Ambiente / Varie
La terra raccolta
Le associazioni fondiarie riuniscono proprietà frammentate per contrastare l’abbandono agricolo nelle aree interne. Il caso del Piemonte, da Caldirola (in Val Curone, Alessandria) a Carnino (nel cuneese).
Il professor Andrea Cavallero, già docente di Agronomia all’Università di Torino: "I terreni a bassa produttività unitaria, come quelli montani, devono essere accorpati su grandi superfici per garantire un reddito"
Caldirola è l’ultimo paese della Val Curone, e uno dei pochi centri abitati della provincia di Alessandria a superare i mille metri sul livello del mare. È anche l’unica stazione sciistica di questo lembo d’Appennino al confine tra 4 Regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna): per questo il nome della località è segnalato sui cartelli autostradali all’uscita di Tortona, 40 chilometri più a valle, anche se a Caldirola ormai vivono 37 persone.
Una tra loro è Matteo Ornati, che con la moglie Caterina conduce la Fattoria l’Aurora (www.fattoriaaurora.it). “Dobbiamo capire come gestire un territorio abbandonato, e in larga parte proprietà di privati” spiega Ornati, indicando i pendii delle montagne che abbracciano il paese, quasi completamente boscate. “L’unica attività economica possibile nel settore primario è l’allevamento -continua-, e il pascolo potrebbe aiutarci a ‘riprendere’ un territorio che si sta sfaldando: perché questo sia possibile, però, servono le terre”. Matteo Ornati è tra i promotori dell’associazione fondiaria (assfo) di Caldirola, nata nel 2012 con l’obiettivo di arrivare a gestire in modo collettivo e nell’interesse pubblico una proprietà molto frammentata (www.assfocaldirola.org). Una dettagliata mappa catastale di Caldirola, che Ornati mi mostra seduti davanti a un pc, evidenzia alcune particelle che dopo plurime divisioni tra eredi misurano meno di un ettaro. “A queste condizioni non potrebbe esistere alcuna azienda agricola montana”, spiega. Lo sa perché nel recinto della Fattoria l’Aurora ha ospitato fino a 40 cavalli. Per vent’anni, dopo essere arrivato a Caldirola nel 1991 dalla pianura, da Vigevano (PV), Ornati ha fatto l’allevatore. I suoi animali pascolavano uno dei versanti oggi abbandonato. “Non era stato facile ottenere la disponibilità dei proprietari” spiega.
Oggi l’Aurora è, principalmente, una fattoria didattica, e Matteo e la moglie -due che hanno scelto di vivere in montagna, senza esserci nati- s’impegnano nell’associazione fondiaria di Caldirola per far sì che il paese possa continuare a vivere. Una ventina di proprietari hanno conferito le proprie terre, per una superficie complessiva tra i 150 e i 200 ettari. “Gestiamo due contratti d’affitto: il primo è con l’unico allevatore rimasto, il secondo con il proprietario della seggiovia” racconta Ornati. Chi prende in affitto un terreno dall’associazione fondiaria riconosce un canone, che può essere interamente re-investito dall’associazione o -in parte- destinato ai soci, o “contribuisce” realizzando lavori di pubblica utilità, cioè mantenendo pulite ulteriori particelle. Nell’estate del 2015 sono arrivate anche 40 pecore all’Aurora, e hanno brucato -e pulito- alcune aree incolte vicino al centro storico del paese, nei pressi del cimitero e del campo sportivo. “L’associazione fondiaria si prende cura delle aree conferite, ‘valorizzando’ il territorio nel suo insieme -racconta Ornati-. Quassù, quando c’era l’allevamento, raccoglievano persino le foglie cadute per fare le lettiere. Tutto era un parco. Oggi le ville costruite da chi veniva in vacanza hanno intorno il bosco”, bosco che presto potrebbe prendersi tutto il paese, come aveva fatto a Carnino (CN), in Alta Val Tanaro, dove nel 2012 è nata la prima associazione fondiaria. “Un’area ex agricola, abbandonata, piena di cespugli e rovi, che oggi vede nuovamente prati fioriti e regolarmente pascolati, e questo comporta un aumento dell’interesse a fruire del territorio da parte di soggetti appartenenti a categorie diverse. La borgata è tornata ad essere bella”, racconta il professor Andrea Cavallero, già docente di Agronomia generale alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, dove si è occupato dei problemi della montagna, dell’abbandono che riguarda tra il 60 e l’80% delle aree appenniniche ed alpine.
Cavallero -che è in pensione dal 2011- è consulente (a titolo gratuito) di molte associazioni fondiarie, che ha contribuito a far nascere dopo aver studiato il modello in Francia a partire dagli anni Settanta, ed è anche l’estensore di un testo di legge per il loro riconoscimento che dovrebbe essere discusso in Regione Piemonte. “Dare vita a un’associazione fondiaria è molto semplice: serve un verbale di adesione, da presentare all’ufficio del registro”. Non serve un notaio: basta convincere “i proprietari che accorpando i loro terreni abbandonati, con proprietà che dopo centinaia di anni di divisioni sono pezzettini senza valore e inutili, è possibile costituire un area pascolabile, e quindi la possibilità di un’azienda pastorale in un determinato areale. Non è che il ritorno a un’antica situazione -aggiunge Cavallero-: in montagna un tempo esistevano esclusivamente proprietà collettive, fino a quando Napoleone non ne favorì la privatizzazione. Ma i terreni a bassa produttività unitaria, come quelli montani, devono essere accorpati su grandi superfici per garantire un reddito”.
