Cultura e scienza / Approfondimento
La rinascita delle biblioteche: piazze del sapere al servizio della comunità
I centri civici resistono alla rivoluzione digitale e si reinventano, mettendo al centro la coesione territoriale e la crescita culturale di giovani, anziani, lavoratori e non. È il modello delle “public library”, dalle Marche alla Valle d’Aosta
Se qualcuno si stesse domandando se nell’epoca di internet e dei libri digitali, dei Kindle e degli iPad, le biblioteche servano ancora, si metta l’anima in pace, perché la risposta non lascia spazio a dubbi: “Non solo ne abbiamo ancora bisogno, ma, oggi più che mai, le biblioteche civiche svolgono un ruolo di coesione territoriale, sociale e culturale, veri e propri ‘luoghi del welfare’ che offrono beni immateriali, servizi e spazi necessari alla vita e alla salute stessa delle persone di ogni estrazione sociale. Luoghi neutri, che non richiedono alcuna competenza a chi varca la loro soglia”. A dirlo è Antonella Agnoli, esperta di progettazione di biblioteche di nuova generazione, intese come “piazze del sapere”, che non rappresentano più solo il luogo in cui si prendono in prestito o si consultano i libri, ma sono un punto di riferimento fondamentale della vita cittadina quotidiana, attorno al quale gravitano molti aspetti, tutti ugualmente prioritari: cultura, benessere, svago, socializzazione, studio, formazione e informazione, pari opportunità, integrazione e, non ultimo, relazioni umane.
“Ogni biblioteca, per offrire un servizio efficace, deve adattarsi al territorio, ascoltando esigenze e suggerimenti dei suoi utenti, nessuno escluso” (Antonella Agnoli)
“Dobbiamo ripensare le biblioteche come luogo pubblico per eccellenza, in cui le persone hanno accesso ai libri, ma anche a un’atmosfera, un modo di stare insieme, di consultare, di curiosare, di passare del tempo, di coltivare relazione con gli altri -spiega Agnoli, da anni promotrice delle public library, patrimonio indispensabile per ogni nazione, che però in Italia, a causa della fisiologica mancanza di fondi per la cultura, faticherebbero a sopravvivere se non fosse per i volontari-. Vale per giovani, anziani, lavoratori e non: tutte queste categorie dovrebbe avere un motivo per frequentare una biblioteca. Non esiste luogo migliore per offrire agli anziani un’alfabetizzazione informatica di base, certo non andranno in un internet cafè. Chi entra in questi luoghi deve trovare libri, ma anche giornali, postazioni studio, collegamenti a internet, musica, caffè, poltrone, spazi per bambini, per le riunioni di associazioni e comitati e per i corsi più vari, dal lavoro a maglia all’ italiano per stranieri”.
Agnoli ha fondato e diretto dal 1977 al 2000 la Biblioteca di Spinea (Venezia) e ha progettato e diretto fino al 2008 la nuova biblioteca San Giovanni di Pesaro (www.biblioteca.comune.pesaro.pu.it), che ha aperto i battenti il 22 giugno del 2002, nel centro storico, in via Giambattista Passeri, frutto di un ardito recupero dal complesso storico di San Giovanni su un’area di 2.050 metri quadrati. Un capolavoro di architettura nuova e antica, tutta in vetro, acciaio e legno, con un bel giardino, tanti libri e molti servizi, in grado di coniugare il design contemporaneo con le belle volte in mattoni delle sale. La città ne va giustamente fiera e i suoi utenti possono contare su un archivio di più di 55mila libri, cd musicali, dvd e cd-rom (un patrimonio di circa 10mila documenti multimediali), quotidiani (10 di cui 4 stranieri), periodici (94 di cui 2 stranieri), ma anche su un servizio di biblioteca ambulante, corsi di ogni genere, musica, incontri per adulti e ragazzi, laboratori per bambini e postazioni studio, internet e per ipovedenti. Senza dimenticare l’area caffè con 20 posti a sedere e locali con aria condizionata. Il che non guasta, se la biblioteca diventa un rifugio per l’estate.
“Ci sono studi americani che forniscono dati interessanti, su cui ministri e amministratori locali dovrebbero riflettere -continua Antonella Agnoli-. Questi ci dicono che un welfare culturale riduce le malattie da depressione, quindi più soldi per la cultura equivalgono a meno soldi per la sanità, e dicono anche che nel 2010 il 68 per cento di chi cercava lavoro negli Stati Uniti ha inviato il suo curriculum all’attenzione di una biblioteca. Questo significa che le biblioteche, anziché ‘sparire perché c’è il web’, come profetizza qualcuno, sono un passaggio essenziale anche per accedere alla rete”. Vedere per credere.
