Approfondimento
La tv che ci manca
“Arte” è il canale non commerciale creato nel 1991 dai governi francese e tedesco. Non trasmette pubblicità, produce documentari, cinema e notiziari La Carmen controversa che il 7 dicembre ha aperto la stagione della Scala ha raggiunto anche migliaia di…
“Arte” è il canale non commerciale creato nel 1991 dai governi francese e tedesco. Non trasmette pubblicità, produce documentari, cinema e notiziari
La Carmen controversa che il 7 dicembre ha aperto la stagione della Scala ha raggiunto anche migliaia di melomani europei. Solo tenendo conto di Francia e Germania, 680mila francesi e 310mila tedeschi hanno potuto immergersi nella musica di Georges Bizet grazie a un accordo tra la Rai e “Arte”.
Arte (Associazione relativa alla televisione europea) è il canale culturale franco-tedesco nato nel 1991 dall’intuizione di François Mitterand e Helmut Kohl, quando il muro di Berlino era appena caduto e gli equilibri europei si stavano riorganizzando. Jérôme Clément, vicepresidente di Arte e presidente di Arte France (nella foto), racconta che in un momento così forte della storia recente i due capi di Stato hanno concepito un canale televisivo comune con la missione di “valorizzare e presentare la creazione artistica e culturale europea”. Il modello è quello di una televisione pubblica che rifiuta la pubblicità per non dipendere dai capitali privati, e che da 18 anni resiste alle sfide della tv commerciale restando fedele al suo principio di fondo: rivolgersi agli spettatori curiosi e aperti al mondo.
Per Dario Barone, distributore italiano di Arte France e Bbc attraverso la società Camera distribuzioni internazionali, “Arte è forse il progetto più illuminato e strategico che sia mai stato fatto in Europa per difendere la cultura dall’assalto del mercato. Siamo vittime della forza del sistema industriale statunitense, e per contrastare questa egemonia Francia e Germania hanno dato vita a un canale culturale con una fortissima identità europea”. In concreto i due Paesi sono azionisti al 50% del canale, che si finanzia al 95% con il canone e in parte con i proventi dei diritti tv. Il budget 2009, stanziato dal governo francese e quello tedesco per un 50% ciascuno, è di 401,79 milioni di euro. “Non trasmettendo pubblicità non siamo sottoposti alle fluttuazioni del mercato -spiega Clément-. Dipendiamo però dalle risorse pubbliche, che sono seriamente minate dalla congiuntura economica. Per affrontare la situazione ci sforziamo di contenere i costi senza ostacolare la nostra politica di investimenti nel campo dell’alta definizione e di internet, che sono due settori chiave per un canale televisivo”.
Arte produce di tutto: cinema, documentari, spettacoli, notiziari. Per farlo si rivolge agli autori e ai registi migliori d’Europa, ma anche d’oltremare, e i suoi prodotti sono riconoscibili al primo sguardo, quasi portassero impresso un marchio che va al di là del linguaggio estetico. I più distribuiti all’estero sono i documentari, che assorbono la percentuale più alta dei finanziamenti per i programmi (nel 2007, su un budget da 241,79 milioni di euro, 54,33).
“Il documentario Arte è molto connotato -racconta Mauro Sala di Camera distribuzioni-. È un prodotto che fa della serietà la sua forza. Classico, istituzionale, rigoroso, spesso lento. Concede pochissimo al linguaggio e si concentra molto sul contenuto. Proprio per questo in Italia un prodotto simile non ha molto mercato”. La tv italiana ha lasciato poco spazio ai prodotti culturali, e trovare posto nei nostri palinsesti per un documentario che superi l’ora televisiva sembra un’operazione impossibile. “In Italia il documentario d’autore non ha riscontro, e anche se abbiamo all’incirca 200 canali a disposizione non esiste uno spazio televisivo destinato a questo prodotto” spiega Dario Barone. L’“eccezione” italiana si conferma, e le scelte di programmazione che stabiliscono cosa gli italiani vedranno oppure no sono parecchio diverse da quelle di altri Paesi. Infatti anche se la programmazione culturale lotta ovunque con i prodotti commerciali della tv generalista, oggi Arte conta tra i suoi partner otto emittenti pubbliche europee con cui co-produrre nuovi contenuti. Tra queste, la tv belga, svizzera, polacca, spagnola, finlandese. Ma i suoi programmi arrivano molto più lontano, e sono trasmessi anche in Africa, Canada, Brasile e Israele.
