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L’agenzia che non c’è
La Commissione parlamentare antimafia boccia l’operato dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, proponendo una riforma radicale —
L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata non ha fatto ciò per cui era stata istituita, quattro anni fa, dal governo Berlusconi. Da quando è nata, le “confische con destinazione” sono crollate del 58% (dalle 395 del 2010 alle 162 del 2013), a fronte invece di un aumento delle confische definitive (1.164 nel 2010, 2.596 nel 2013, più 123%). Per verificarlo basta scorrere la “Relazione sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” votata all’unanimità il 9 aprile scorso dalla Commissione parlamentare antimafia e inoltrata per conoscenza all’esecutivo. E che riporta un concetto molto chiaro: sono 15.400 i beni “pronti per essere destinati al riutilizzo sia da parte dello Stato che da parte degli enti territoriali”. Dai due ai tre miliardi di euro di valore “pronti” ma congelati. È il ritratto del “sistema confisca” del nostro Paese, gravato dalle “grandi criticità” dell’Agenzia e dal “notevole ritardo nel recepimento di alcuni importanti strumenti normativi dell’Unione europea”.
Sono due i provvedimenti comunitari tanto urgenti quanto dimenticati dall’ordinamento nazionale -che i commissari auspicano entrare nell’ordine del giorno dell’agenda del semestre europeo di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea (scattato il primo luglio)-. E cioè le decisioni centrate rispettivamente sull’esecuzione comunitaria dei “provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio” e sulla “applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca”.
A proposito di adozione, l’Italia ha maturato per la prima otto e per la seconda cinque anni di ritardo.
Ma sono le regole interne a essere contraddistinte oggi da un “corpus normativo disorganico e carente”, com’è l’esempio dell’ambizioso ma fallimentare Codice delle leggi antimafia emanato nel settembre del 2011. Il “valore simbolico della confisca” -scrivono i commissari- si è “progressivamente perso” e “si è lentamente passati da una destinazione a fini sociali -come la legge 109 del 1996 aveva bene indicato- a una previsione generalizzata di liquidazione dei beni per soddisfare i diritti di credito dei terzi e i diritti reali di garanzia”.
Chiamata ad amministrare il patrimonio sottratto alle mafie, l’Agenzia non sarebbe riuscita nemmeno a predisporre compiutamente una “infrastruttura informatica propria” per la gestione delle diverse procedure di sequestro e confisca. Un progetto per cui sono stati stanziati nel 2010 ben 7,2 milioni di euro (4,3 dall’Unione europea e 2,9 dallo Stato italiano) e che “ad oggi -scrivono i commissari- risulta non operativo”. Ciò significa che chiunque voglia consultare il promesso (e costoso) database dei beni confiscati troverà cifre e fonti “fermi” al 7 gennaio 2013: 11.238 immobili e 1.708 aziende confiscati a livello nazionale. “Nei documenti consegnati a questa Commissione -chiarisce l’Antimafia- non è stato reso noto il motivo del ritardo, se non con un generico riferimento alla complessità del lavoro necessario”. Un ritardo che se “non fosse adeguatamente motivato” potrebbe dar seguito ad “eventuali responsabilità civili e contabili” dinanzi alla Corte dei Conti. Chi ha il potere di coprire l’insufficienza dell’Agenzia è il ministero della Giustizia, che nel dicembre scorso ha presentato alle Camere la Relazione sulla consistenza, destinazione e utilizzo dei beni sequestrati o confiscati e sullo stato dei procedimenti di sequestro o confisca, che però non tiene in considerazione quel che accade dopo l’eventuale destinazione.
Uno sguardo però ai numeri delle sole confische -e dunque sui beni sottratti a tutti gli effetti- forniti da Largo Arenula e ripresi dai commissari Antimafia, consente di aver il polso delle dimensioni dei patrimoni mafiosi. 21.204 sono i beni complessivamente confiscati, 15.400 come detto sono le “confische definitive” e solo 4.847 le “confische con destinazione”. Secondo il ministero della Giustizia questi ultimi beni “valgono” qualcosa come 859,5 milioni di euro.
Secondo l’Antimafia, la responsabilità dell’occasione perduta è (anche) dell’Agenzia nazionale, oberata da “stasi operative pressoché insuperabili”: struttura, dislocazione territoriale, dotazione organica, dinamiche operative, prospettive. Barriere troppo deboli secondo i commissari di fronte all’“onda d’urto” dei beni confiscati.
Ecco perché al paragrafo “Per una nuova Agenzia nazionale” della sua Relazione, la Commissione ha immaginato un netto ridimensionamento della struttura diretta fino al 1° marzo 2014 dal prefetto Giuseppe Caruso, spostandone la sede operativa da Reggio Calabria a Roma e “valutando i costi” delle sedi secondarie di Milano, Palermo, Napoli e della nascitura Bari. “Abbiamo registrato una grande impreparazione -racconta ad Ae il vicepresidente della Commissione, Luigi Gaetti (M5S)- e abbiamo proposto di togliere la carriera prefettizia quale requisito per la direzione dell’Agenzia, proponendo di sospendere la nomina del sostituto di Caruso (il governo ha nominato il nuovo commissario il 12 giugno, ndr)”.
Il dossier è in mano a Parlamento e Governo, cui spetta il compito di ritenere il contrasto alla criminalità organizzata e ai suoi patrimoni una “riforma”. Il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico aveva annunciato a maggio la discussione in consiglio dei ministri di un disegno di legge di rilancio dell’Agenzia. Proposta che quando Ae va in stampa (19 giugno) non si è ancora vista. —