nata a metà degli anni ‘90, quando il tasso di disoccupazione nel Paese era altissimo. “Ci riunimmo perché in molti, nei differenti barrios, non riuscivano a pagare la bolletta della luce. Parlando ci rendemmo conto che il problema era la disoccupazione, che toccava quasi il 70% della popolazione de La Matanza -ricorda Soledad Bordegaray, presidentessa de La Juanita, anche lei in Italia con Francisco-. Allora decidemmo di organizzarci per rivendicare il nostro diritto a lavorare”. Oggi il Mtd gestisce un asilo, una panetteria (che durante la crisi economica del 2001 mantenne calmierati i prezzi ), una piccola casa editrice e il laboratorio tessile. “La Juanita è nata nel 2001 -riprende Soledad- e oggi occupa 12 persone. Si lavora 8 ore al giorno e il salario minimo varia tra 3 pesos all’ora per i produttori normali e i 5 (1,2 euro, ndr). Poi tutti gli utili vengono ripartiti in parti uguali. Oggi Ctm è il nostro quarto cliente”.



La Gran Buenos Aires è piena di piccoli laboratori tessili come quello de La Juanita. Molti -almeno 2.500- sono clandestini e impiegano manodopera immigrata (boliviana, soprattutto) in condizioni di schiavitù. Perpetuano la “filiera dello sfruttamento tessile” che comincia dove il cotone nasce.





Tessili casa in cotone bio

Lenzuola, federe, asciugamani per la prima volta arrivano da una filiera equa e solidale. Su Internet un appartamento virtuale: si clicca sugli oggetti e si entra nelle storie dell’economia alternativa



Lenzuola, federe e asciugamani per le case dei consumatori critici. Tessuti -è la prima volta- in cotone biologico proveniente da una filiera equa e solidale. I prodotti della linea “Fairlife” -arrivano dall’India, e sono importati da Fair e Liberomondo in collaborazione con Legambiente, Aiab (l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica) e Icea, l’ente che certifica il biologico italiano.

Il partner locale è Rajlakshmi Cotton Mills, un’industria tessile nata a Calcutta nel 1934. Rajlakshmi Cotton Mills acquista il cotone biologico da due progetti di commercio equo e realizza tutto il processo produttivo -filatura, tessitura, tintura e confezionamento- all’interno di fabbriche del gruppo. È un’impresa socialmente responsabile -spiega Deborah Lucchetti, presidente di Fair-: in collaborazione con l’organizzazione belga di commercio equo e solidale Oxfam Magasins du monde ha cominciato un percorso per applicare il codice di condotta per l’industria tessile messo a punto in Olanda dalla Fair Wear Foundation”.

L’azienda ha detto no al lavoro minorile (in India la filiera tessile impiega almeno 450 mila minori tra i 6 e i 14 anni) e sì a condizioni di lavoro salubri (nei campi indiani il cotone occupa il 5% delle aree coltivate ma consuma il 60% dei pesticidi), a un orario di 48 ore a settimana, allo stipendio garantito e agli straordinari pagati, alla libera associazione sindacale. “Rajlakshmi Cotton Mills ha iniziato a lavorare cotone biologico nel 2001, e l’anno successivo ha creato GreenLicense, un’unità produttiva che impiega 120 lavoratori -continua Deborah-. Ogni anno acquista 480 tonnellate di cotone dai produttori del Mahima Project (1020 famiglie) e del Chetna Organic Cotton Project (405 produttori che coltivano una superficie di 600 ettari di terra)”.

L’ente di certificazione olandese Skal garantisce che il cotone sia biologico.