Il presidente dell’associazione fondiaria di Carnino è Francesco Pastorelli, che è anche direttore della Ong CIPRA, la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, che del borgo è originario. “Il mondo alpino di cultura germanofona, dov’è presente l’istituto del ‘maso chiuso’, ha conservato la dimensione minima aziendale, e lì l’agricoltura è fiorente. A Carnino oggi siamo riusciti a mettere insieme tra i 40 e i 45 ettari, che sono una dimensione adeguata per il pascolo. Tutte le proprietà sono tra i 1.200 e i 1.600, e nel 2015 per il quarto anno si è tornati ad utilizzare i terreni, da giugno ad ottobre”. Il padre di Pastorelli è stato -fino a metà anni Novanta- l’ultimo allevatore. Da oltre vent’anni però a Carnino non c’è una famiglia stabile.
Pastorelli sta censendo punti di forza e criticità delle associazioni fondiarie nell’ambito di una ricerca finanziata dal bando “Torino e le alpi” (www.torinoelealpi.it) della Compagnia di San Paolo. L’analisi parte dalle esperienze concrete, che sono una dozzina, la maggioranza delle quali in Piemonte. I problemi derivano spesso dall’assenza di un’adeguata legislazione. Lo studio, che propone una serie di linee guida per chi desidera intraprendere un percorso analogo, vuole essere anche uno stimolo nei confronti della politica con precise richieste e proposte di apposite normative. Perché il modello possa replicarsi, ad esempio, serve “introdurre norme che incentivino i proprietari di terreni incolti a concederli in gestione ad una associazione fondiaria”, o prevedere che un Comune, dopo aver verificato lo stato di abbandono di un terreno, ne possa assegnare la gestione alle associazioni fondiarie.
Secondo Pastorelli, che ha realizzato questo lavoro insieme a Fabrizio Ellena, referente dell’assfo di Montemale (CN), le associazioni fondiarie dovrebbero poter “partecipare ai bandi per l’assegnazione dei finanziamenti nell’ambito dei Piani di sviluppo rurale”, cioè le risorse che la Commissione europea attraverso la Politica agricola comune (PAC) mette a disposizione delle Regioni. I finanziamenti potrebbero essere “veicolati attraverso i Comuni per la realizzazione di piani di risanamento gestiti dalle associazioni fondiarie”, spiega Matteo Ornati. Azioni di questo tipo richiedono la piena collaborazione degli enti locali, mentre a Caldirola, ad esempio, il Comune di Fabbrica Curone non ha in alcun modo incentivato i proprietari di terreni incolti ad aderire all’associazione fondiaria.
Pastorelli ed Ellena chiedono ai Comuni di “sostenere le assfo che si costituiscono sui propri territori”. Come ha fatto l’amministrazione di Lauriano, in provincia di Torino, costituita sui territori collinari che ricadono anche nel comune di Tonendo, in provincia di Asti. “Siamo stati i promotori dell’associazione fondiaria -sottolinea la sindaca, Matilde Casa-. Da quando amministro, e sono sindaco da 7 anni, ho affrontato ben 9 frane”. Casa spiega anche che per affrontare le emergenza legate al dissesto nel comune di Lauriano la Regione Piemonte ha stanziato almeno 400mila euro. “Noi crediamo sia opportuno prevenire, e così oltre a conferire i terreni collinari di proprietà pubblica che non sono affittati abbiamo destinato un finanziamento di circa 5mila euro negli ultimi due anni all’associazione fondiaria. Con queste risorse dei giovani dottori in scienze forestali stanno realizzando una mappatura, per predisporre un piano di utilizzo”. Questo -spiega Casa- è quanto può fare un comune di 1.600 abitanti. In collina, poi, oltre al pascolo è possibile immaginare l’avvio di attività di coltivazione di piccoli frutti, e anche l’apicoltura.
Secondo il professor Cavallero “si tratta dell’ultima speranza: non è possibile far rivivere la montagna senza attivare un settore primario che potrà svilupparsi in settore secondario con la trasformazione dei prodotti, anche ad opera della stessa azienda. Se i giovani non possono permettersi di accedere alla terra, acquistandola, possono ‘entrare sulla terra’, e gestirla”.
A metà ottobre Cavallero ha partecipato, a Castel del Giudce (IS), agli Stati generali delle comunità dell’Appennino, raccontando l’esperienza piemontese delle associazioni fondiarie (slowfood.it/stati-generali-delle-comunita-dellappennino). “Ho appuntamenti per presentare questa opzione in Emilia-Romagna, nel Cilento e nel Sannio” dice. Il problema dell’abbandono della terra è, infatti, generalizzato. Nei 975 Comuni considerati appenninici vivono 2.805.476 abitanti, e “il 77% è interessato da fenomeni di spopolamento” come spiega lo studio “I Comuni e le comunità appenninici: evoluzione del territorio”, realizzato da Ispra e Slow Food Italia. “Negli ultimi 40 anni l’Appennino ha perso quasi il 10% della popolazione, mentre il resto d’Italia ha guadagnato quasi il 10%” racconta Michele Munafò, ricercatore Ispra tra i curatori del rapporto. “L’indice di dipendenza, che prende in considerazione il numero di abitanti in età ‘non attiva’, cioè chi ha meno di 15 anni o più di 65, è al 62%, contro una media nazionale del 55%” continua Munafò. Il rapporto analizza anche i dati sulla perdita di aree agricole: “Per l’81% dei Comuni parliamo di ‘abbandono colturale’. Nei fondovalle i terreni vengono spesso urbanizzati, perdendo la valenza ecologica -spiega Munafò-. In montagna si ha invece l’espansione del bosco, e anche se questo aumenta la naturalità dei terreni porta a perdere aree agricole storicamente attente al rapporto tra uomo e natura, con una forte valenza ecologica e di presidio del territorio, che aiuta anche a prevenire fenomeni di dissesto, oltre a mantenere una serie di servizi eco-sistemici fondamentali”. —
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