Interni
La resa dei conti
Proviamo a mettere in fila gli elementi. L’Italia è un Paese vecchio, uno dei più vecchi, dove il peso dell’assistenza e delle pensioni raggiunge vertici internazionali. Dall’altra parte, abbiamo un tasso di disoccupazione sopra la media, che però diventa drammatico…
Proviamo a mettere in fila gli elementi. L’Italia è un Paese vecchio, uno dei più vecchi, dove il peso dell’assistenza e delle pensioni raggiunge vertici internazionali. Dall’altra parte, abbiamo un tasso di disoccupazione sopra la media, che però diventa drammatico se guardiamo alle fasce più giovani della popolazioni. 2 milioni di ragazzi tra i 15 e i 29 anni (due milioni) non studia, non lavora, non cerca lavoro.
La mobilità sociale è inesistente, il conflitto generazionale (genitori privilegiati, giovani precari) è alle stelle. Un abisso separa i salari: dai 700 euro di un precario ai 700mila di un top manager.
Vige la gerontocrazia, non la meritocrazia. 6 giovani su 10 sono pronti ad andarsene all’estero, alla prima occasione. La ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi.
Poi. Il Paese non investe nel paesaggio e nel turismo, anzi lo deturpa con la cementificazione, falso indicatore di crescita economica. Perdiamo sicurezza alimentare e biodiversità.
L’evasione fiscale è un cancro inestirpabile, la criminalità organizzata lo è altrettanto, e in espansione. I tempi della giustizia sono infiniti. La corruzione idem.
Le imprese esternalizzano, finanziarizzano, precarizzano. La classe imprenditoriale abbandona progressivamente l’economia reale e predilige la Borsa e la finanza. Le imprese puntano agli oligopoli, ai monopoli, alle bollette dei cittadini, alle loro tasse. Le banche investono i soldi dei loro correntisti per finanziare progetti insensati, a volte criminali, degli amici degli amici.
Il welfare è allo stremo, gli enti locali senza risorse, la coesione sociale sotto stress.
Non investiamo in ricerca, istruzione, tecnologia, banda larga, servizi. Non investiamo nell’efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili, e dipendiamo sempre più dall’estero per l’energia.
Il debito pubblico è alle stelle.
Infine, la classe politica (tutta) è di un’incompetenza inedita e inaudita, e mentre è impegnata a salvare sé stessa e i suoi scandalosi suoi privilegi, pensa bene di tassare i risparmiatori e non le rendite. E ci vengono a dire che è il momento dei sacrifici.
Chiaro il riassunto? Allora, di fronte a questa situazione, voi investireste in un’azienda come l’Italia?
Prestereste i vostri soldi a un Paese così? Di fronte alla recente manovra del governo, avreste più fiducia nel futuro della Penisola? Vi stupite allora che la finanza internazionale, quel manipolo di personaggi che specula sui disastri altrui, tenti di far capitolare questo Paese? Da molto tempo abbiamo puntato il dito contro i CDS, i credit default swap, strumenti finanziari derivati dalla diffusione impressionante che “scommettono” sul fallimento di imprese, banche e nazioni. Aver lasciato che proliferassero è una delle cause delle paure che in questi concitati giorni assillano gli italiani.
Prepariamoci a giorni difficili.
Sappiamo però anche qual è la soluzione, e che non è troppo tardi. La via d’uscita ha tanti nomi: filiera corta, economia delle relazioni, dono, efficienza energetica, fonti rinnovabili, agricoltura biologica, sostenibilità ambientale, beni comuni, equità nella distribuzione delle risorse, giustizia, istruzione, ricerca, scambi non monetari. Altri nomi li potete aggiungere voi.
Tra questi, anche resistenza e ribellione: il mercato, la Borsa non sono entità astratte o divine, i cui comportamenti non sono modificabili né giudicabili.
Mercato e finanza sono fatti da uomini, che devono rispondere delle conseguenze delle loro azioni, delle responsabilità cui sono chiamati. Lo stesso vale per tutti quei personaggi -giornalisti, economisti, politici, imprenditori, manager, banchieri- che si sono riempiti la bocca di chiacchiere e ancora non ammettono il loro torto, mentre gozzovigliano a spese nostre.
Smettiamo di dare ascolto a questa gente, smettiamo di dare i nostri soldi a chi ci condanna a un futuro di fatica. Non è detto che debba andare per forza così.