Se si fa un salto alla biblioteca Regionale della Valle d’Aosta (https://biblio.regione.vda.it/biblioteche-sbv/Aosta-Biblioteca-regionale), alle postazioni internet s’incontrano ogni giorno persone dalle provenienze più varie (la Valle d’Aosta è caratterizzata da un’immigrazione relativamente recente e in costante aumento). Aperta il 2 settembre 1996 ad Aosta, in via Torre del Lebbroso, in pieno centro storico, la biblioteca occupa 9mila metri quadrati, di cui 6mila destinati al pubblico, in un’accogliente e luminosa struttura su tre piani, progettata dall’architetto Gianni Debernardi. Qui le opportunità culturali, o anche solo gli spunti per passare una giornata in un ambiente vivace e al tempo stesso rispettoso della tranquillità altrui, sono molte: merito di una vastissima area per bambini e ragazzi, con fumetti, musica e audiolibri, in cui si tengono laboratori, letture, proiezioni di cartoni, passando dalla sezione dei giornali e alla mediateca, dove si possono vedere o prendere in prestito film e cd musicali recenti e datati. Diventata un riferimento fondamentale nella vita culturale e sociale della città e della Regione, in questi 20 anni la biblioteca ha effettuato quasi 4 milioni di prestiti e ogni giorno accoglie oltre 1.200 utenti, molti dei quali sono immigrati, che qui trovano le risorse utili per imparare la lingua o cercare un lavoro senza spendere una lira. “Quella di Aosta, forse per la vicinanza con la Francia, è stata la prima biblioteca di impronta europea aperta in Italia -dice Antonella Agnoli- Dopodiché, grazie a un sano principio di emulazione, altre biblioteche di nuova concezione hanno cominciato a comparire a macchia di leopardo, sopratutto al Nord e, purtroppo, molto meno al Sud, che invece di luoghi di aggregazione concepiti così ne avrebbe ancora più bisogno, specie nelle zone più disagiate. Qualche esempio virtuoso però c’è anche lì, uno per tutti l’ottimo Sistema Bibliotecario Vibonese, in Calabria. Il mio sogno sarebbe vedere una ‘piazza del sapere’ in ogni regione, che facesse da apripista per altre realtà: allora sì che saremmo sicuri di coprire del tutto il territorio italiano”. Nel frattempo, lei continua a seminare, fornendo consigli a chi progetta nuove biblioteche.
È successo per il “Civico 17” di Mortara (www.civico17.it), nata nel 2011 nell’ex asilo di via Vittorio Veneto 17 (oggi ha 5mila iscritti su 15mila abitanti di Mortara, in provincia di Pavia) con postazioni wi-fi, spazi dedicati alla lettura, ma anche a lezioni, giochi per i piccolissimi, corsi per adulti e bambini e mostre, una terrazza dove nella bella stagione si tengono concerti, reading e gruppi di lettura, e una caffetteria. Ed è successo anche per la biblioteca “Il Pertini – La piazza dei saperi” di Cinisello Balsamo (MI, http://webopac.csbno.net/library/Cinisello-Il-Pertini), quattro piani di cui uno interrato, senza barriere architettoniche, all’interno dell’omonimo Centro culturale, in piazza Confalonieri, inaugurata nel 2012 e diventata per la sua città l’ambiente accogliente dove studiare, informarsi, imparare, incontrarsi, navigare in internet a costo zero, ascoltare musica e stare con i propri bambini. Ad accomunare tutte queste realtà, oltre a servizi e ambienti “multitasking”, sono gli orari, sempre abbordabili anche per chi lavora. “Una biblioteca deve essere accessibile mattina e pomeriggio, possibilmente anche il sabato, perchè una biblioteca aperta solo in settimana dalle 9 alle 13 non è una ‘piazza del sapere’ -conclude Agnoli-. Detto questo, non esiste una formula ‘giusta’: ogni biblioteca, per offrire un servizio davvero efficace, deve adattarsi al territorio in cui nasce, ascoltando le esigenze e i suggerimenti dei suoi utenti, nessuno escluso”.
È il risvolto virtuoso della società liquida e malleabile in cui viviamo: la necessità di luoghi e istituzioni aperti all’ascolto, al nuovo e al diverso, laddove questo comporta un vantaggio per la comunità e per la sua qualità della vita.
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