La storia di Stefano Cucchi
“Mi cercarono l’anima” ricostruisce i 7 giorni trascorsi dal giovane nelle mani dello Stato. Parlando di carceri, tortura e legge sulle droghe —
Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre del 2009. Aveva 31 anni, ed era stato arrestato sette giorni prima.
Lavorava come geometra, Stefano, nello studio di suo padre. Ma il 15 ottobre, alle 23,30, venne sorpreso a spacciare venti euro di sostanze a un conoscente. “Allora -ricorda suo padre, Giovanni- il buio se l’è portato via”.
Adesso, a quattro anni dalla morte di Stefano Cucchi esce “Mi cercarono l’anima”, dal 22 ottobre prossimo distribuito in bottega e su www.altreconomia.it (Altreconomia edizioni, 192 pp., 14 euro). Il libro di Duccio Facchini, però, non è soltanto la storia di Stefano, piccolo di corporatura ma appassionato di boxe, morto a Roma, nel letto del padiglione penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini. È la storia di quelli che, come li ha definiti un avvocato durante il processo di primo grado sulla morte di Cucchi -conclusosi nel giugno di quest’anno-, rappresentano il popolo degli “arrestati della notte”. Una categoria verso la quale la giustizia procede sorprendentemente spedita e il diritto, troppe volte, sospeso.
Stefano Cucchi resta sette giorni nelle mani dello Stato: dai Carabinieri alla Polizia penitenziaria, dai funzionari del Dap al magistrato che ne convalida il fermo per direttissima, dai medici del carcere di Regina Coeli e dell’ospedale Fatebenefratelli al personale dell’ospedale-carcere Pertini (il certificato di morte recitava “presunta morte naturale”). In quei sette giorni, prima di morire, perde quasi 10 chili. La famiglia lo rivedrà solo dopo la morte, dietro a una teca di vetro: sul suo corpo, inequivocabili segni di percosse, con le gambe ferite e i pantaloni con tracce di sangue fresco. Dopo tre anni e mezzo di processo, però, i giudici della Corte d’Assise infliggono condanne lievi ai medici, assolvendo tutti gli altri, compresi i tre agenti di polizia penitenziaria accusati di aver pestato Cucchi nelle celle di sicurezza del tribunale di piazzale Clodio, in attesa dell’udienza. “Morto per inanizione”, la verità giudiziaria. Che è molto diversa da quella verità per cui tanto si è battuta la famiglia di Stefano: i genitori, Rita e Giovanni, e la sorella Ilaria. Una “sentenza pilatesca -secondo il padre- che però non nega il pestaggio”, lasciando intendere che ad “alzare le mani” in quel modo furono i carabinieri. Il punto è che la Corte non ha trasmesso gli atti in Procura, limitandosi quindi a non negare -ma nemmeno chiarire- l’evidenza.
Questo libro, così, è una ricostruzione dei fatti dalla parte dei “vinti”: una versione autentica, aggiornata, puntigliosa e fedele -minuto per minuto, attore per attore- di che cosa accadde tra l’arresto di Stefano e la sua morte.
Un libro che -dopo quattro anni esatti- depura i fatti dai silenzi e dalle omissioni, e restituisce dignità alle parole della famiglia Cucchi, che -come in un amaro controcanto- racconta quei 7 giorni kafkiani. Il testo non solo ripercorre la “cronaca” di quei giorni attraverso i passaggi processuali approfonditi con il legale della famiglia di Stefano, Fabio Anselmo, ma racconta -grazie al contributo schietto e mai retorico della sua famiglia- la persona Stefano Cucchi, con la sua umanità e le sue debolezze. C’è di più, alcuni paragrafi sono dedicati ai “nodi” che Stefano Cucchi, lungo il percorso che l’ha portato alla morte, non ha potuto sciogliere: la normativa in materia di sostanze stupefacenti; lo scollamento della “catena di comando” tra i molteplici pezzi di Stato (medici, agenti, magistrati, infermieri, funzionari); la questione del reato di tortura, la cui mancanza misura l’arretratezza giuridica del Paese. Ultimo, ma non meno importante, l’“esercizio esclusivo della forza” da parte dello Stato -e il suo abuso- che è invece il tema sotteso all’intero libro. A far strada al lettore saranno Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, la giornalista Valentina Calderone, Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, Lorenzo Guadagnucci, giornalista di QN e collaboratore di Altreconomia presente nella scuola Diaz di Genova nel luglio 2001, e Mauro Palma, già presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dal giugno di quest’anno presidente della Commissione di studio in tema di interventi in materia penitenziaria interna al ministero della Giustizia.
Per realizzare questo libro, ci siamo affidati anche al sostegno di chi crede nell’informazione indipendente e dal basso. Per dar gambe al progetto, infatti, Altreconomia ha scelto -di nuovo- la strada del crowdfunding attraverso la piattaforma Produzioni dal basso. Quando andiamo in stampa con questo numero della rivista, abbiamo raccolto 232 “quote” sulle 300 disponibili. Sono già 135 i sostenitori che vogliono leggere questo libro.
Info su www.produzionidalbasso.com/pdb_2803.html