La tedesca Flo, Fairtrade Labelling Organization, che sia equo e solidale. “Secondo i dati forniti da Rajat Jaipuria, direttore della Rajlakshmi Cotton Mills -spiega Deborah Lucchetti- al prezzo base del cotone di 2.250 rupie (40 euro) per chilo ne aggiungono 337,5 per il premio Flo e 450 per il premio Skal”. Il cotone biologico è pagato oltre un terzo in più del prezzo di mercato. Il progetto Fairlife va oltre i prodotti: “Su Internet abbiamo aperto una ‘casa virtuale’ (su www.myfairlife.it, ndr) -spiega Alberto Zoratti di Fair-. Dalla sala alla camera da letto potrete ascoltare le storie degli oggetti e scoprite alternative di consumo. Con Fairlife il commercio equo sbarca anche nel mondo virtuale di Second Life, dove abbiamo aperto una mostra fotografica virtuale sul cotone (per chi lo “frequentasse”: quartiere Even After -142, 9, 21-)”. La mostra racconta la filiera del cotone (Fair è tra i promotori in Italia della campagna “Abiti puliti”): dall’Africa all’Asia all’America Latina; dai campi ai laboratori tessili (maquiladoras in America Centrale o sweat shop nel Sudest asiatico). L’alternativa è una filiera equa: quella di Fairlife sarà in Italia a fine maggio, distribuita da Liberomondo.

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L’equofelpa voluta dai gas

“Possiamo pensare di comprare insieme anche i vestiti oltre alla pasta e alle patate?”. Questa domanda ha impegnato per un anno i Gruppi d’acquisto solidale (Gas) italiani: hanno studiato la filiera del cotone -dai campi al vestito finito- e alla fine hanno risposto sì. E hanno scelto una felpa: sarà il “capo simbolo -spiegano- per i consumatori organizzati”. La “Equofelpa” dei Gas è biologica, equa e solidale (arriva dalla stessa filiera del progetto “Fairlife”) e arriverà dall’India a ottobre (sono in produzione le prime 500). I “gasisti” di tutta Italia l’hanno scelta bianca (perché tingere i tessuti inquina), elegante e sobria (disegnata a Genova nel laboratorio artigiano “Lo spaventapasseri”). Alla riflessione sui grandi numeri i Gas avevano dedicato l’incontro nazionale del maggio del 2006: “Per quanto riguarda i generi alimentari -spiega Paola Letardi del Gas ‘Birulò’ di Genova- ogni gruppo d’acquisto lavora sul proprio territorio, in contatto diretto con i contadini produttori. Quando però riflettiamo su come allargare il campo ci scontriamo con le difficoltà legate alla filiera produttiva. Problemi articolati e complessi da risolvere all’interno di un Gas. Così abbiamo deciso di studiare”.

All’interno di Retegas -la Rete nazionale informale dei Gas- è nato un gruppo di lavoro sul tessile, coordinato da “Birulò”, che ha approfondito la filiera del cotone con l’aiuto della campagna “Abiti puliti” e dedicato nel 2006 due incontri nazionali a formazione e sensibilizzazione dei “gasisti”. La filiera del cotone non è quella di un pomodoro biologico: quella della felpa è monitorata da Fair e dalla campagna “Abiti puliti”.

Il cotone proviene dal Mahima Project nel Madhya Pradesh e dal Chetna Organic Cotton Project nell’Andrha Pradesh. Il confezionatore è il Rajlakshmi Cotton Project. I due modelli -con e senza cappuccio- costeranno in bottega 43 e 39 euro. Oltre a Retegas

-www.retegas.org- e Fair il progetto coinvolge Liberomondo che distribuirà la felpa per le botteghe. Per info e ordini: www.faircoop.it/equofelpe.





Torna “tuttaunaltracosa”

Doppio appuntamento con la fiera nazionale del commercio equo e solidale promossa dall’Associazione botteghe del mondo in collaborazione con il Pime, giunta alla 13° edizione. Dal 25 al 27 maggio “Tuttaunaltracosa” (nella foto sopra uno stand durante l’edizione 2006) è a Milano; dal 15 al 17 giugno a Galatina (in provincia di Lecce). Il Salento ospiterà anche il primo campo giovani internazionale sul commercio equo e solidale. Dal 10 al 17 giugno, 30 ragazzi e ragazze potranno incontrarsi per discutere, imparare, confrontarsi su globalizzazione, rapporti Nord Sud e far pratica di commercio equo. Dopo tre giorni di formazione ogni partecipante adotterà un progetto e una bottega del mondo presente in fiera e diventerà volontario negli stand. Info: campoequo@tuttaunaltracosa.it; www.tuttaunaltracosa.it



Quanto ci laviamo!