“Per noi invece Arte non è altro che un fornitore”. Paolo Giaccio, direttore di RaiSat Premium, è chiarissimo e sintetico: “In passato abbiamo collaborato in modo minimo con Francia e Germania realizzando alcuni contenuti per Arte. È un canale che piace di più alla sinistra, quindi quando c’è al governo quella parte politica si rispolvera il rapporto, ma poi non vengono mai stanziati i finanziamenti sufficienti a stabilire una vera collaborazione.”
Il presidente di Arte France conferma che le discussioni avviate più volte per creare Arte Italia non evolvono. E per Clément questo “è senza dubbio il riflesso di una situazione che privilegia sistematicamente la televisione commerciale a scapito della creatività”.
La televisione che in Italia non c’è potrebbe essere una scommessa per investitori coraggiosi, decisi ad andarsi a prendere quella fetta di pubblico fedele che attraversa i palinsesti seguendo le offerte di qualità: “Io penso che il pubblico sia sempre pronto a ricevere un prodotto alto”. Dario Barone è convinto che “se la Rai decidesse di dedicare uno spazio a prodotti culturali troverebbe un suo pubblico, piccolo magari, ma lo troverebbe”. Pensando agli ascolti altissimi di alcune trasmissioni di approfondimento, o agli share stellari di Roberto Benigni con il suo Dante, pare che il nocciolo della questione non sia l’interesse o la “preparazione” dei telespettatori, ma un fattore squisitamente economico che ha molto a che vedere con la pubblicità. “Un canale è un business, un’azienda -continua Barone-. E un canale con un’impronta culturale può esistere solo nell’ambito di un’iniziativa pubblica, perché il mercato con le sue leggi non consente di tenere in piedi una televisione del genere, che non aiuta a vendere prodotti. L’appoggio alla cultura può essere solo un’iniziativa che parte dal pubblico”.
Se mai la scommessa fosse accolta, le nuove tecnologie sono un elemento chiave per vincerla. Strumenti come il Video on Demand (Vod), che permette di scaricare a pagamento quello che ci interessa, o la possibilità di vedere in streaming alcuni programmi gratuitamente, rendono accessibile la programmazione a utenti diversi dai telespettatori classici. Il presidente di Arte sottolinea che il suo canale è stato tra i primi a posizionarsi su internet.
E dal 2008 Arte produce web-documentari. Tra questi il più famoso è la serie “Gaza-Sderot”, che racconta la vita quotidiana lungo la frontiera israelo-palestinese attraverso l’osservazione quotidiana delle vite di alcuni abitanti delle due città. In Francia i web-utenti sono molto più abituati degli italiani a servizi come il Payperview (letteralmente, pagare per vedere) o il Vod. Nonostante questo, e anche se la politica non pare interessata a garantirci l’accesso alla cultura attraverso la tv, per aprire una finestra inusuale sul conflitto israelo-palestinese anche a noi basta cliccare su gaza-sderot.arte.tv/
Programmi di qualità a portata di mouse
Arte, alla ricerca della sostenibilità economica, scommette sulle nuove tecnologie. Le potenzialità del web, però, non riguardano solo la possibilità di mettere on line prodotti per la televisione: anche la creatività è in gioco, e alcuni programmi iniziano a essere concepiti e realizzati per una fruizione via internet.
Il presidente di Arte France, Jérôme Clément, sottolinea che il suo canale è stato tra i primi a posizionarsi su internet e a sfruttarne le possibilità. “Internet è lo strumento attraverso il quale democratizzare Arte, toccando fasce d’età e fasce sociali che non è scontato guardino il nostro canale in televisione”.
E il sito www.arte.tv ha molto successo. Nell’ottobre 2009 i visitatori sono stati 3,7 milioni per 17,6 milioni di pagine visitate. A novembre invece, Arte +7, il servizio che permette di rivedere alcuni programmi per sette giorni dopo la messa in onda, ha registrato 2,4 milioni di video scaricati, il 33% in più rispetto alla media di tutto il 2009.
L’Italia non compra
Dal punto di vista di Arte oggi è complicato collaborare con le televisioni italiane, sia pubbliche che private, perché gli spazi dedicati al documentario sono davvero pochi. Interi generi come l’inchiesta, gli approfondimenti storici o culturali sono quasi assenti dai palinsesti, mentre le tematiche più richieste all’emittente franco-tedesca da parte delle tv italiane sono l’archeologia, la scienza e i documentari sugli animali.
Ogni anno il servizio di distribuzione internazionale di Arte vende all’Italia circa dieci ore di programmi, per una cifra totale che varia tra i 50 e i 60mila euro.
“In Italia, a causa del tripolio, la tv ha assunto una caratteristica estremamente commerciale -spiega Paolo Giaccio di RaiSat Premium-. Arte è il contrario di tutto questo, e da noi quel modello di televisione non esiste.”