Un italiano consuma in media 25 chili di prodotti per lavare all’anno. Almeno la metà per fare il bucato: i detersivi liquidi, che rappresentano il 45 per cento del mercato (contro il 15 per cento di dieci anni fa), sono composti per un 10 per cento da tensioattivi, per un altro 10 per cento da coadiuvanti o additivi e per l’80 da una “carica” (l’acqua).

I tensioattivi tradizionali sono derivati dal petrolio e difficilmente biodegradabili. Sono dannosi per la flora e per la fauna acquatica (e, di conseguenza, per l’uomo che si nutre di pesce).

Tra gli additivi più pericolosi per l’eco-sistema ci sono gli sbiancanti ottici o azzurranti, che secondo Andrea Poggio, autore della guida “Viva con stile” (Terre di mezzo editore) sono anche inutili.

Chi ha in casa una lavatrice moderna e più efficiente (classe A o AA), però, può iniziare da subito a ridurre tra il 25 e il 50% il detersivo nella vaschetta.



I bilanci delle botteghe

Nel mondo del commercio equo esistono cooperative che gestiscono più punti di vendita: alcune -come “Chico Mendes” a Milano e “Pace e sviluppo” a Treviso- hanno più di dieci anni, e fatturati che superano il milione di euro. Con gli anni le “botteghe” hanno avviato attività che spaziano dall’educazione allo sviluppo alla finanza etica al turismo responsabile alle campagne di pressione e sugli stili di vita.



26 e 27 maggio in piazza

Il 26 e 27 maggio la campagna “Tessere il futuro” scede in piazza. In collaborazione con le botteghe del mondo, Ctm Altromercato presenta le t-shirt in tutta Italia. In programma la sfilata delle nuove magliette da filiera equa e solidale, percorsi educativi sul tema del tessile e degustazione di prodotti equo solidali.

A Milano doppio appuntamento alla fiera “Tuttaunaltracosa” e a Ciniselle Balsamo, in piazza Gramsci. Per info: www.altromercato.it



Dignità in video e musica

“Tessere il futuro” è anche un dvd: il documentario “La fibra della dignità”, distribuito nelle botteghe del mondo, racconta tutte le fasi della filiera argentina del cotone di Ctm.

Il cd musicale “Indie Argentine”, invece, raccoglie il meglio della musica indipendente argentina. Finanzia l’acquisto di un impianto di sgranatura del cotone per i contadini della Unión Campesina del Chacho (al progetto Ctm destina1 euro per ogni cd venduto; la macchina costa 25 mila euro). Oggi la sgranatura è affidata a terzisti.



Novità nelle mense di Roma

Nei prossimi 5 anni il Comune di Roma destinerà 30 milioni di euro all’acquisto di prodotti del commercio equo e solidale (Comes) per le proprie mense scolastiche.

Negli asili e nelle scuole medie ed elementari romane vengono serviti 145 mila pasti al giorno. Ogni settimana gli alunni consumeranno 290 mila banane (sopra uno dei poster distribuiti nelle scuole che aderiscono al progetto), 3.900 chilogrammi di cioccolato e 286 mila confezioni snack. Al progetto “mense solidali” hanno aderito un centinaio di Comuni (tra i più grandi Genova, Firenze e Torino). Le attività di ristorazione e di catering equo e solidale, nate nel 2000, oggi incidono quasi per il 10% sul bilancio di Ctm Altromercato.



E l’Umbria incentiva

A marzo la regione Umbria ha approvato una legge per incentivare la diffusione del commercio equo e solidale. E nella finanziaria 2007 ha stanziato 100 mila euro che saranno destinati all’educazione e alla formazione nelle scuole, al sostegno delle botteghe del mondo e alla realizzazione di una giornata regionale del commercio equo (nella foto sopra l’ultima edizione della fiera “Altrocioccolato” che si tiene ogni anno a Gubbio).



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